Parrocchia di S. Antonio di Padova

Como

 

Sessantacinquennale:   1942 - 2007

 

 

 

                                                         Preghiera a S. Antonio

 

Sant’Antonio, amico di Dio e amico dei poveri,

voce di Dio e voce degli uomini,

giovane capace di parlare ai giovani,

uomo forte capace di resistere ai forti

con la potenza disarmante del Vangelo.

Oggi il mondo ha bisogno urgente del Vangelo:

aiutaci ad essere infaticabili annunciatori di Gesù

nelle strade spente della società del benessere:

aiutaci a gridare il Vangelo con la vita facendoci veramente poveri

per testimoniare la ricchezza che è Dio.

Sant’Antonio, giovane innamorato di Dio,

oggi i giovani sono defraudati nella speranza

e ingannati con la seducente proposta di divertimenti che non saziano il cuore:

aiutaci a riempirci di gioia per testimoniare la gioia vera che abita nel cuore di Cristo.

Sant’Antonio rendici uomini di silenzio

Per pronunciare parole piene di Dio!

Sant’Antonio, strappaci dalla vita mediocre

per camminare nella via bella della santità

con umiltà, con purezza, con letizia evangelica e francescana. Amen!

 

 

 

                                                                       (Preghiera diMons. Angelo Comastri)

 

 

 

 

 

 

 

“Ai Parrocchiani, in ricordo

di questa ricorrenza”

INTRODUZIONE

 

 

a. Saluto del Parroco,Padre Fernando Spimpolo, dal 2005 attuale Parroco pro tempore della parrocchia di S. Antonio di Padova in Como) 

            Carissimi parrocchiani,

desidero aprire questa breve introduzione rivolgendo un saluto fraterno e paterno a tutti voi, e rendendo grazie al Signore, che nei suoi disegni misteriosi ha voluto far incontrare le nostre strade, chiamandomi ad essere il vostro Parroco e a vivere in mezzo a voi il mio ministero di pastore, attraverso il carisma del poverello di Assisi, San Francesco, e guidato dal Santo di Padova, Antonio, al quale la nostra parrocchia e la nostra chiesa sono dedicate.

            Ringrazio di cuore anche la mia Provincia Religiosa dei Frati Minori Conventuali del Santo, che, nell’estate del 2005, mi ha chiesto di fare di Sant’Antonio in Como il mio convento, la mia parrocchia, la mia casa.

            E a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle della parrocchia di Sant’Antonio, esprimo la mia profonda riconoscenza per l’accoglienza che mi avete riservato e per avermi reso parte della storia della vostra comunità; una storia iniziata nel 1942, allorquando il Vescovo Macchi, dopo aver chiamato ed accolto i frati di Padova qui a Como nel 1941, decretò l’erezione della nuova Parrocchia che comprendeva, e comprende tuttora, “la zona territoriale situata tra Camerlata, Rebbio ed Albate”.

Da quel lontano ’42 sono trascorsi ben sessantacinque anni; un cammino e un traguardo ragguardevole, fatto di momenti difficili, avvincenti, appassionati; segnato da delusioni, conquiste, lotte, speranze.

Una storia e un percorso frutti soprattutto del sacrificio e dell’impegno di uomini e donne di buona volontà, animati da una profonda fede in Dio e da un grande amore per la propria terra e per la propria parrocchia: un insieme variegato di buoni cristiani composto da papà e mamme di famiglia, anziani, giovani e bambini, come pure da parroci, da frati, da suore; tutti hanno saputo lasciare un segno indelebile ed ognuno ha voluto “portare il suo mattone” per rendere possibile la realizzazione, la maturazione e la crescita della nostra comunità.

            Per evitare che il passare degli anni possa disperdere il patrimonio, unico e specifico, di tutti questi fatti e avvenimenti, veri e propri atti d’amore, e perché invece questa storia divenga uno scrigno prezioso capace di custodire le radici e l’identità della nostra comunità, abbiamo voluto scrivere questo libro. La nostra scelta segue la linea che, nel 1967, in occasione del suo 25°, ha voluto decidere la comunità parrocchiale di allora, producendo quel libretto dalla copertina grigia che ancor oggi molte famiglie custodiscono gelosamente tra i segni degli affetti più cari.

Ci auguriamo di aver fatto, con queste pagine, cosa gradita a tutti i parrocchiani che a “Sant’Antonio” sono nati, o che comunque da tanti anni vi abitano, ai pellegrini che ogni domenica amano ritrovarsi presso la nostra chiesa per invocare con fede il Santo, e a tutti coloro che in questa parrocchia sono arrivati da pochi anni o da alcuni mesi, e possono avere così l’occasione di conoscere la storia della loro nuova comunità e poter più facilmente inserirsi nei suoi percorsi e nelle sue attività.

Il Signore chiama ora anche noi a continuare a scrivere, insieme, tutti insieme, pagine importanti per la nostra parrocchia. Un tempo difficile come il nostro esige quanto mai di scrivere queste pagine ripartendo da Dio, per essere una comunità unita e coesa da una fede ritrovata e profonda, capace di scelte improntate ai più genuini valori evangelici, che sa creare vincoli e relazioni fraterne forti, certa della costante e amorevole presenza del Padre e della Sua immancabile provvidenza.

E’ in nome di questa certezza che rivolgo a voi, fratelli e sorelle, l’augurio più caro, affinché tutto questo possa realizzarsi e consolidarsi nel tempo.

Concludo ringraziando coloro che hanno reso possibile la realizzazione di questo libro dedicando competenza, tempo e passione. Un grazie di cuore va a: Michele De Maio, per tutta la parte riguardante l’onerosa indagine storica; a Martino Lironi, per l’importante sezione che riporta le testimonianze e le interviste; a Mauro Roncoroni, che ha curato l’ampia e preziosa documentazione fotografica.

E ringrazio infine la “Commissione del Sessantacinquesimo”, senza la quale non si sarebbe potuto realizzare né il presente libro, né alcun altro degli appuntamenti in calendario per onorare questo evento per tutti noi tanto significativo, da vivere con gioia, godendone intimamente, perché ravviva la memoria del nostro comune passato, e alimenta le speranze per il futuro.

Il Parroco

 

 

 

b. Il Cammino di una Comunità.

 

Agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, con le vicende e per i motivi esposti in altra parte di questo libro, l’autorità religiosa diocesana preoccupata di offrire l’indispensabile assistenza spirituale agli abitanti di una zona assai decentrata rispetto alle chiese parrocchiali limitrofe – decise di istituire la nostra Parrocchia, intitolata a S. Antonio, affidandola alle cure di una piccola comunità di religiosi dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.

La questione della “giurisdizione“, ossia del territorio di competenza di questa nuova parrocchia fu sbrigativamente risolta (a tavolino), unendo le estreme aree periferiche delle tre Parrocchie confinanti. Si attribuì così a S. Antonio un’area formata dalla aggregazione di una piccola parte periferica del territorio di Rebbio, con una “fetta“ di Camerlata ed una terza porzione staccata dal territorio di Albate.

Analogamente a quanto è accaduto nella “grande storia“ dell’Unità d’Italia e, parafrasando la celebre affermazione di un grande statista di quei tempi, possiamo affermare che con ogni probabilità i religiosi conventuali di allora avranno pensato : “La Parrocchia è fatta. Ora formiamo i parrocchiani!“

Nasceva infatti così una parrocchia priva di grandi numeri (di parrocchiani) e di remote radici comuni (mancava di una storia propria): due requisiti di base che concorrono a rendere forte, salda e ben caratterizzata una comunità.

             Per di più, anche geograficamente la distribuzione dei nuclei di abitazioni rimarcava la tripartizione originaria della nuova realtà religiosa. Le case dei parrocchiani erano infatti accentrate in tre raggruppamenti arroccati e isolati fra loro da distanze evidenti, anche se non chilometriche; essi formavano i quartieri di Belvedere, Acquanera e S. Bernardino (allora Monte Santo).

             Socialmente e psicologicamente, ben pochi erano gli elementi di unione: gli abitanti di ciascun nucleo si autoconsideravano realtà a sé stanti e non nascondevano la loro difficoltà ad entrare in comunicazione con gli altri due gruppi, vuoi per ragioni sociali, vuoi per quel senso di campanilismo che – dicono – sia tipico degli italiani (e dei com’aschi). Da una situazione di così grande eterogeneità dovette cominciare il cammino aggregativo della futura comunità parrocchiale che, pur nella limitatezza territoriale e nella relativa esiguità del numero di “anime“, si mise coraggiosamente in cammino, promossa, incoraggiata e guidata dal Parroco e dai volenterosi, convinti loro collaboratori, laici e religiosi.

               E fu un cammino non facile, in cui si alternarono e sommarono progressi, stasi e persino qualche temporaneo o apparente regresso, ma pur sempre avanzando – in definitiva – verso la realizzazione di una crescente condivisione comunitaria, meta costantemente assunta come obiettivo da tutti i religiosi che si sono succeduti nella responsabilità di Parroco. A ben guardare, è un percorso fondamentale per il futuro, se si realizzeranno le premesse di incremento abitativo del territorio parrocchiale.

                 Persone, fatti ed eventi hanno contribuito a creare – come accennato – fasi favorevoli al concretizzarsi di piccoli passi sulla via dell’unità, oppure a ritardarne il processo di amalgamazione. Nella sua breve ma movimentata storia, la Parrocchia ha vissuto momenti di impulso, generalmente stimolanti come gli arrivi dei nuovi Parroci (periodicamente alternatisi per la Regola di itineranza dei Frati Conventuali), la funzionalità dell’Oratorio, le iniziative indirizzate a promuovere incontri con la partecipazione aperta a tutti.

             Episodi positivi nel passato furono, ad esempio, la decisione di far transitare la processione di S. Antonio in ciascuno dei tre nuclei del territorio parrocchiale, quella di celebrare il mese mariano con la recita del Rosario nei diversi quartieri, la consuetudine (mantenuta viva per alcuni anni) di trovarsi in casa di famiglie per “focolai di preghiera e di meditazione“, le iniziative bibliotecarie e culturali del Centro di Cultura Popolare (fra gli anni ’74 e ’79) che ebbe come animatore Padre Francesco Ruffato.

             Decisivo fattore di coesione fu il trasferimento della Scuola Materna dal quartiere di S. Bernardino alla Via Valerio sul colle a fianco del Santuario, collocandola geograficamente al centro della Parrocchia. Altrettanto importante fu l’impulso edilizio che ha praticamente colmato i “vuoti” esistenti fra i tre rioni, divenendo fisicamente elemento di continuità fra di essi e rafforzando l’effetto aggregante dovuto al graduale ricambio e ai miglioramenti socioeconomici delle famiglie nelle case popolari di S. Bernardino.

             Possiamo ancora ricordare, nella sua valenza unificante, la disomogenea composizione del coro parrocchiale “Alba“, con la compresenza di acquanegrini, belvederesi, sanbernardini, per decenni decoro apprezzato delle liturgie solenni. Altrettanto si può dire per la filodrammatica (voluta ed animata da Padre Luigi) protagonista di innumerevoli recital e persino di qualche “sacra rappresentazione“ durante i tridui sacri della settimana santa.

             All’affiatamento dei giovani hanno contribuito i campi estivi di lavoro e le attività organizzate dalla Polisportiva Antoniana nel decennio fra il ’60 ed il ’70. A quello degli adulti hanno molto giovato le celebrazioni del 25° e 40° anniversario della Parrocchia e il costituirsi di un “gruppo famiglie“ promosso e assistito originariamente da Padre Benigno.

               Ma ci sono purtroppo stati nella storia della Parrocchia anche avvenimenti con riflessi negativi. Uno dei più frenanti si è rivelato il decreto del Provveditorato agli Studi del 1990, con la decisione di chiudere e sopprimere le scuole elementari di Via S. Bernardino alle quali affluivano ormai tutti i ragazzi dell’intera Parrocchia, dopo un lungo e travagliato lavoro di convincimento delle famiglie che, per molti anni le avevano snobbate, ritenendole a esclusiva destinazione del rione S. Bernardino. La conseguenza si è tradotta in una vera e propria diaspora, per cui gli alunni si sono dispersi fra le scuole di Albate, Muggiò, Camerlata e Rebbio, nonché in qualche collegio privato.

             Sfavorevoli si sono pure rivelate le congiunture dovute a difficoltà gestionali e di rapporti umani all’interno dell’Oratorio, per tacere della palese insufficienza delle sue strutture, non in grado di rispondere alle esigenze educative e sportive di una gioventù sempre più attirata da altre forme di intrattenimento.

             Con la scomparsa di Padre Rodolfo è venuta meno una figura fortemente aggregante a cui facevano riferimento sia gi anziani coi quali vi era gradito colloquio, sia i giovani che contavano su di lui quale impareggiabile animatore delle attività artistico-espressive e per quelle estive del Grest, in cui confluivano numerosi e con entusiasmo.

 

 

               Sarebbe troppo lungo l’elenco di tutto ciò che ha inciso – nel bene e nel male – sulla crescita umana e spirituale della Parrocchia. Le circostanze citate lasciano chiaramente trasparire il percorso di una comunità sempre tesa a realizzarsi come tale o, più esattamente, consapevole che si tratta di una conquista per la quale occorre lavorare senza sosta e senza scoraggiamenti, apprezzando in giusta misura i piccoli passi che comunque sono segni di progresso.

               La Comunità parrocchiale di S. Antonio, per il momento ancora di modeste dimensioni, maturata dalle vicende vissute nella sua esistenza pluridecennale, come ogni altra parrocchia ha espresso il proprio Consiglio Pastorale (erede dinamico della precedente ex fabbriceria), i propri gruppi (caritativi, liturgici, catechistici, amministrativi) e tende a sottolineare la propria peculiarità francescana, anche mediante la presenza di una comunità dell’Ordine Francescano Secolare (OFS).

               Ha assunto inoltre la non semplice decisione di ospitare in apposita struttura “Casamica“, tramite provvidenziale fra il mondo della Casa Circondariale e quello della libertà, per cooperare ai reinserimenti sociali, nel quadro del progetto “Antonio, Vangelo e Carità“. Contemporaneamente punta al rilancio dell’Oratorio (rinnovato e completato nelle sue strutture) contando sulla cooperazione di parrocchiani, famiglie ed animatori, per farne un centro di riferimento per parrocchiani di tutte le età.

                 La sua attuale fisionomia si sta arricchendo con chiari segnali della graduale presa di coscienza di un fatto sinora rimasto forse un po’ in ombra: il sapersi parte di comunità religiose più ampie (il vicariato Foraneo, la Diocesi, la Chiesa Italiana, sino a quella mondiale). Il che l’aiuterà sicuramente a vincere il timore dell’isolamento e i dubbi sulla sua capacità di superare i problemi della futura – ormai prossima – espansione abitativa e presumibilmente anche demografica, con un rinnovato impegno verso l’obiettivo di sempre: l’aggregazione, l’unità e la comunione, per diventare pienamente parrocchia ed essere in grado di testimoniare visibilmente Cristo ed essere sale nel mondo, secondo i suggerimenti evangelici.

 

“ Nisi Dominus aedificaverit domum

inane laborant qui aedificant eam ”

 

 

 

 

Capitolo 1°.  

 

LA STORIA DELLA PARROCCHIA E DELLA CHIESA DI S. ANTONIO

 

 

a. La prima presenza francescana a Como e le prime notizie sul territorio ove ora sorge la Parrocchia.

 

           Il primo insediamento dei Frati Francescani in Lombardia, di cui si ha notizia, risale al 1212. A Como, la presenza del primo convento di Frati di San Francesco viene segnalata nel periodo che va dal 1227 al 1230.

           Padre Paolo Sevese, paziente raccoglitore delle memorie francescane in Lombardia, fa risalire, per certo, al 1230 la fondazione del convento di S. Francesco in Como. Afferma il Sevese che i Frati, sino al 1277, abitarono in un “povero” convento, arrangiandosi come potevano. Nel 1277, quattro pie donne, che vivevano in comune ed erano probabilmente iscritte al Terz’Ordine Francescano Secolare, decisero di cedere al convento dei Frati, per un suo maggiore sviluppo, la loro casa ed i loro possedimenti contigui al convento stesso.

           Sappiamo così che i religiosi vivevano “in loco qui dicitur Zeburtum prope fossatum civitatis“ ( Nella località denominata Zeburtum, vicino al fossato della città – N.d.R). Il Pontefice Nicolò IV, con bolla del 29 marzo 1279, accetta per i Frati la donazione.

Il Tossignano fissa la data del 16 maggio 1277 per la costruzione del nuovo convento, dopo le donazioni ricevute.

           In una bolla di Nicolò IV del 23 agosto 1290, il Convento di S. Francesco di Como è ricordato insieme al convento di S. Antonio di Padova. Il Papa, infatti, concedeva un anno e quaranta giorni di indulgenza a coloro che, nelle feste di S. Francesco e S. Antonio, avessero visitato “le chiese di S. Antonio a Padova e dei Frati Minori a Como“.

             Si sa, peraltro, che fu un convento che ebbe molta importanza nella storia, in quanto da esso uscirono uomini illustri per santità e dottrina, come il P.M. Antonio Rusconi, Ministro Generale dell’Ordine. E’ anche certa l’ascesa alla cattedra di Sant’Abbondio di un francescano comasco nel 1294: Leone III Lambertenghi. Il predetto convento diede inoltre il nome alla Custodia omonima che comprendeva i conventi di Varese, Lugano e Locarno.

               Nel 1978, a seguito della soppressione degli Ordini Religiosi voluta da Napoleone Bonaparte, il cenobio fu trasformato in alloggio per i suoi soldati.

               Il convento, sito nelle vicinanze della chiesa del Seminario maggiore diocesano e di quella di S. Orsola, venne aperto alle manifestazioni culturali a partire dal 1980.  Esso fu successivamente trasformato nella caserma Zucchi. Gran parte degli arredi che vi si trovavano sono tuttora sparsi per le chiese della città. In particolare, nella chiesa di S. Donnino si trova conservato il banco, in noce massiccio, della Sacrestia; nella chiesa di S. Orsola, v’è il quadro di S. Francesco che riceve le stimmate.

               I primi documenti cartografici che, invece, annoverano il territorio dove sorge l’attuale parrocchia di S. Antonio sono quelli noti come “Catasto Teresiano”, così definito perché realizzato sotto il dominio austriaco su disposizione dell’Imperatrice Maria Teresa (all’incirca nel 1730). Nelle carte in questione,  è possibile notare che, all’epoca, il territorio dell’attuale parrocchia era quasi tutto coltivato e la presenza di fabbricati si limitava alla zona situata all’altezza dell’incrocio fra via Acquanera, via Belvedere e via alla Guzza, e a quella che, seguendo via Acquanera, va verso Albate.

                 Le colture più diffuse erano quelle del frumento e del granturco. Era anche presente, in forma molto ridotta, la coltivazione della vite e, più praticato, l’allevamento del baco da seta.

Infine, la prima annotazione dell’esistenza in zona di un Oratorio (luogo di preghiera) “pubblico” è conservata nell’archivio parrocchiale di Albate, in un foglio staccato della relazione presentata dal Parroco Don Giovanni Battista Gelpi (1683 – 1727) alla visita pastorale del Vescovo, Mons. Giuseppe Oliati (1710 – 1735).

                 Dopo una sommaria descrizione della parrocchia di Albate (“Non vi sono pubblici bestemmiatori, né blasfemi, ……….., né pubblici usurai, né inconfessi, né concubini, né coniugati non coabitanti insieme………”) è illustrato il modo con il quale si celebrava il matrimonio, si portava la Comunione ed il Santo Olio agli infermi e si facevano le processioni.

                 Oltre alla chiesa di S. Antonino di Albate e dei Santi Pietro e Paolo a Trecallo, viene confermata l’esistenza di un Oratorio “pubblico” di uso particolare del Sig. Piero Odescalchi, “ove si dice Acqua Nera e vi si celebra la Messa spesso. Vi è un altro Oratorio ad Albassone (oggi Bassone) del Sig. Gianni Volta nel quale, dal mio ingresso sin’hora, non si è mai celebrato né meno ho inteso che habbino celebrato altri sacerdoti“.

               Per concludere, ancora due notizie relative all’origine del toponimo “Acquanegra” e sulla “Cascina Trombetta”.

               Il toponimo “Acquanegra” appare nel comasco per la prima volta in pergamene del XII secolo. Due sono le sue possibili interpretazioni:

-        il nome sta ad indicare il colore assunto dall’acqua in zone stagnanti (in tale accezione viene usata da Plinio);

-        una notizia, da molti considerata una leggenda, che fa risalire il nome alla quantità di sangue perso durante una battaglia fra albatesi e comaschi e che ha intorbidito il corso d’acqua che vi scorreva.

All’epoca esisteva la roggia dell’Acquanegra (oggi parzialmente ricoperta) che, scendendo da Senna Comasco, convogliava le acque della palude (della zona del Bassone).

               La cascina Acquanegra, meglio nota come ”cascina Trombetta”, fu comperata da Alessandro Molteni, che la passò in eredità al figlio Molteni Emilio (1840 – 1902). Questi, a sua volta, la lasciò alla figlia Molteni Amalia in Bettoni (morta il 22 dicembre 1951). La cascina venne lasciata in uso a più famiglie. Nel 1980, Bettoni Emilio, per il tramite dell’Immobiliare Grimaldi, vende il complesso che viene trasformato in un residence, ponendo definitivamente termine alla vita della cascina nella sua identità originaria.

 

 

b.   Il ritorno dei Frati Francescani a Como e la nascita della Parrocchia di S. Antonio .

 

               Nel 1937, l’Ufficio tecnico comunale di Como, in linea con una prassi ormai ricorrente a livello nazionale, elabora un piano regolatore teso ad un allargamento dell’area urbana, tenendo conto delle realtà territoriali, sociali e funzionali, in base alle quali si rendeva necessario operare.

Il progetto risultato vincitore, meglio noto come CM8, era stato redatto da: Bottoni, Dodi, Giussani, Cattaneo, Lingeri, Pucci, Terragni, Uslenghi.

                 Il territorio oggi attribuito alla Parrocchia era una zona collocata all’estrema periferia sud dell’agglomerato urbano e confinava con due Comuni, allora autonomi, Rebbio ed Albate. In essa c’era una fabbrica di laterizi e vi scorreva la roggia Vaì (oggi quasi totalmente ricoperta) che raccoglieva le acque della zona per poi immetterle nel torrente Cosia.

                 Gli insediamenti urbani erano ridottissimi, e i collegamenti erano assicurati dalla presenza di una linea tranviaria che univa Camerlata a Cantù, passando per Albate lungo l’attuale statale Canturina.

                 Nel nuovo Piano Regolatore, questa zona viene individuata come luogo per l’insediamento, in località Monte Santo (oggi S. Bernardino), di un quartiere a edilizia popolare (case minime), da destinare ai ceti meno abbienti che non trovavano più, nel centro urbano, una collocazione adeguata alle loro possibilità. Nasce quindi il quartiere, e con esso sorge l’esigenza di realizzare un Asilo ed una Scuola elementare, per assicurare un minimo di istruzione ai figli dei nuovi giunti, oltre alla necessità di erigere una chiesa per la cura delle anime degli abitanti del luogo.

                    Vescovo pro tempore era Mons. Alessandro Macchi, insediatosi nella Diocesi di Como il 27 ottobre 1930. Il Sindaco (all’epoca Podestà) della città era Attilio Terragni, e la città di Como contava 51.177 abitanti (dal censimento del 1931).

                  Mons. Macchi si rende conto che il nuovo quartiere, composto per lo più da poveri operai e da sfrattati, aveva un grande bisogno di gioia, fede, serenità ed elevazione morale e, per di più, era un quartiere in espansione.

                   Lo stesso Vescovo, tenendo conto della richiesta che il Ministro Provinciale - Padre Andrea Eccher - gli aveva rivolto, riguardante la possibilità di un campo di lavoro per i Minori Conventuali in Como, “intuisce” che nessuno meglio dei frati francescani, religiosi poveri per regola e voto, e consapevoli della loro povertà, ma ricchi di fede, e fiduciosi nella Provvidenza, poteva soddisfare le esigenze sorte nel recente insediamento abitativo di Monte Santo.

                     Si dichiara, pertanto, subito disponibile ad affidar loro l’assistenza religiosa del nuovo rione popolare delle “case minime”, situato fra Camerlata e Rebbio.

                   Il 31 ottobre 1941, i Frati Minori Conventuali fanno il loro ingresso nella città di Como.

                   Fino ad allora, al culto per le persone del posto, il Vescovo aveva provveduto inviandovi quotidianamente (dal novembre 1940 all’ottobre del 1941) il sacerdote Prof. Don Silvio Bertola, Direttore spirituale del Seminario. Ancor prima, la cura delle anime era stata prestata dai Padri Missionari del Sacro Cuore di Verona, della Casa di Rebbio.

                     La scelta definitiva del luogo dove sarebbe sorta la chiesa è dovuta ai frati francescani. Sul sito da essi individuato, dopo varie peripezie, il 10 maggio 1942, il più volte citato Vescovo posa la prima pietra dell’erigenda chiesa di S. Antonio, ed emana il decreto di erezione a Parrocchia della stessa chiesa “sotto il titolo di S. Antonio di Padova“.   Nella medesima circostanza, determina i confini della nuova circoscrizione parrocchiale come segue: “Comincia la linea confinaria all’incontro della provinciale Canturina con la linea ferroviaria dello Stato “Como – Milano”, e la segue là dove si biforca e si distacca la linea ferroviaria Como – Lecco, fino all’altezza della Villa Taiana Francesco, ne segue il recinto meridionale e si prolunga in linea retta in direzione Nord, andando a incontrare, ad angolo retto, il confine del comune di Como. A questo punto, segue il confine comunale di Como sino a imboccare la strada Provinciale Canturina e lì, tenendo sempre l’asse mediana di essa, prosegue fino a incontrarsi con la linea ferroviaria dello Stato. “

                     Per l’elevazione della chiesa a Santuario, si sa solo che Mons. Macchi “bramava“ che a Camerlata si facesse presto a costruire un “Santuario a S. Antonio“, e auspicava che fosse in seguito molto frequentato dai devoti del Santo di Padova provenienti da ogni parte della Lombardia, nella considerazione che “in tutta la Lombardia non vi fosse ancora un tempio di rilievo dedicato al taumaturgo di Padova“. Non è mai stato emanato, in realtà, un vero e proprio decreto di elevazione della Chiesa a Santuario, anche se esiste un Contratto stipulato il 18-01-1942 tra la Diocesi di Como e la Provincia dei Frati del Santo, dove si dice che la nuova Parrocchia di Sant’Antonio sarà elevata a Prepositura della città, e che “potrà fregiarsi del titolo di Santuario quando saranno realizzate le condizioni canoniche”, che probabilmente sono da riferirsi alla ultimazione della chiesa e a un crescente afflusso di fedeli devoti a Sant’Antonio.

                       Si sa peraltro, che nel febbraio del 1953, in uno dei vari Capitoli conventuali dei frati, viene deciso di presentare la nuova chiesa come “Santuario di S. Antonio“.

 

 

c.   L’arrivo dei Frati a Como e i tempi epici.

 

                     Il 31 ottobre 1941, come già accennato nel precedente paragrafo,fanno il loro ingresso in Camerlata i Frati Minori Conventuali; li accompagna il loro Provinciale, Padre Andrea Eccher. Il corteo che conduce i Padri alle case minime di Via Monte Santo (oggi Via S. Bernardino da Siena n. 43), composto da quattro automobili, muove dall’Episcopio, insieme con il Vescovo Mons. Alessandro Macchi, che regge la Reliquia del dito di S. Antonio.  Giunto all’imbocco di Via Belvedere, si forma la processione diretta alla cappellina delle case minime. Delle Autorità sono presenti: il Commissario Prefettizio, Cav. L. Aliverti, l’ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico del Comune di Como, Cav. Uff. L. Alfieri, l’avvocato. Bosisio, il sig. C. Fraquelli, presidente diocesano degli uomini cattolici, il canonico Don L. Guglielmetti, il prevosto di Camerlata, Don C. Panizza, il prof. Don Silvio Bertola, primo Cappellano del rione, alcuni Padri missionari del S. Cuore di Verona, le Dame della Conferenza di S. Vincenzo ed alcuni Frati minori conventuali del convento di Milano (Padre Otello Bruno Melato, Padre Ottilio dott. Marezzato, Padre Benvenuto Giacon, Padre Filippo Gallo, e Padre Marco T-Ciang, (cinese).

                   Padre Otello ricordava così il suo arrivo: “Quel pomeriggio, sceso dal treno della Ferrovia Nord, mi avviai, accompagnato da alcuni confratelli di Milano, attraverso i campi in direzione del rione di Monte Santo, isolato nella campagna circostante, quasi invisibile, data la fitta nebbia. Ci venne incontro festante un gruppetto di marmocchi, guidato dalle buone suore dell’Immacolata di Parma. L’impressione, per uno che come me veniva da una città e da una parrocchia modello, non fu certo entusiasmante. Dopo una breve e sommaria visita all’Asilo, andai in vescovado a prelevare il Vescovo”. Ed ancora aggiunge: “Finita la cerimonia, io pensavo dentro di me che……. sarei rimasto solo, senza mezzi (150 lire in tasca), senza abitazione, privo di una cappella pur modesta per raccogliermi per i miei esercizi ………La sorte strana di questo fraticello ……..finì col toccare il cuore di qualcuno. Difatti la Provvidenza mi venne incontro. La famiglia Taborelli mi offerse generosamente piena ed amichevole ospitalità, accogliendomi per circa quattro mesi come un familiare. La Superiora, Suor Saveria, mise a disposizione, come cappella, la sala dell’Asilo, nel tempo in cui non era occupata dai bambini. In più mi assicurò che, fino a quando non avessi provveduto diversamente, per vitto e biancheria ci avrebbe pensato lei ……….”

                      Infine afferma:“…con Padre Gerardo Agostini (giunto ad aiutarlo prima del Natale del 1941) (n.d.r.), che aveva preso alloggio provvisorio in un locale delle case minime, ci si trovava assieme solo a tavola, per le pratiche religiose e le funzioni; poi ciascuno prendeva la sua strada …”

                 Il quartiere ha una sua fisionomia particolare, così com’è isolato dal nucleo di Camerlata per via della linea ferroviaria statale, e così come si ritrova a due passi dalla campagna. Risulta chiaro che, insediandovi una parrocchia, al di là di qualsiasi interesse spirituale, da parte dell’Amministrazione comunale, si è voluto dare l’avvio a una sistemazione più organica e complessa dell’intera zona.

               E’ certo che, tra cura delle anime, pratiche burocratiche da seguire per la compravendita dei terreni su cui sarebbe sorta la chiesa, e funzioni religiose, la giornata faceva presto a passare.

               Tutte queste difficoltà non impedirono però ai Frati, in quei primi anni, di:

- curare le anime dei parrocchiani e impartire loro l’insegnamento della dottrina cristiana;

- officiare le funzioni religiose, prima nella cappella provvisoria delle suore nell’Asilo comunale, poi in quella del primo convento, e ovunque venissero chiamati dai paesi limitrofi, dal sanatorio provinciale “G.B. Grassi” di Camerlata, e dalla cappella del cimitero di Camerlata;

- amministrare i Sacramenti agli infermi;

- presiedere i ritiri delle suore;

- celebrare le varie festività con processioni che, a volte, consistevano solo nel giro della collina;

- raccogliere fondi con le questue;

- impartire l’insegnamento della religione nelle scuole cittadine ;

- contribuire alla nascita, in zona, di taluni Gruppi/Organizzazioni cattoliche: gruppo maschile dell’Azione Cattolica, col delegato Giorgio Mottana – 30 agosto 1942; gruppo fanciulli dell’Azione Cattolica, con la delegata Lucia Pizzetti – 5 settembre 1942; gruppo femminile dell’Azione Cattolica con la delegata Tecla Mascetti – 5 settembre 1942; Pia unione delle Figlie di Maria, con la presidente Carla Balzaretti - luglio 1943; Confraternita del S. Rosario – 5 febbraio 1944;

- organizzare una Compagnia filodrammatica il cui debutto, avvenuto il 14 giugno 1942, ha avuto luogo nel cortile messo a disposizione dalla famiglia Erba, per mancanza di appositi locali: “Il pubblico, data la novità, era numeroso ed attento - raccontava Padre Melato - tanto attento che non lasciò le sedie neanche all’improvvisa comparsa di un leggero e breve scroscio di pioggia. Anche se vedo – continuava Padre Otello - che nella pratica della religione vi è una grande apatia e disinteresse ….”

               Per le attività pastorali, i frati si spostavano per lo più a piedi e, per raggiungere i posti più distanti, in bicicletta (la prima fu subito rubata) o in “Lambretta” (sostituita nel 1955 da una “Vespa”), e solo più in avanti in “500“. Non avevano null’altro che tanta buona volontà!

                 S.E. il Vescovo regalò alla Parrocchia alcuni paramenti, mentre altri furono regalati da confratelli. Con il primo ricavato delle offerte, furono invece acquistate sedie per la cappella nell’Asilo. “Sta di fatto che - diceva Padre Otello - le recite, i pellegrinaggi e le gite sono il mezzo migliore per amalgamare i parrocchiani e interessarli della vita parrocchiale.“

              Il 29 settembre 1942, Padre Otello Bruno Melato, con lettera in data 27 settembre dello stesso anno, veniva incaricato dall’Ufficio Diocesano dell’insegnamento della religione nel Regio Liceo Ginnasio “A. Volta“ di Como.

               Il 10 novembre dello stesso anno, la Presidente del Comitato Religioso per l’assistenza alle case minime, signorina Andina Cesarina, con atto generoso, elargiva alla parrocchia un’offerta che servì ad acquistare gli utensili di cucina indispensabili per la vita di tutti i giorni.

               Intanto fervevano i lavori per la costruzione della cappella provvisoria, con annessi alcuni locali, per soddisfare le esigenze della parrocchia e dei frati. Diceva Padre Otello: “…sta per giungere il giorno felice di lasciare la vecchia cappella e la vecchia abitazione, per trasferirci lassù, sopra quella amena collinetta che emerge dalla foschia del mattino e della sera, per trovare la nuova cappellina con la nuova abitazione, che ormai si erge maestosa, ammirata dai passanti per la sua imponente e salda costruzione“.

               Il 28 gennaio 1943, le reverendissime suore Canossiane fanno dono alla chiesetta di alcuni oggetti destinati al culto, fra i quali: un calice, una pisside di metallo dorato, un reliquiario in legno rivestito d’argento, quattro candelieri per altare, in metallo bianco con croce in legno rivestita di rame ed ottone lavorati a sbalzo.

               L’11 aprile 1943, viene inaugurata la nuova cappella, e l’8 maggio i frati si trasferiscono nei nuovi locali attigui alla cappella. Per la refezione dovettero però far ricorso sempre alle suore dell’Immacolata, fino al 20 maggio dello stesso anno.

               Il 20 giugno del 1943, Padre Otello fa l’ingresso ufficiale in parrocchia in qualità di Prevosto (si ricorda che il decreto di erezione a Parrocchia e la relativa nomina a Parroco di Padre Melato era stato emanato il 10 maggio del 1942, in occasione della posa della prima pietra della chiesa/santuario, che sarebbe stata però edificata solo nell’anno intercorso tra il 1954 e il 1955), accolto dalle Autorità e dal popolo.

               Nel pomeriggio, dopo il canto dei Vespri, si fece una Processione per le vie della Parrocchia. La festa fu allietata dalla Banda di Rebbio e Camerlata.

 

             La cappella-chiesetta viene adornata con due bellissime statue, quella del S. Cuore della Vergine Santissima   e quella di S. Francesco (10 ottobre 1943), opera del valente intagliatore Ambrogio Sala di Camerlata. Essa si arricchisce altresì di un baldacchino, lavorato con finezza dalla signorina Adalgisa Noseda.

             La signora Maria Casartelli dona un piviale rosso dorato, e il signor Giamminola Giacomo un piviale bianco dorato.

             Uno alla volta, a seconda delle possibilità dei benefattori offerenti, arrivano una radio, il telefono, il frigorifero e infine la lavatrice.

             Nel viale accanto alla cappella, da Via Belvedere sino al piazzale della chiesa, vengono messe a dimora 47 piante di tiglio, per creare un po’ d’ombra. Viene realizzato un orto dietro il convento, e viene allevata una capra avuta in regalo. Viene anche acquistata (gennaio 1947) la statua della Madonna del Rosario appartenuta alla chiesa di Lora.

             L’11 gennaio del 1949, tre fratellini, Maria Teresa, Luciana ed Alberto Lodigiani, a ricordo dei loro nonni, regalano alla cappellina una Via Crucis in quadri di plastica, Via Crucis che viene sostituita successivamente con un’altra in cartongesso, regalata nello stesso anno dalla signora Lodigiani.

             Nel frattempo (anno 1948), si era tentato di portare nei locali della parrocchia, oltre all’Asilo, anche una seconda e una terza classe elementare. Il Comune non diede però il suo consenso, perché i locali non erano idonei alla funzione.

             Furono anni epici, che resteranno nella storia e nel cuore di tutti coloro che li hanno vissuti.

             Furono anche gli anni della 2^ guerra mondiale, che impose una stasi forzata nella realizzazione del progetto della Chiesa; ma furono soprattutto anni d’intenso lavoro apostolico per i frati, e di grande e determinante impegno per due parrocchiani, il signor Emanuele Cairoli e la signorina Carla Balzaretti. Anni che videro, oltre a quanto detto in precedenza, la creazione dell’oratorio, della scuola di canto e di catechismo, del doposcuola per i ragazzi (dal 1 agosto 1943, con Padre Favaro) e l’avvento del Terz’Ordine Francescano, delle Figlie di Maria agganciate alla Milizia dell’Immacolata, dei quattro rami dell’Azione Cattolica, della conferenza di S. Vincenzo, della Confraternita del Santissimo Sacramento a cui si aggiunsero, alla fine della guerra, il Circolo ACLI e l’Associazione Apostolato della Preghiera.

               Anni epici che si ripeterono quando si dovette affrontare la spesa per la costruzione del santuario. Per sopperire agli ingenti costi edilizi, il 7 settembre 1953 furono infatti convocati nel salone del cinema della parrocchia tutti i capi famiglia del quartiere. Vennero formati due Comitati per la raccolta fondi: uno per la parrocchia e uno per la città.

               Il 12 settembre 1953, oltre a sostituire l’acciottolato del viale della parrocchiale con una gettata di cemento, viene stabilito di fare anche una grande pesca di beneficenza nel grande salone comunale del Broletto, per la data del 1° maggio dell’anno successivo. La raccolta di fondi che ne derivò fu di sole 750.000 lire, grazie soprattutto a benefattori esterni alla città, dato che i comaschi si mostrarono alquanto “freddi“ rispetto all’avvenimento.

               Furono chiesti soldi a tutti: al Comune, che contribuì con larga disponibilità; al Governo, che invece non contribuì affatto; allo stesso Vaticano, e per la precisione, al Fondo per il culto.

   Dal canto suo, la Provincia dei frati del Santo, con la decisione del Definitorio (l’organo di governo della Provincia dei frati di Padova), in data 7 Giugno 1954 si impegnò a sostenere per intero le spese per “la muratura, l’intonaco e le porte” della erigenda chiesa, utilizzando il ricavato della vendita di terreni acquistati, all’inizio, dalla Provincia stessa o avuti tramite legati e donazioni..

In parrocchia si moltiplicarono le recite e le questue. Anche l’ospedale S. Anna diede un proprio contributo.

Tutto servì, e alla fine il santuario fu portato a compimento.

 

d.   L’Ordine Francescano Secolare: nascita e suoi sviluppi.

 

               Il Terz’Ordine Francescano viene istituito a Como il 28 dicembre 1941 su autorizzazione di S.E. il Vescovo Mons. Macchi, al quale Padre Otello Bruno Melato si era rivolto per iscritto, per ottenerne il consenso. Preparati con un triduo da Padre Otello, il 15 marzo 1942 vennero ammessi alla formazione ed al noviziato 50 Terziari. A questi, in occasione della festa di S. Giuseppe, si aggiungerà, l’anno successivo, un altro gruppo di giovani (15). Da ricordare, per la fedeltà all’Ordine mostrata sino alla loro morte, le consorelle Giustina Erba venuta a mancare nel 2000, e Tecla Mascetti Anzani vissuta sino al 2006.

             Patroni dell’Ordine sono Santa Elisabetta d’Ungheria e San Ludovico re di Francia.

Il TOF, (Terz’Ordine Francescano), oggi OFS (Ordine Francescano Secolare), è formato da persone laiche, sposate o non, che, come il Primo Ordine (i Frati) ed il Secondo (le Sorelle Clarisse), emetteno la professione perpetua della Regola di San Francesco, che impegna a passare dalla vita al Vangelo e dal Vangelo alla vita.

               La Fraternità del Terz’Ordine è guidata da un laico con il ruolo di Ministro o animatore, e supportata da un Padre francescano in qualità di suo Assistente spirituale. Nelle fasi iniziali, il Direttore (dal 1971 chiamato Assistente spirituale) fu Padre Otello Melato.

               La prima visita del Segretario dell’Ordine, Padre Luigi Danielli, avvenne il 15 febbraio 1943, in occasione della festa della lingua di S. Antonio. In Como, il primo Ministro del Terz’Ordine fu la signora Rachele Taborelli, la prima segretaria fu Giustina Erba.   La benedizione del loro stendardo si ebbe il 6 aprile del 1952, per mano dell’allora Commissario Provinciale dell’Ordine, Padre Angelo Beghetto. 

 

               Fra i tanti avvenimenti intervenuti in questo lungo lasso di tempo, si ricorda che il 16 ottobre 1960, se pur di passaggio, arriva anche Padre Amedeo Sanvidotto, per uno scambio d’idee sul Terz’Ordine, di cui è delegato. Altre date da ricordare sono: il 6 maggio 1984, giorno in cui ha luogo un incontro fraterno, in un clima di spiritualità e letizia, con Padre Durso e le consorelle di Milano, culminato con un pranzo frugale ma gioioso, e la data del 4 ottobre 1986, giorno in cui è avvenuto il raduno dei Terziari nella Basilica di S. Abbondio per celebrare, con spirito francescano-evangelico, il 6° centenario dell’annuncio cristiano nelle terre comasche.

Periodici sono anche i raduni effettuati a Costabissara (Vi).

               Il 22 novembre 1987, alla presenza di Padre Olindo Baldassa, due nuove consorelle entrano a far parte dell’Ordine Francescano secolare: si tratta di Giulia Beretta e Lidia Angelini.

               Altri seguirono il loro esempio, convalidando la considerazione che lo spirito francescano è perennemente affascinante ed attuale.

                   Nel 1998, in occasione della festa di S. Elisabetta d’Ungheria, Patrona dell’Ordine Francescano Secolare, per sensibilizzare la comunità parrocchiale, l’OFS dà inizio ad una bella e significativa tradizione: al termine della S. Messa vespertina, distribuisce ai fedeli presenti in chiesa i panini benedetti che ognuno è invitato a portare a casa per mangiarlo assieme alla propria famiglia.

            Il 5 Marzo del 2006 ha luogo presso il nostro Oratorio un convegno dell’Ordine Francescano Secolare della Lombardia, preceduto dalla Santa Messa delle 09.30 vissuta assieme alla comunità parrocchiale.

                           Sempre nello stesso anno , come pure negli anni precedenti, la Fraternità ha avuto un progressivo calo numerico sia per la diminuzione delle vocazioni che per la dipartita di diversi suoi componenti divenuti molto anziani. I pochi rimasti non si sono però persi di coraggio, e proseguono nella loro scelta di vita, professando con fedeltà la loro vocazione francescana, passando dalla conoscenza approfondita del Vangelo alla sua applicazione nella vita di tutti i giorni.

 

 

Capitolo 2 °

 

. GLI AVVICENDAMENTI

 

 

a.   I Parroci ed i frati.

 

             Vengono di seguito elencati i Parroci che si sono succeduti dal 1942 ai nostri giorni. Di ogni Parroco vengono anche annoverati i rispettivi collaboratori religiosi. A fattor comune viene indicata la data di arrivo e di partenza da Como, la località nella quale attualmente ciascuno risiede, oppure il luogo e la data di ritorno alla casa del Padre. La ricerca per ricostruire l’intera serie degli avvicendamenti è stata lunga ed onerosa; ci scusiamo per eventuali errori o omissioni.

 

Padre Otello Bruno Melato (Parroco dal 30 ottobre 1942 al 14 settembre 1958). Muore a Mestre l’8 gennaio 1978.

Arriva a Como il 31 ottobre 1941 e assume la carica di Parroco il 30 ottobre 1942. E’ il primo Parroco della parrocchia di S. Antonio.

 

Lo hanno coadiuvato:

 

 

-        Padre Gerardo Agostini, dall’8 novembre 1941 all’8 settembre 1946. Muore a Treviso il 22 dicembre 1966.

-        Padre Giancarlo Brioschi, dal 15 ottobre 1943 al 30 settembre 1945. All’infermeria di Pedavena (BL) dal 2004.

Prima di lui erano venuti per un breve periodo:

         -    Padre Illuminato Favaro, dal 6 luglio al 6 settembre 1943, e Padre Leone Zappi,

               dal 6 settembre al 15 ottobre 1943.

-        Padre Giovanni Giuliani, dal 17 ottobre 1945 al 29 novembre 1951. Deceduto a Pedavena (BL ) il 26-02 2006.

-        Padre Vincenzo Corradini, dall’8 settembre 1946 al 19 maggio 1947. Muore a Treviso il 28 maggio 1983.

-        Padre Corrado Tuffoletti, dal 27 giugno 1947 al 23 settembre 1949. Muore a S. Pietro di Barbozza (TV) il 29 luglio 1992.

-        Padre Marcellino Mendini, dal 23 settembre 1949 al 12 dicembre 1950.

-        Padre Giacinto Comisso, dal 17 novembre 1949 al 19 settembre 1952. Muore a Valdobbiadene (TV) il 28 luglio 1983.

-        Padre Romano Barison dal 11 gennaio 1951 all’1 agosto 1958. Risiede presso l’infermeria del convento di Camposampiero.

-        Padre Silvano Lanaro, dal 19 ottobre 1952 al 16 marzo 1956. Morto a S. Pietro di Barbozza (TV) il 5 aprile 2000.

-        Padre Giovanni Martini, dal 2 dicembre 1954 al 30 ottobre 1957. Muore a Montebelluna (TV) il 14 luglio 2006.

-        Padre Fiorenzo Crivellari, dal 6 marzo 1955 all’11 ottobre 1956. Muore a Venezia il 5 marzo 1977.

-        Padre Ferdinando Frizzarin, dal 30 settembre 1956.

-        Padre Silvestro Fassina, da settembre a dicembre 1958 Muore a S. Pietro di Barbozza (TV) il 29 febbraio 1984.

 

-        Fra Natale De Santi, dal 20 aprile 1943 al 7 luglio 1949. Torna dopo alcuni mesi trascorsi a Padova, per partire definitivamente l’1 dicembre 1956. Muore a Roma il 12 gennaio 1994.

-        Fra Daniele Bertuzzo, dal 27 giugno 1944. Il 5 marzo del 1947 viene ricoverato alla Casa di Salute dei Fatebenefratelli di Solbiate Comasco. Muore a Treviso il 2 febbraio 1961.

-        Fra Stanislao Masetto, dal 7 luglio 1949 al febbraio 1950.

-        Fra Antonio Fioranti, dal 27 novembre 1956.

 

Padre Alfonso Guzzinati (Parroco dal 19 settembre 1958 al 6 settembre 1964).

 

Lo hanno coadiuvato:

         -     Padre Ferdinando Frizzarin, fino al 23 giugno 1960. Risiede a Treviso.

-        Padre Valentino Fiscon, dal 19 settembre 1958 al 29 settembre 1964; dal 2005 Guardiano del convento-infermeria di San Pietro di Barbozza (TV).

-        Padre Stefano Silvani, dal 15 novembre 1959.

 

         -     Fra Antonio Fioranti, fino al 22 aprile 1958. Muore a Trieste il 21 maggio 1988.

-        Fra Leonardo Rasia, dal 24 maggio 1958 al 1 febbraio 1960; successivamente missionario in Argentina dove attualmente ancora risiede presso il convento di El Bolson.

-        Fra Raffaele Fornasiero, dal 25 settembre 1960.

-        Fra Evanzio Rosso, a Como dal 1961 al 1962.

-        Fra Stanislao Masetto, ritorna il 15 ottobre 1962 per ripartire il 30 settembre 1964. Risiede a Camposampiero (PD) dal 1988.

 

Padre Fausto Zanfei (6 settembre 1964 – 17 ottobre 1970). Risiede presso l’infermeria di San Pietro di Barbozza.

 

Lo hanno coadiuvato:

-        Padre Stefano Silvani, a Como dal 1959 al 1965 e vi ritorna dal 15 settembre 1966.

-        Padre Graziano Bastianello, dall’1 ottobre 1964 al 28 ottobre 1966. Muore a Rovato (BS) 28 ottobre 1985.

-        Padre Rodolfo De Concini, dall’ 1 ottobre 1964.

-        Padre Enzo Faglia, dal 9 novembre 1966 al 15 ottobre 1967.

-        Padre Michele Bernardi, a Como dal 1967 al 1971.

 

-        Fra Ottavio Pizzinato, dal 30 settembre 1965.

-        Fra Raffaele Fornasiero.

 

Padre Berardo De Grandis (Parroco dal 18 ottobre 1970 al 16 settembre 1979). Muore a Copiapò (Cile) il 27 dicembre 2005.

 

Lo hanno coadiuvato:

-        Padre Rodolfo De Concini.

-        Padre Stefano Silvani, fino al 30 settembre 1973. Muore a Camposampiero (PD) il 23 maggio 2004.

-        Padre Michele Bernardi, fino al 3 ottobre 1971. Passato ai sacerdoti diocesani.

Opera attualmente in Calabria.

-        Padre Luigi Cerea, dal 14 settembre 1977.

-        Padre Francesco Ruffato, dal 1° febbraio 1972 al 23 settembre 1976. Risiede a Padova.

-        Padre Alfonso Guzzinati, torna il 20 settembre 1973 come Guardiano. Parte il 18 agosto 1979. Risiede a Milano.

 

         -   Fra Raffaele Fornasiero, a Como dal 1961 al 1971. Muore a S. Pietro di Barbozza (TV) il 13 gennaio 2000.

         -   Fra Ottavio Pizzinato.

 

 

Padre Mario Peruzzo (Parroco dal 15 settembre 1979 al 10 settembre 1988). Risiede a Mestre (VE).

 

Lo hanno coadiuvato:

-        Padre Rodolfo De Concini.

-        Padre Luigi Cerea.

-        Padre Giuseppe Beraldo, dal 10 settembre 1988.

 

         -     Fra Ottavio Pizzinato.

 

 

Padre Bruno Garbo (Parroco dal 18 settembre 1988al 27 settembre 1997). Risiede a Vicenza.

 

Lo hanno coadiuvato:

-        Padre Rodolfo De Concini, fino al giorno della sua morte intervenuta a Cles   (TN) l’11 settembre 1997.

-        Padre Luigi Cerea, fino al 17 settembre 1997. Risiede a Milano.

-        Padre Giuseppe Beraldo, fino al 28 settembre 1989. Muore a Feltre ( L) il 30 novembre 2003.

-        Padre Damiano Valdagni, dal 1 ottobre 1989 fino al giorno della sua morte, intervenuta il 18 febbraio 1992.

-        Padre Benigno Scarpazza, dal 15 novembre 1995.

-        Padre Luigi (Sergio) Piovan, dal 17 settembre 1996.

 

         -     Fra Ottavio Pizzinato, fino al giorno della sua morte, avvenuta a Como l’11 ottobre 1988.

         -     Fra Alberto Origgi, dal 17 settembre 1997.

 

 

Padre Guido Bisognin (Parroco dal 28 settembre 1997 al 25 settembre 2005). Risiede a Vicenza.

 

Lo hanno coadiuvato:

   -   Padre Luca Bridio, dal 7 settembre 2004.

   -   Padre Benigno Scarpazza, fino al 17 settembre 2004. Risiede a Padova.

   -   Padre Luigi (Sergio) Piovan fino al 12 settembre 2004. Risiede a Camposampiero (PD).

   -   Padre Giovanni Milani, dal 7 settembre 2004.

   -   Padre Alberto Origgi, fino al 10 settembre 2000. Risiede a Treviso.

   -   Fra Cosma Cazzaro, dal 9 ottobre 2000.

   -   Fra Corrado Algarotti, dal 25 novembre 2002 al 2 ottobre 2005. Risiede a Torino.

 

Padre Fernando Spimpolo ( Parroco dal 25 settembre 2005 ai giorni nostri).

 

Lo coadiuvano:

-        Padre Luca Bridio.

-        Padre Giovanni Milani.

   -     Padre Silvano Zoccarato, deceduto nel 2009

 

   -     Fra Cosma Cazzaro.

 

 

 

b . I Cappellani del carcere.

 

               Nel 1984, per volontà del Vescovo Teresio Ferraroni e previo consenso del Ministro Provinciale, Alessio Squarise, ai Frati Minori Conventuali fu affidata la Cappellania del carcere di Como.

               Padre Mario Peruzzo, già Parroco dal 15 settembre 1979, è il primo Frate ad essere nominato Cappellano delle carceri di Como, il 24 novembre 1984. Egli svolge la sua cappellania, inizialmente nella vecchia struttura di S. Donnino in Como, e successivamente nella nuova Casa Circondariale del Bassone, in località Albate, fino al settembre del 1988.

               Diceva Padre Mario, primo Cappellano delle carceri, a proposito di questo Istituto: “Io vi entro come sacerdote per esaltare un messaggio di umanità anche nella pena del colpevole, per favorire con ogni mezzo il reinserimento in una società che resta ostile al detenuto, per suscitare la speranza di una vita diversa, per portare un messaggio di salvezza nel nome di Cristo e della Chiesa. E’ un compito quanto mai arduo, ma non mi arrendo. Nei momenti più difficili guardo a Gesù, il Maestro, che non a caso fu attento anche alla Maddalena ed a Zaccheo, una prostituta ed un ladro. E la prima persona di cui abbiamo notizia, abbia portato in paradiso con Lui, fu un condannato a morte, proprio sulla croce. Poi subito ricordo le parole: “Ero carcerato e mi siete venuti a visitare”.

La mia - aggiunge Padre Mario - è una visita per ascoltare, per condividere una sofferenza e talvolta, come suggerisce lo Spirito, per parlare insieme, per proporre le ragioni di una speranza che neppure le sbarre possono distruggere.“ (da “L’Informatore” del settembre 1987).

               Con il suo successore nella cappellania, Padre Luigi Cerea, il mandato ricevuto assume un notevole impulso, e ciò grazie anche all’opera svolta dai volontari. Molteplici sono le iniziative assunte per alleviare in una qualche maniera la vita carceraria di tutti i giorni. Da Padre Luigi, vengono organizzati incontri di calcio e di basket, spettacoli teatrali ed esibizioni di cori, celebrazioni religiose e lotterie per la raccolta fondi devoluti ai più bisognosi, tombolate seguite da un piccolo rinfresco. In moltissime di queste attività, sono gli stessi gruppi parrocchiali a dare spesso una mano.

               Un’opera di carità, questa, da sempre voluta fortemente dalla Provincia religiosa dei frati di S. Antonio, e continuata fino ad oggi attraverso l’impegno degli altri cappellani del carcere, di seguito elencati in ordine di avvicendamento:  

 

- Padre Luigi Cerea, dal 9 settembre 1988 al settembre del 1997;

 

- Padre Luigi (Sergio) Piovan, dal 17 settembre 1997 al settembre del 2004;

 

- Padre Giovanni Milani, dal 18 settembre 2004 ai nostri giorni.

 

 

 

c.   Le suore dell’Asilo e della Scuola Materna (oggi Scuola paritaria dell’infanzia).

 

           Dell’Asilo e della Scuola materna si parlerà in maniera dettagliata più avanti. In questo paragrafo, vengono solamente elencate le Congregazioni e le suore che si sono succedute, dal 1940 ad oggi, nella conduzione e nella gestione di istituzioni così delicate, quali appunto sono state, e tuttora lo sono, quelle dell’Asilo e della Scuola materna di S. Antonio.

           Per quanto attiene le prime due Congregazioni, non è stato possibile reperire tutti i nominativi delle Suore che si sono succedute nel tempo. Ce ne scusiamo anticipatamente.

 

 

Ancelle dell’Immacolata di Parma, a partire dal 31 ottobre 1940 e fino 31 ottobre 1963.

 

Suor Maria Saveria Montanini;

Suor Rosalia;

Suor Innocenza Amati;

Suor M. Scolastica Casati;

Suor Giuliana Malacarne;

Suor Maria Aurora Clerici;

Suor Emilia Salvadori.

 

 

Serve di Gesù Cristo di Agrate Brianza, a partire dall’ 11 febbraio 1966 e fino al 20 maggio 1991.

 

Suor Adele Frattini, fino al giorno della sua morte, verificatasi il 21 gennaio 1988;

Suor Emma;

Suor Fausta;

Suor Enrica;

Suor Disola Bianchi;

Suor Teresina Bianchi, che è stata anche insegnante presso le Scuole Elementari di Albate;

Suor Rosanna Ferrario.

 

 

Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca, a partire dal 7 ottobre 1991 fino ai nostri giorni.

 

Suor Michelina: lascia la scuola e la parrocchia il 20 febbraio 2006;  

Suor Ancilla (nata in India), arriva il 7 ottobre 1991;

Suor Mirta (nata nelle Filippine), fino all’agosto del 1992;

Suor Cirilla (nata in India), arriva il 2 settembre 1996;

Suor Lisetta, dal 1992 al 1993;

Suor Adelina;

Suor Marilena (nata nelle Filippine), dal 2003 al luglio 2005;

Suor Luisa fino al 4 settembre 2006;

Suor Marianna (nata nelle Filippine), trasferita in altra sede dal 26 agosto 2006;

Suor Arianna, arrivata il 24 agosto 2006;

Suor Diletta, arrivata il 20 ottobre 2006.

 

 

 

 

d . I Vice Presidenti del Consiglio Pastorale Parrocchiale.

 

            Il Consiglio Pastorale è composto da un gruppo di laici eletti dalla comunità parrocchiale; è presieduto dal Parroco, mentre la vicepresidenza è sempre riservata ad uno dei laici eletti. Tale organo è chiamato, col parroco, ad animare la parrocchia in tutte le sue attività pastorali.

Riportiamo di seguito i Vice presidenti che si sono succeduti nell’incarico di cui trattasi, a partire dalla sua introduzione avvenuta con il Concilio Ecumenico Vaticano II.

 

-        Signor Onofrio Gangemi,dal 1968 al 1974;

-        Signor Lorenzo Sossan, dal 1974 al1981;

-        Signor Carlo Terragni, dal 1981 al 1994;

-        Signora Armanda Arnaboldi, dal 1994 ad oggi.

 

 

e. I Presidenti del Consiglio di Amministrazione della Scuola materna.

 

-        Signor Carluccio Cairoli, dal 1961 al 1970;

-        Signor Piero Cairoli, dal 1971 al 1990;

-        Signor Bruno Corengia, dal 1991 al 1994;

-        Signor Carlo Terragni, dal 1994 ad oggi.

 

 

 

f . L’ Ordine Francescano Secolare.

  

      I Ministri della Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare della Parrocchia di Sant’Antonio, dal 1943 ad oggi:

 

Dal 1943 al 1946 e dal 1956 al 1958: signora Rachele Taborelli;

dal 1946 al 1948:   signora A. Montorfano;

dal 1948 al 1956 e dal 1958 al 1962:   signora Ines Ballerini;

dal 1962 al 1979:   signora Gemma Colella Parisi;

dal 1979 al 1993:   signorina Giustina Erba;

dal 1993 al 2000:   signor Paolo Merlo;

dal 2000 ad oggi:   signorina Giuliana Romani.

 

 

g. Il coro.

 

La prima Schola Cantorum della Chiesa di S. Antonio fu organizzata con l’aiuto delle suore, il 17 novembre 1941, in occasione di una “Messa di Requiem” in suffragio dei caduti della guerra. Si cantava a voci scoperte. Solo in occasione della posa della prima pietra della chiesa, si avrà un harmonium procurato, da un benefattore.

Il 14 luglio 1942 arriva, dalla Ditta Lanzani di Seveso, l’harmonium donato da Padre Giacomo Gorlatto, Rettore del Santo di Padova.

           Fondatore della Scuola di canto è stato Padre Giancarlo Brioschi. Alla sua partenza, gli subentreranno Padre Giovanni Giuliani, e Padre Giovanni Martini, a partire dal 2 dicembre 1954.

Dal 1 novembre del 1952 si poteva intanto contare su un giovane organista di Albate, il maestro Augusto Aramini.

           Nel 1973, Padre Francesco Ruffato s’incarica di dar vita ad un coro “zonale”.

Il coro però arriva ad esprimere un livello di qualità superiore a partire dall’aprile del 1983, con Padre Rodolfo De Concini. Nell’occasione assume un proprio nome: “ALBA”. Molto apprezzate le sue esecuzioni corali, tra le quali occorre ricordare anche quelle effettuate in mezzo ai carcerati.

           Il coro “Alba“ si scioglierà, alla fine degli anni 80, per autodecisione dei suoi componenti, che andavano via via diminuendo numericamente.

           Gli subentrerà la corale “Gruppo amico”, che tuttora si esibisce in chiesa sotto la direzione del dottor Valeriano Maspero, a partire dalla scomparsa di Padre Rodolfo.  

 

 

h. I giornalini parrocchiali.

 

I giornalini parrocchiali rappresentano una delle anime pulsanti di una Parrocchia.

Nella nostra comunità si sono spesso alternati momenti di silenzio e momenti di sano clamore nelle varie “testate” che si sono susseguite. Di pari passo con predetti momenti, si sono affermati, in misura più o meno evidente, i giornalini di seguito ricordati, che hanno contribuito in maniera significativa ad informare e a formare la comunità:

- Il Ponte - (dall’ottobre 1961al giugno 1971);

- Il Bollettino parrocchiale “Insieme“ - in forma ciclostilata - (dal 20 febbraio 1972 al 10 marzo 1973, data in cui è stato sostituito con il Settimanale della Diocesi);

- L’Informatore - (dall’aprile 1979 al dicembre 1994);

- Compagnia del Presepe - (dal dicembre 2005 ad oggi).

 

 

i. Collaboratori nella vita quotidiana del Convento e della Chiesa.

 

         Vengono ricordate in questo paragrafo alcune persone che, parrocchiani o no, a vario titolo hanno dato alla nostra comunità parrocchiale tempo, disponibilità e passione. Ci scusiamo fin d’ora con coloro che non sono stati nominati, a causa della impossibilità di rinvenire i loro nomi, in alcun documento d’archivio, o da informazioni assunte, o per mera dimenticanza. Sono persone che hanno dato la loro disponibilità come cuoco, personale di pulizia, addetto al guardaroba o al lavaggio della biancheria, ecc. La loro opera è risultata determinante nel tempo per i frati alternatisi e/o presenti nel convento di Como.

           Ci troviamo di fronte a figure di gente semplice, ma sempre disponibile o per devozione al Santo o per loro propria natura. I nominativi dei predetti, preziosi collaboratori laici, ai quali si è potuto risalire sono: Caterina Guzzinati, madre dell’omonimo prevosto, Enrico Simon, Maria Brusa nota per essersi dedicata ininterrottamente, giorno per giorno, ai molteplici bisogni della chiesa e del convento, e per essere stata a lungo responsabile della rivendita di oggettistica sacra, allestita nella nicchia della chiesa ove attualmente viene installato il presepe, i signori Caserini e consorte, Enrichetta Borghi, Maria Fabiano, signor Caressini, Adele Casartelli, Lina Ostinelli.

             Per i collaboratori attuali, si rimanda più avanti, al capitolo 7°.

 

 

 

 

 

Capitolo 3°.   LE OPERE MURARIE

 

 

a . La Chiesa ed il suo affresco.

 

             Quando i frati (Padre Otello Bruno Melato e Padre Gerardo Agostini) arrivarono a Como nel lontano 1941, la chiesa era ancora da erigere. Per celebrare le funzioni religiose veniva utilizzata la sala dell’Asilo di Via Monte Santo, messa a disposizione di Padre Melato da suor Saveria (Madre Superiora delle Ancelle dell’Immacolata, già presenti in loco dal 31 ottobre 1940). In alternativa, si celebrava nella cappella del cimitero di Camerlata.

             I terreni su cui attualmente sorge la Chiesa vengono acquistati dopo una lunga trattativa fra Padre Otello, la signora De Orchi – Scalabrini (sorella di Mons. Scalabrini, Vescovo di Piacenza) proprietaria di un appezzamento a prato antistante la collinetta, l’ospedale S. Anna, proprietario della collinetta, il Commissario prefettizio Comm. Luigi Aliverti ed il Comune, con l’intervento di vari rappresentanti della Provincia patavina).

             Alla fine tutto va per il meglio. Grazie all’interessamento del Comm. Aliverti, la collinetta che apparteneva all’ospedale “S. Anna” viene regalata ai frati dal Comune, che riesce ad effettuare una permuta di terreni con l’ospedale. La signora De Orchi, da parte sua, cede il terreno ad un prezzo leggermente inferiore a quello da lei inizialmente richiesto.

             Si arriva così alla domenica 10 maggio 1942, quando, alle ore 17, S.E. Mons. Alessandro Macchi, Vescovo di Como, benedice e posa la prima pietra dell’erigenda chiesa di S. Antonio, alla presenza di molte persone e delle Autorità locali religiose e civili.

             Grande fu l’animazione dei cittadini, che esposero addobbi alle finestre, festoni verdi e striscioni con scritte: “Viva la parrocchia di S. Antonio”, “Viva il Vescovo”. Intensa l’attenzione e la commozione di tutti, quando la pietra, contenente la pergamena chiusa in un cilindro di piombo con monete e medaglie, fu calata nello scavo.

             Terminata questa cerimonia, il corteo scese alla sala dell’Asilo di Via Monte Santo (larga all’epoca solo quattro metri). Qui, alla presenza del Vescovo, il suo segretario particolare don Odescalchi leggeva il decreto di erezione della nuova Parrocchia Prepositurale, che veniva affidata “pleno iure“ ai Frati Minori Conventuali della Provincia Patavina. Cantato il Te Deum, il Vescovo pronunciò parole di circostanza, ricordando il significato della parrocchia per il credente e per il cittadino, elogiando l’opera dei Padri e facendo gli auguri alla popolazione, che veniva così assistita. Infine, come inizio e simbolo della vita della nuova Parrocchia, Sua Eccellenza amministrò il Battesimo ad una neonata della famiglia Mauri. Poiché mancava il fonte battesimale, venne usato un catino per raccogliere l’acqua benedetta, versata sul capo della battesimanda con una chicchera.          

             Alla piccola furono imposti i nomi di Maria, Antonia, Alessandra, con opportuna scelta: Maria, perché eravamo nel mese di maggio, Antonia, in onore di S. Antonio, titolare della parrocchia, ed Alessandra, per richiamare il nome del Vescovo di allora, Mons. Alessandro Macchi. (Alla nostra parrocchiana Maria Mauri, ora abitante in Via S. Bernardino, 32, l’augurio che questo insigne privilegio le propizi grazie speciali e la divina protezione!).

               Ma torniamo un momento indietro, per conoscere alcuni altri particolari e informazioni non secondarie.

Vicino alla pietra che attendeva di essere benedetta, spiccavano due tabelloni con la raffigurazione grafica del maestoso tempio, opera dell’architetto A. Foschini, professore ordinario all’Università di Roma. A realizzare il progetto in qualità di dirigente dei lavori, viene chiamato l’ingegnere Chieregato. L’impresario è il signor Antonio Bergamo (già impresario della chiesa dei Frati a Trieste), che morirà il 23 novembre del 1942, vittima di un cavallo imbizzarrito. Aiutante ed uomo di fiducia dell’ingegnere Chieregato è il signor Francesco Granzotto.

             Il progetto iniziale prevedeva una facciata racchiusa fra due torri campanarie posizionate ai due lati della facciata stessa, ed un chiostro che correva parallelamente alle due fiancate della chiesa. A causa della guerra, di questo progetto non se ne farà nulla.

             Tuttavia, in base a quel progetto, il 1 luglio 1942 iniziano, sulla collinetta, i lavori di sbancamento per la costruzione della chiesa. I lavori sono affidati all’impresa G. Della Vigna di Como. Si decide di procedere alla prima parte della costruzione complessiva, comprendente l’abitazione dei Padri e la cappella che doveva fungere da chiesa fino a quando non sarebbe stato eretto il Santuario. Il 1 settembre 1942, vengono gettate le fondamenta delle predette costruzioni .

               L’edificio della nuova cappella parrocchiale comprendeva buona parte del pian terreno e del primo piano dell’oratorio. L’11 aprile 1943, alle 17.30, Mons. Macchi benedice la chiesetta e gli altri ambienti adibiti alle esigenze parrocchiali (uno di questi locali servirà anche da Asilo a partire dal 1944) e alla residenza dei frati (cioè il convento, situato al secondo piano). In essa, il giorno seguente, viene celebrata la prima S. Messa. Nella circostanza, viene benedetto anche lo stendardo di S. Antonio, a cui fa da madrina la signorina Giustina Erba. Spesso però, per l’insufficiente capienza della cappella, le funzioni venivano celebrate all’aperto di fronte alla grotta della Madonna di Lourdes. In quei casi il predicatore doveva parlare dalla finestra della camera di Fra Natale De Santi).

               Nel frattempo (ed esattamente nell’anno 1948) il vasto cortile della chiesa venne chiuso con un solido muraglione di contenimento (lungo m. 45) dalla parte della montagnola in cui era stata ricavata la grotta di Lourdes. L’anno precedente era stato eretto un recinto in pietra bruna di Moltrasio sormontato da artistica cancellata, lungo un tratto del viale parallelo a Via Belvedere, chiudendo così lo spazio rimasto aperto tra la montagnola e la cappella. Sempre nel 1948 fu innalzata una tettoia nel lato nord-ovest del cortile per riparare i ragazzi dell’oratorio dalla pioggia e dal sole.

                 La cappella provvisoria fu arricchita da sei candelieri e con una croce in bronzo, squisita opera della ditta Lissi di Como, per ricordare la nomina di S. Antonio a Dottore Evangelico. Fu inoltre dotata di banchi, di una portantina per reggere la statua di S. Antonio nelle processioni, e di un solido altare in legno, per celebrare all’aperto le funzioni in alcune solennità e in particolari circostanze. Si poté disporre di un comodo e decoroso armadio per la sacrestia, acquistato dal falegname signor Trombetta Enrico. Padre Gerardo ebbe finalmente una scrivania, comperata dalla signora Maria Taiana di Albate.

                 Si supplì alla mancanza del campanile, mediante l’installazione delle campane-radio con altoparlanti. Si pensò anche a migliorare gli strumenti per l’intrattenimento di ragazzi e giovani, acquistando un proiettore per il cinema dell’oratorio. 

 

               Ma sarebbe troppo lungo e noioso elencare tutti i piccoli passi di miglioria decisi e concretizzati, Torniamo dunque ai lavori dell’attuale chiesa/santuario, che riprendono vigore nel luglio del 1953, per giungere a conclusione nella primavera del 1955.

               Il 29 maggio 1955, il Superiore Provinciale, Padre Angelo Beghetto, benediceva ed apriva al culto la nuova chiesa, che veniva consacrata il 10 novembre 1956. Una lapide posta in fondo alla chiesa ricorda la consacrazione ufficiale dell’edificio compiuta dal Vescovo pro tempore, S. E. Mons. Bonomini, succeduto a Mons. Macchi morto improvvisamente il 2 agosto 1947 nell’ospedale Valduce. Per sua espressa volontà fu sepolto nella chiesa di S. Rocco, dove riposa tuttora. (

               La forma definitiva della chiesa–Santuario di S. Antonio è opera progettuale del prof. Vecchi, membro della Sopraintendenza delle belle arti di Venezia, con la cooperazione dell’ing. Giovanni Seravollo di Vittorio Veneto, ed è stata eretta dall’impresa edile Mondelli Battista di Cernobbio. Il nuovo progetto, presentato il 13 febbraio 1953, presupponeva che il Santuario potesse essere osservato da ogni parte. Il progettista prevedeva anche che la chiesa fosse dotata di un campanile a pianta quadrata, alto 53,50 metri dal piano del piazzale. Dietro la chiesa doveva sorgere la “Casa del fanciullo”.

             La chiesa è ad una sola navata; misura m. 53,50 di lunghezza, m. 23,70 di larghezza ed altrettanti di altezza. Non è eccessivamente grande ed è priva di campanile, rimasto sfortunatamente sulla carta, ma il luogo elevato dove sorge e la struttura slanciata della costruzione, la fanno sembrare monumentale. Può essere interessante sapere che, per realizzare tutto ciò, fu necessario scavare, spostare e movimentare circa 10.000 metri cubi di terra.

             Particolare menzione merita la parte frontale della facciata.

Rotta alla base da un porticato di sette archi (cinque frontali e due ai lati, la facciata si lancia nel cielo con una fuga di lesene snelle come canne d’organo, nei vani delle quali si aprono le lunghe e strette finestre. In alto, appoggiate su bianchi rostri, si stagliano sette statue arrivate da Vicenza il 24 settembre 1954. Esse rappresentano i più gloriosi Santi dell’Ordine, e precisamente:

 

  1. S. Antonio di Padova, nato a Lisbona, in Portogallo, nel 1195, dalla famiglia dei Buglioni. Da giovane entrò tra i Canonici regolari di S. Agostino a Coimbra. Poi si fece francescano, desideroso del martirio; invece il Signore lo volle a Padova, dove morì nel 1231.
  2. S. Francesco, nato ad Assisi nel 1182, Da ricco mercante che era, si fece povero, ascoltando l’invito di Gesù: “Francesco, ripara laChiesa!”. I suoi vecchi amici, che all’inizio lo prendevano per pazzo, poi lo seguirono nella vita della povertà. Morì nel 1226, dopo aver fondato i 3 Ordini francescani: frati, clarisse e laici (anche sposati).
  3. S. Chiara,
  4. S. Giuseppe da Copertino (Lecce), nato nel 1603. Si dedicò al sacro ministero, per la salvezza delle anime. Visse da santo frate conventuale, in grande penitenza e intensa preghiera. Morì nel 1663. E’ chiamato il “Santo dei voli” per le sue estasi.
  5. S. Bonaventura, nato nel 1221. Generale dell’Ordine, Vescovo e Cardinale, scrisse la più genuina "Vita di S. Francesco". Morì nel 1274. E’ chiamato il “Dottore serafico” per la sua santità e dottrina.
  6. S. Elisabetta, regina d’Ungheria, nata nel 1207. Dopo la morte del marito, fu cacciata dal castello, coi tre figli. Lo spirito francescano la aiutò a vivere, povera tra i poveri, curando malati e lebbrosi. Morì nel 1231. E’ la patrona dell’Ordine Francescano Secolare.
  7. S. Ludovico IX, re di Francia, nato nel 1214. Promosse la giustizia e la pace tra i prìincipi. Visse il carisma francescano nell’orazione e nelle opere pie, specie verso i poveri. Morì nel 1270. E’ il patrono dell’Ordine Francescano.

 

 

 

Originali sono i tre portoni d’entrata, i quali non si aprono sui cardini, ma scorrono su carrucole invisibili. Quello centrale è scolpito: vi sono ritratti episodi e fatti importanti citati nella Sacra Scrittura, eseguiti in uno stile scultoreo moderno.

             All’interno della chiesa, subito sopra il grande arco del presbiterio, è posto un Crocefisso in vetro istoriato, realizzato su disegno dello stesso architetto della chiesa. L’ideatore si riprometteva da questo lavoro svariati effetti di luce. In verità, con i suoi occhi incavati fino all’infinito e con le sue membra allungate in una sofferenza spasmodica, il Crocefisso assume un aspetto cupo, potenziale fonte di timore per il fedele o il pellegrino in visita al Santuario.

             Piacciono molto gli archi a tutto sesto che si rincorrono maestosi a sottendere e formare le diverse cappelle su entrambi i lati della chiesa. Il transetto è limitato alle due estremità da coppie di confessionali, di fattura moderna ma originalissimi. Il pavimento di marmo lucido con colori differenziati per zone, sembra scandire i settori della chiesa dove sono collocati i banchi per i fedeli.

             Intimamente uniti alla chiesa, tanto da formare un unico complesso estetico ed artistico, sono il piazzale, la gradinata e le due vie che superano la lieve erta del colle, dividendosi ad arco, per riunirsi alla fine a convergere sul sagrato.

             Sul piazzale antistante la chiesa doveva sorgere, secondo il progetto iniziale, una fontana con al centro la statua fosforescente (perché potesse essere vista da ogni angolo della vallata) di S. Antonio in atto di predicare ai pesci. Di questa parte di progetto non se ne fece nulla.

             L’altare maggiore, dono del comm. Giuseppe Terragni in occasione del suo 25° anniversario di nozze, è tutto in labradorite di Svezia, eccetto la mensa che è un blocco di candido marmo di Carrara. Marmo di colore rosso imperiale è stato scelto per i gradini e la predella, a piacevole contrasto con quello grigio del fondale. Il dosso di quest’ultimo è invece in granito di Aosta.

             I candelieri in ottone pettinato a forma di tromba, in stile “Beato Angelico”, poggiano su sei bianche mensolette inserite nel fondale a circa 20 cm. dal piano della predella. Il tabernacolo, in onice del Perù, sormontato da una corona da cui scende il conopeo, ha un’artistica porta di sicurezza in bronzo fuso su cui spiccano le parole: “E il pane che io darò sarà la mia carne“. Tutt’intorno all’alzata del 1° gradino c’è scritto, a sinistra di chi guarda: “8 – 9 – 955 – Nozze d’argento“; nel centro: “Abbiamo amato lo splendore della tua casa“; a destra: “Giuseppe e Gemma Terragni“. Sul fronte dell’ara sacrificale spicca, in rosso vermiglio, la frase evangelica, pronunciata da Cristo nell’ultima cena: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi“.

La prima messa vi venne celebrata il 29 aprile 1956.

                 Aperta la chiesa al culto, bisognava vivacizzarla all’interno ed all’esterno. Nell’interno vennero sistemate le cappelle laterali, fra le quali spicca quella di S. Giuseppe lavoratore, (dono del comm. Giuseppe Scacchi), il cui altare viene consacrato il 27 febbraio 1957 dal cancelliere della Curia vescovile, Mons. Andreani. All’esterno si provvide a sistemare definitivamente il piazzale della chiesa, a costruire in cemento armato e rivestire in porfido la gradinata centrale, ad asfaltare la strada di accesso, ingentilendola ai lati con piante di tiglio e siepi di ligustro e sempre verdi, e a garantire l’illuminazione delle vie di accesso e della scalinata della chiesa stessa.

             Domenica 7 novembre 1965, in voluta coincidenza con l’inizio delle Sante Missioni, la chiesa viene riscaldata per la prima volta con un sistema in quel tempo tipico di quasi tutte le chiese.

             Si tratta di un termoventilatore della potenza di 350.000 calorie/ora, dotato di un bruciatore che consuma 30-50 kg. di gasolio all’ora. Il nuovo impianto segna il “pensionamento” del precedente sistema di riscaldamento a gas, costituito da bombole e radiatori.

           A partire dal maggio 1983, il Santuario subisce una serie di lavori di manutenzione: vengono sostituite prima le finestre basse ormai logore, e poi le finestre alte; vengono inoltre puliti i muri esterni, rilevigato il pavimento, scrostato il colore giallo delle pareti, e ridipinto tutto l’interno della chiesa. Nel medesimo periodo di tempo si sostituiscono le scossaline ed i pluviali dell’intera copertura, previa rimozione di quella precedente, con recupero dei coppi e rifacimento del manto ricoprente. Mentre si lavora sul tetto, si consolidano sia l’ancoraggio della croce di testata, sia le trombe dell’impianto campanario. Analogamente si procede al rinnovo dei tetti laterali e al rifacimento dell’impianto parafulmine. Durante l’effettuazione di tutti questi lavori le S.S. Messe vengono celebrate sul sagrato della chiesa.

             Nell’agosto del 2001, a causa di forti temporali, il tetto della chiesa subisce dei danni che richiedono la sostituzione di parte delle grondaie e di alcuni pluviali .

           Nell’agosto del 2002, è la volta degli impianti di amplificazione e di illuminazione della chiesa ad essere rifatti, in quanto necessitavano di essere messi a norma e risultavano ormai insufficienti.

           Nel giugno del 2006, in occasione della festa di S. Antonio, la chiesa presenta un nuovo look in quanto, a seguito di ripetute infiltrazioni d’acqua sotto l’intonaco, il porticato è stato sottoposto ad un drastico risanamento, che ha anche permesso di liberare, ripulire e rimettere “a vista” i mattoni dei sette archi che lo compongono, e che ora figurano più in armonia con la sovrastante facciata.

           Parliamo ora dell’affresco presente nell’abside della Chiesa.

Opera dell’artista comasco Mario Bogani, viene presentato alla Comunità parrocchiale sabato 1° novembre 1986, in tutta la sua estensione pari a 170 metri quadrati.

Le figure che vi sono rappresentate hanno una impostazione ascensionale in parte condizionata, nella fascia bassa dell’abside, dalla balaustra dell’altare maggiore – allora esistente, e poi rimossa - che ha indotto il pittore, fin dalla base, alla divisione netta delle scene. Queste poi salgono, con armonico movimento, verso il culmine di una ipotetica piramide, dominata dal Cristo glorioso, evocante la figura del “Pantokrator” frequente nelle basiliche romaniche.

 

             Il Cristo vi è raffigurato come sole glorioso, e funge da collegamento per le scene laterali poste in basso nel dipinto, e fra loro separate: la vocazione l’una, la totale realizzazione dell’uomo l’altra. A sinistra, S. Antonio di Padova incontra S. Francesco d’Assisi; a destra, S. Antonio, assistito da due confratelli, eleva un canto al Redentore.

             Salendo verso la gloria del Cristo, si incontrano le scene madri del dipinto. A destra, avvolta in un’atmosfera dorata, è rappresentata la gloria delle figure di Santi tratti dalla storia francescana: S. Antonio di Padova, S. Chiara, S. Massimiliano Kolbe, S. Leopoldo Mandic, Sant’Elisabetta d’Ungheria con bambino, a cui si aggiunge S. Felice, primo Vescovo di Como. L’atmosfera calda e luminosa del gruppo e la morbidezza delle figure identificano in loro l’apprendimento e la testimonianza di una fede profonda, che sono premiati con la partecipazione alla gloria, e che diventano spontaneamente proposta di vita evangelica. A sinistra, in un’atmosfera più opaca e cupa, si delinea la scena dedicata alla gente comune. Vi è qui rappresentato il popolo, assillato dai problemi quotidiani e dalle insidie di una società corrotta e speculatrice che tuttavia cerca, attraverso la fede, un futuro migliore di pace e serenità, spiegando in tal modo l’avvicinamento a Cristo.

             Quasi ai piedi del Cristo, al centro di un fascio di luminosità soprannaturale, un bambino povero e scalzo accoglie a braccia aperte quel Cristo vittorioso, estrema rivelazione dell’amore di Dio Padre.

             Lo scoprimento del dipinto, realizzato con la tecnica della pittura a fresco, è avvenuto alla presenza di Padre Olindo Baldassa, Vicario Provinciale.

             L’inaugurazione ufficiale avviene il 13 giugno 1987. Va peraltro annotato che, secondo il progetto iniziale, l’abside doveva ospitare un mosaico che non venne realizzato per la particolare conformazione dei muri, che non l’avrebbero retto.          

           Va altresì ricordato un fatto curioso, non a tutti noto, intervenuto nell’elaborazione del dipinto. Poiché il Bogani non si considerava soddisfatto per l’espressione attribuita alla figura di S. Antonio, mentre la dipingeva chiese, ottenendone il consenso, a padre Luigi Cerea di fargli da modello per delineare, dal vivo, le fattezze del volto del Santo.

           Un accenno, infine, all’organo attualmente presente in Chiesa. E’ un organo “Gem Concerto” a tre tastiere manuali (61 note) più pedaliera (32 note), che arriva in Parrocchia il 12 ottobre 1993, acquistato con un contributo straordinario stanziato dalla Cariplo.          

            Esso diventa subito operante, soprattutto grazie ai componenti del coro, che hanno provveduto direttamente all’installazione dello strumento e del relativo impianto elettrico.

           Con il suo arrivo, il coro “Alba“, che per il passato aveva allietato e solennizzato tanti momenti liturgici comunitari, viene praticamente a sciogliersi, come già accennato, per autodecisione dei suoi componenti in fase di graduale diminuzione numerica.

           Gli subentrerà la corale “Gruppo amico“ che tuttora accompagna le liturgie, sotto la direzione del dottor Valeriano Maspero.

 

 

b.   Il Convento.

 

             I primi locali adibiti a convento, se così si può dire, sono quelli della casetta di via Monte Santo 44, rimessa un po’ a nuovo, nella quale vanno ad abitare i frati a partire dal 12 febbraio 1942. Il contratto di acquisto della casetta era stato stipulato l’11 dicembre 1941 tra Padre Otello Melato ed il signor Federico Paone, proprietario della casa.

 

             L’8 maggio 1943, i frati si trasferiscono nei locali attigui alla cappella parrocchiale provvisoria appena ultimata che, di fatto, diventano il nuovo convento (Casa religiosa),  situato per l’esattezza, come si accennava sopra, al piano secondo, sovrastante la cappella.

             La casetta rimasta libera viene affittata fino al 19 marzo 1949, allorquando viene venduta. E’ lo stesso anno in cui, tra le vicissitudini registrate in parrocchia, avviene l’incendio che distrugge l’officina di falegnameria del signor Trombetta.

               Il 13 giugno 1963, a lato della chiesa, c’è la posa della prima pietra dell’erigendo “Conventino“ (come lo definivano allora i frati). I lavori veri e propri iniziano il 27 agosto dello stesso anno. Il 20 dicembre successivo, si provvede al riscaldamento collegato della Casa religiosa, della sacrestia (che per poco tempo funzionerà anche da cappella invernale), del bar e del cinema, e viene lanciata la campagna per il concorso del miglior presepe allestito dai parrocchiani. Poi la cappella invernale (in uso ancora oggi) verrà ricavata abbattendo il muro divisorio e unendo la cappellina del fonte battesimale, con una sala al piano rialzato del nuovo convento

               Il 3 gennaio 1966, a conclusione dei lavori, i frati si trasferiscono dagli ambienti sovrastanti la cappella, al primo piano del nuovo convento. Per il trasporto delle masserizie vengono aiutati da “tre robusti chierici“: Fra Bruno Pesenti, Fra Giovanni Marini, Fra Luigi Squizzato. I primi arredi trasferiti furono quelli della cucina e della mensa, in maniera che già dal 3 gennaio si potesse mangiare nella nuova mensa.

               Il convento di nuova costruzione viene benedetto il 24 marzo 1966 da parte del Ministro Provinciale, Padre Vitale Bommarco.

               Padre Guzzinati aveva cominciato le pratiche per la costruzione del convento fin dal 1961, perché la precedente sistemazione era diventata ormai inadeguata e insostenibile. Il ritardo nell’esecuzione è imputabile al fatto che dovette essere rivisto e migliorato il progetto inizialmente redatto dall’ing. Giorgio Colombo di Cantù. L’impresa di costruzione fu quella di Carlo Arnaboldi. Sia l’impresa che il progettista furono gli stessi che avevano costruito il ponte nel 1961.

              Il convento (come tuttora si mostra) presentava tre parti principali: un seminterrato, un piano terra   (con cucina, refettorio, parlatorio ed uffici), e un piano superiore per le stanzette dei frati.

               Da allora in poi, e fino ad oggi, il convento non ha più subito modifiche significative, tranne qualche necessario intervento di manutenzione e ammodernamento, e quello per l’utilizzo di una sua stanza adiacente alla chiesa, dalla quale si è ricavata la cappella invernale, realizzata eliminando la nicchia preesistente sul lato sinistro della chiesa di fronte a quella collocata sul lato destro della navata, che annualmente ospita il presepe.

                Nel 1972, nei locali del convento viene istituita una biblioteca ad uso pubblico, denominata “Biblioteca popolare dei giovani“. Ad essa è collegata una scuola di recupero per la licenza media inferiore. Il tutto verrà trasferito nell’oratorio, al piano superiore, reso libero dalle suore, trasferitesi nel frattempo, nella loro abitazione annessa al nuovo Asilo. L’istituzione diverrà “Centro di cultura popolare per i giovani” ed avrà una propria gestione. Il Centro verrà inaugurato il 19 maggio 1974.

                Per finire, il 29 settembre 1984, nel giardino interno del convento, in parte adibito a laboratorio e in parte a orto, viene collocata (sul relativo piedistallo) una statua raffigurante Papa Giovanni XXIII, successivamente rimossa per agevolare la costruzione di Casamica e del nuovo oratorio.

 

 

 

c.   L’Oratorio.

                 I primi locali utilizzati come oratorio furono quelli costruiti attorno alla cappella provvisoria, ed erano “polifunzionali“.

Erano però ambienti angusti, e pertanto la parte più frequentata dell‘oratorio era il suo cortile interno.

               Le attività motorie più praticate erano: il calcio, i giochi a premio, il ping pong, le bocce, la pallacanestro, l’altalena.

               L’oratorio, peraltro, ospitava solo la gioventù maschile. Bisognerà attendere la realizzazione nel 1960 del nuovo Asilo, per cominciare a parlare di una sede apposita anche dell’oratorio femminile.

               Ma non ci si esauriva nei giochi di movimento. Furono altre due attività che, almeno inizialmente, ebbero più presa sui giovani: il teatro e il cinema.

               Nacquero le Filodrammatiche maschile e femminile, che si esibirono ripetutamente, dapprima all’aperto e, in seguito, nel salone dell’oratorio adibito anche a cinema.

               Il 30 aprile del 1946, l’Ente assistenziale svizzero INCA dona, pro Reduci, alcuni completi da calcio per ragazzi. Il graditissimo regalo dà la possibilità ai giovani della parrocchia di partecipare per la prima volta al torneo di calcio di Albate.

               Nello stesso anno (30 ottobre) viene acquistato un proiettore cinematografico del “passo” 16 mm., intercambiabile col passo nove e mezzo, con possibilità di sonorizzazione, abbinato a un amplificatore, della potenza in uscita di 15 watt, prodotto dalla ditta Geloso di Milano.

               L’oratorio si presenta nella sua seconda veste il 31 ottobre 1954, in seguito a lavori di adattamento effettuati nella vecchia cappella parrocchiale e nei locali attigui. Viene realizzato un edificio su due piani e, accanto al predetto stabile (il piano terreno attualmente sottostante Casamica), si attrezza un bar, che servirà come luogo di ritrovo per gli uomini della parrocchia. Vengono sistemati anche i servizi igienici e “in due parti ben distinte“ i campi da gioco della gioventù maschile e femminile.

             I lavori di ristrutturazione vengono portati avanti da una decina di parrocchiani volontari, con il cemento offerto dalla ditta Italcementi di Merone.

             Lavorano anche i frati ad abbattere con picconi e badili i pilastri presenti nell’edificio.

La struttura, secondo il progetto iniziale, si suppone dovesse fungere da chiostro esterno del santuario. I pilastri e i contrafforti che sporgevano in alcuni punti dal pavimento, riducendo di molto la funzionalità di quei locali avrebbero, evidentemente, dovuto contenere il terrapieno del chiostro. I predetti locali vengono anche sopralzati per ricavare il solaio.

               In un primo tempo era stato chiesto alla Provincia patavina di poter creare un unico complesso fra la chiesa in costruzione e l’ex cappella. La Provincia religiosa non diede il suo consenso.

               Viene pure aperta una porta nel retro dell’ex cappella. I davanzali delle finestre vengono ricavati riciclando i gradini (in pietra di Botticino), avanzati a seguito di un restauro effettuato alla chiesa di Brescia.

               Inizialmente, il complesso degli edifici in questione costituiva un unico blocco: casa religiosa (o convento che dir si voglia) al piano superiore e – al piano terra - oratorio maschile comprendente anche i locali del cinema/teatro e dell’asilo parrocchiale.

               Il 15 dicembre 1954 il cappellano del sanatorio di Camerlata, sac. Cirillo Lazzeri, che si doveva recare per due mesi nell’America meridionale, prima di partire, regala il primo televisore. Durante l’inverno, all’estremità del cortile, la tettoia esistente viene chiusa e vi si ricavano due locali: uno adibito a spogliatoio per i ragazzi, l’altro a lavanderia.

               Successivamente arriva anche il calcetto (o Calciobalilla), acquistato con i risparmi di Padre Frizzarin.

               Nel 1958, l’intero cortile dell’oratorio viene cintato con rete metallica, in alcuni punti alta anche 10 metri, per evitare che il pallone si perdesse lungo i pendii cespugliosi della collinetta.

               Il 9 novembre 1967, in preparazione dei festeggiamenti per il venticinquennale della parrocchia, viene realizzato il cosiddetto “Salone Antoniano”, ricavandolo nella parte superiore dell’ex cappella (divisa, come sappiamo, a metà), dopo aver pavimentato la soletta esistente con “un leggero strato di cemento, per non appesantire“. Vi si pone anche un modesto palco costruito, con tavole di terza e quarta scelta, spesse 4 cm., sostenute da cavalletti in ferro.

                 E’ il medesimo anno in cui comincia a muovere i primi passi anche la Polisportiva Antoniana (presieduta dal signor Giuseppe Larghi) che, nel tempo, assumerà grande rilevanza per la vita dell’oratorio con le sue luci e le sue ombre.

Il culmine della propria attività verrà toccato dalla Polisportiva negli anni ’80, con la presenza di Padre Luigi Cerea che intesserà anche un intenso rapporto con le Società sportive locali, con il Como-calcio in testa, ma anche con la squadra di basket di Cantù e con personaggi del canottaggio, dell’atletica leggera e del ciclismo.

Spesso gli atleti vengono invitati a incontri conviviali in oratorio, nei quali essi si intrattengono con i giovani in piacevole conversazione, o accettano di trascorrere qualche ora con i carcerati. Né è possibile dimenticare l’incontro di calcio tenutosi ad Orsenigo il 25 marzo 1987, tra la squadra del Como e una squadra di chierici e religiosi francescani venuti appositamente da Padova.  

 

                   Nei primi mesi del ‘70, cioè dopo le novità introdotte dal Concilio Ecumenico Vaticano II, tra i giovani della parrocchia e l’allora prevosto Padre Berardo De Grandis, s’instaura un acceso dibattito sulla costituzione di un oratorio misto. Non si dimentichi che, in precedenza, c’erano un oratorio maschile ed uno femminile. L’idea dell’unificazione dei due oratori era praticamente in pectore fino dalla realizzazione del nuovo Asilo parrocchiale.

                   I frati pensano solo alla possibilità di organizzare gruppi misti di lavoro, per la liturgia e la catechesi, o per iniziative a carattere culturale, pur permanendo la distinzione fra le due entità, quella maschile e quella femminile. Dietro l’insistenza dei giovani, il prevosto è comunque “costretto “ ad acconsentire il festeggiamento del sabato di carnevale del 1970 assieme alle ragazze ed una gita mista all’Aprica (22 febbraio 1970) “ purché fosse assicurata la presenza di qualche familiare dei ragazzi“.

               Molteplici sono comunque le gite ragazze-ragazzi un po’ dovunque, e questo varrà a rinsaldare lo spirito di coesione fra i vari gruppi.

               Alla fine del 1987, in oratorio viene istallato l’impianto termico, la cui realizzazione impedirà per un certo periodo il pieno utilizzo della struttura stessa, con il conseguente rallentamento delle attività oratoriali. Nel frattempo muore (11 ottobre 1987) Fra Ottavio Pizzinato, meglio noto come Padre Barba per la barba fluente che portava, che tanto si era speso per l’oratorio, e Padre Luigi Cerea sostituisce – nella cappellania del carcere, Padre Mario che, però, permarrà comunque nel suo ruolo di Parroco e Superiore del convento per un altro anno ancora.

                 L’impegno di Padre Luigi al Bassone riduce naturalmente la sua presenza animatrice in oratorio, con inevitabile diminuzione e rallentamento delle consuete attività, che imboccano sensibilmente un lento declino. Un segno concreto è offerto dalla chiusura del bar dell’oratorio nel ’96. Negli anni ’90, inoltre, subentrano in maniera sempre più repentina gravi problemi legati al progressivo deterioramento della stessa struttura oratoriale, fino al punto in cui verrà dichiarata per buona parte inagibile.

                 La paralisi oggettiva della struttura, unita all’impossibilità di avere, come nel passato, un frate a tempo pieno per le attività giovanili, costituiranno il vero colpo di grazia per l’oratorio di S. Antonio, che pur potendo vantare un passato epico e “glorioso”, ora doveva fare impietosamente i conti con la triste realtà. E di fatto si dovrà attendere la nuova ed impeccabile ristrutturazione del 2003/2005 per poter intravedere una lenta ma promettente sua rinascita e il timido rifiorire delle sue attività formative.

                 A partire dal 2003, (in occasione della costruzione di Casamica ad oggi, le strutture edilizie dell’oratorio subiscono una nuova, profonda ristrutturazione che include la messa a norma degli impianti in tutte le componenti. Nel contesto esterno, vengono praticamente rifatti: il campo sportivo con il nuovo impianto di illuminazione, gli spogliatoi con annessi servizi igienici e docce, il campo di pallavolo e basket, anch’essi illuminati a nuovo, ed un angolo attrezzato per i giochi dei più piccini. Il tutto viene dotato anche di un apparato d’allarme anti-intrusioni. Solo il secondo piano dell’oratorio rimane al grezzo. I lavori vengono completati nell’ottobre del 2005 e, a partire la loro ultimazione, si assiste all’avvio di tutta una serie d’iniziative tendenti ad aggregare ragazzi e famiglie: catechismo, feste, incontri conviviali e non, doposcuola, tornei di calciobalilla, gare di ping pong, gioco delle carte, ecc.   Tutto si concentra sulla speranza di una significativa e pronta rinascita dell’Oratorio, con l’obiettivo che da ogni membro della comunità ecclesiale esso sia considerato come “la Casa della parrocchia”.

 

 

d.   L’Asilo e la Scuola Materna.

 

             Le origini della Scuola Materna “S. Antonio” risalgono al lontano 1940, esattamente al 18 ottobre 1940, quando il Comune di Como stabilisce, con formale delibera, di dotare il nuovo quartiere in via di formazione a Monte Santo di “un Asilo Infantile con sotterraneo, da sistemarsi a ricovero antiaereo dato che, nel complesso dei fabbricati popolari ivi sorti, verrà alloggiato più di un centinaio di famiglie“.

             La costruzione dell’Asilo viene affidata all’Impresa Moscheni Guido, già presente nel quartiere per l’edificazione di due fabbricati “ultrapopolari, per alloggio di operai e di sfrattati”. Nello stesso anno si costituisce un Comitato “pro assistenza religiosa agli sfrattati“ sotto la presidenza del reverendo canonico Luigi Guglielmetti, all’uopo delegato dal Vescovo di Como, Mons. Macchi.

               Il Canonico, affiancato quasi subito dalla cooperazione delle Dame di S. Vincenzo di Como, si prende a cuore l’assistenza dei bambini del quartiere; compito che, in seguito, viene assunto dalle Suore Ancelle dell’Immacolata di Parma, chiamate a Como e inviate in loco dallo stesso Mons. Macchi.

             Di conseguenza, il 31 ottobre 1940, viene stipulata una convenzione fra la presidenza dell’Asilo Infantile di Via Monte Santo e la Congregazione delle suore di Parma. Con la sottoscrizione del documento, la Congregazione s’impegnava ad inviare tre suore, delle quali una con diploma di Insegnante di Scuola materna, allo scopo di accudire al buon funzionamento dell’Asilo. La Superiora del piccolo gruppo di religiose è Suor Maria Aurora Clerici.

               Il 5 giugno 1944, Padre Otello Bruno Melato, preposto alla Parrocchia di S. Antonio dal 1942, per andare incontro alle pressioni di molti genitori, costituiva una sezione staccata dell’Asilo nei locali attigui alla nuova cappella provvisoria, in via Belvedere, per facilitare la frequenza dei bambini di via Acquanera. Per l’assistenza ai piccoli viene chiamata una suora di via Monte Santo.

               Si vengono così a creare due Asili, in uno dei quali l’assistenza è gratuita, mentre nell’altro (quello di via Belvedere) viene richiesto il pagamento di una modesta quota.

               Nel frattempo, si decide di costruire in via Monte Santo anche una Scuola primaria (ora abbandonata e adibita saltuariamente a seggio elettorale) denominata “Scuola Elementare S. Antonio”.

               In via provvisoria, a titolo di anticipo (a partire dall’ottobre del 1947), vengono sistemate le prime tre classi elementari in alcuni locali esistenti.

               Le nuove aule vengono inaugurate e benedette da Padre Melato solo il 13 gennaio 1952, alla presenza del prof. Margheritis, assessore alla Pubblica Istruzione, dell’ing. Ballerini, assessore ai Lavori pubblici, del Direttore didattico, Pietro Coatti e dei consiglieri comunali Guarisco e Sala.

Il 4 febbraio 1952, la Giunta municipale stabilisce di costituire un Consiglio di Amministrazione unico per gli Asili di via Monte Santo e via Belvedere, confermando la commissione amministratrice esistente nelle seguenti persone: Caimi Elvira, Cairoli Carlo, Taborelli Luigi, Chiara Alfonsi, Zocca Gaetano, Bonati Giuseppe e Padre Otello Bruno Melato. La Giunta pervenne a questa decisione in quanto non riteneva giusto che vi fosse una disparità di trattamento fra i frequentanti dei due asili, trattandosi – in definitiva - di due realtà tra loro identiche.

               Il 29 giugno 1958, Padre Otello scrive al Sindaco a nome della Commissione amministratrice, per proporre la costruzione di un nuovo Asilo, in un terreno offerto a tale scopo dall’on. Giuseppe Terragni.

Solamente per effetto della tenace volontà di Padre Alfonso Guzzinati, il Sindaco approva il progetto, e il 12 giugno 1961, il prevosto può benedire la prima pietra del futuro Asilo.

La realizzazione dell’ opera sarà resa possibile grazie soprattutto alla Provincia dei frati del Santo, che copriranno le spese della costruzione e rifinitura della struttura, e all’onorevole Terragni, donatore del terreno per la costruzione.

               Il 17 giugno 1962, Padre Teodoro Posenato, delegato del Ministro Provinciale, benedice il nuovo Asilo con annessi laboratorio per la scuola di taglio e cucito, (diretto per alcuni anni dalla maestra Carmen Giuliuzzi) e laboratorio per la scuola di lavoro. Entrambi i laboratori sono voluti e organizzati con lo scopo di “togliere dalla strada e dalle case le bambine incustodite nelle ore libere dalle lezioni scolastiche, essendo assenti i genitori, impegnati nel lavoro”.

               Sono le suore, le Ancelle dell’Immacolata di Parma, a prendersi ancora una volta cura dei bambini (una trentina) accolti nel nuovo Asilo parrocchiale.

               Scriveva il Santo Padre nel telegramma augurale: “A codesti Religiosi e parrocchiani, lieti felice compimento Asilo parrocchiale, Sommo Pontefice imparte volentieri, e con voti di sempre maggiori spirituali incrementi, implorata Apostolica Benedizione estensibile autorità, benefattori e convenuti cerimonia augurale.” F.to Card. Cicognani.

 

               All’atto dell’inaugurazione, affidata al Sindaco di Como, avvocato Lino Gelpi, affiancato dall’onorevole Giuseppe Terragni, alla struttura mancano ancora le rifiniture che verranno completate in primavera.

 

               Solo l’11 ottobre 1970 verrà invece posta la prima pietra della costruenda Casa delle suore, che troverà posto accanto al nuovo Asilo, col quale fa corpo unico.

               La nuova struttura scolastica poteva contare su tre ampi locali (rispetto all’unico vano che caratterizzava il vecchio Asilo parrocchiale), una sala per l’oratorio femminile, una scuola di taglio, cucito e maglieria, una sala refettorio e un ambulatorio medico (le cui attrezzature vengono donate dalla famiglia Minazzato).

               Il 30 ottobre 1962, la Giunta municipale, su proposta di Padre Guzzinati, approva l’istituzione di una Commissione temporanea per l’amministrazione degli Asili unificati di Via Monte Santo e di S. Antonio.

               Nel gennaio del 1963, i due Asili venivano così unificati nei nuovi locali costruiti in Via Medici 63 (oggi Via Valerio, 2), assumendo la denominazione di Scuola Materna “S. Antonio”. I bambini di Via Monte Santo venivano giornalmente accompagnati in autobus in Via Medici.

Quest’ultima scuola, costituitasi fin dall’inizio in Ente Privato Laico, è retta da un Consiglio di Amministrazione, il cui primo Presidente fu il Signor Carluccio Cairoli, fino alla sua morte avvenuta il 3 ottobre 1970.

               Il 31 ottobre 1963, le suore “Ancelle dell’Immacolata” di Parma, a solo un mese dall’inizio dell’attività scolastica, comunicano alle competenti autorità l’intenzione di ritirarsi dalla scuola materna di S. Antonio, non condividendo la soluzione prescelta dell’Asilo unificato (ora scuola materna) in Via Medici, e non accettando la nuova attività proposta di gestire un Asilo-nido da avviarsi in Via Monte Santo. Si viene pertanto a creare un’interruzione delle attività educative della scuola materna. Per ovviarvi, a sostituire le suore vengono chiamate due signorine, entrambe diplomate: Frigerio Clara e Bazzi Gabriella.

                 L’11 febbraio 1966, le suore della Congregazione “Serve di Gesù Cristo“ di Agrate Brianza accettano di dare soluzione alla problematica creatasi a motivo del ritiro delle precedenti suore, e il 1° marzo dello stesso anno, viene stipulata una nuova Convenzione fra la loro congregazione, la parrocchia e l’Amministrazione degli asili infantili unificati.

                Nei primi tempi, non essendo ancora pronta la casa che le doveva accogliere, le suore vengono ospitate nella Casa religiosa dei frati realizzata nell’ex cappella provvisoria, fino al 1972, anno in cui, si inaugura la nuova Casa, realizzata con una parte del ricavato dalla vendita di alcuni terreni di proprietà dei frati. Viene anche asfaltata – dalla ditta Marelli - la stradicciola lungo il muro di cinta della Scuola Materna.

                 Nel settembre del 1980, vengono aperte la Scuola materna statale e la Scuola elementare di via Acquanera. Contestualmente si verifica una progressiva diminuzione delle nascite.

Tutto ciò comporta un calo delle presenze, sia nelle Elementari di Via S Bernardino, sia nella Scuola materna parrocchiale di Via Valerio (ex Via Medici).

                 Nel settembre 1987, la scuola elementare Statale di Via S. Bernardino perde la sua classe prima, per carenza di bambini, e si trova costretta a chiudere i battenti.  

 

 

 

e.   Il ponte.

 

               La prima notizia che si ha, indirettamente riguardante il ponte che scavalca la via Belvedere, è quella relativa ad un viaggio fatto a Dongo dal parroco, Padre Alfonso Guzzinati e dal Padre Fiscon, per prendere visione di un   ponte che era in fase di avanzata costruzione lassù. Il sopralluogo avviene in previsione della realizzazione del viadotto pedonale che, di li a poco, avrebbe collegato il santuario all’erigendo nuovo Asilo.

                 La gettata di cemento per la realizzazione del ponte - progettato dall’ingegner Porta e attuato dall’impresa Carlo Arnaboldi, (gli stessi dell’asilo) - che unirà i due lati di via Belvedere viene effettuata il 5 ottobre 1961.

                 Verrà inaugurato, domenica giorno 5 novembre, con l’intervento di S.E. Mario Martinelli, Ministro per il Commercio con l’estero, e dell’On. Terragni. Erano tra gli altri presenti anche l’assessore comunale Caspani, i consiglieri Aiani e Cairoli.

               Si raccontava in quei momenti tra i presenti, che il Beato Guanella (morto nel 1915), passando un giorno dalle parti ove ora sorgono il Santuario e l’Asilo, e dove prima c’era solo una boscaglia, avesse esclamato: “Su quel colle si farà molto bene, e sarà glorioso”. Lo accompagnava Padre Castano, all’epoca vivente, che confermò poi la predizione a Padre Zanfei, andato da lui ad assicurarsi personalmente che la frase fosse stata realmente pronunciata.

 

 

f.   La grotta.

 

               I lavori per la realizzazione della grotta a monte del campo sportivo dell’oratorio iniziano il 25 settembre 1948. Finiscono poco prima di Natale. La costruzione viene realizzata in ragione della particolare devozione che i Francescani hanno verso la Vergine Maria.

               Viene inaugurata il 27 marzo 1949, in occasione del primo incontro con la comunità parrocchiale da parte del nuovo Vescovo di Como S.E. Mons. Bonomini, (subentrato a Mons. Macchi), venuto a benedire la statua dell’Immacolata collocata nella grotta che richiama quella di Lourdes.

                 L’8 dicembre 1954, a chiusura dell’anno mariano e a ricordo della giornata, viene posta una lapide commemorativa davanti alla grotta. Contemporaneamente viene avanzata una richiesta al Comune per la costruzione, presso le case minime, di una nicchia a vista, ove porre una statua della Madonna.

                   Nei primi tempi, la grotta era sede di molteplici funzioni religiose o meta ultima delle processioni parrocchiali. Davanti ad essa, spesso si celebrava la Santa Messa, poiché la cappella provvisoria non aveva una capienza sufficiente per accogliere tutti i fedeli.

                   Nel maggio 2006, nell’ambito del completamento dell’apparato che dà luce agli impianti sportivi, si collegò ad esso un faro per l’illuminazione notturna della grotta.

 

 

g.   Casamica.

 

                   Casamica è una struttura nata come concretizzazione del Progetto della parrocchia e della Provincia patavina denominato: “Antonio: Vangelo e Carità“. Esso prevedeva di ospitarvi, per un periodo predeterminato, i detenuti rimessi in libertà che non sapevano dove alloggiare, i detenuti in permesso premio, e i familiari dei detenuti in visita ai loro congiunti.

                   L’idea è nata alla fine degli anni ’90, ed è stata approvata dal Capitolo provinciale dei Frati Minori Conventuali tenutosi nel 2001, con l’obiettivo di creare uno spazio intermedio, un ponte fra il carcere e la società, e fungere da appoggio e punto di riferimento sia per coloro che lasciano la Casa Circondariale, aiutandoli a realizzare un reinserimento sociolavorativo, sia per i familiari in visita ai detenuti per offrire loro un alloggio e l’opportunità di incontrare i loro cari in un ambiente extracarcerario.

                   Il 17 novembre 2003, iniziano i lavori di costruzione di Casamica e di ristrutturazione dell’oratorio, diretti e seguiti dalla solerzia e dall’impegno di fra Corrado Algarotti, che sarà nominato successivamente Direttore di Casamica, e che avvierà l’attività di accoglienza della stessa.

La struttura di Casamica comprende otto camere doppie con bagno, una zona giorno con angolo di cottura, una saletta TV/lettura, un ufficio e il guardaroba. Al piano terra, si può ammirare uno splendido porticato che dà sul giardino interno e unisce in un corpo unico convento, chiesa, oratorio e Casamica.

                   Gli ospiti, durante la loro permanenza, vengono seguiti dai frati responsabili, da un operatore incaricato e da un nutrito numero di volontari.

                   La realizzazione dell’opera è stata resa possibile in larga parte grazie alla Provincia patavina dei frati, al contributo consistente della Regione Lombardia e della Caritas diocesana di Como. Direttore dei lavori è stato l’architetto Ernesto Gandolfi e l’impresa costruttrice fu l’EdilComi.

           L’inaugurazione ufficiale avviene il 16 ottobre 2004, alla presenza del Prefetto di Como, dottor Palazzo, del Vescovo Mons. Maggiolini, del Sindaco Bruni, della Direttrice della Casa Circondariale, dottoressa Fabrizi e di altre autorità civili e religiose.

           La “Convenzione” fra Curia e Comune, per la casa d’accoglienza, era stata firmata il 26 febbraio 2004. In margine e a supporto dell’opera, nasce il gruppo volontari di Casamica.

 

  

 

Capitolo 4°.   LE OPERE PASTORALI

 

 

a. Le attività parrocchiali: la catechesi e la sacramentalizzazione, la carità.

 

               Le attività pastorali che hanno caratterizzato la nostra parrocchia in questi 65 annisono state molteplici e finalizzate alla diffusione e alla salvaguardia dei principi religiosi, alla cura delle anime, alla tutela dei più deboli, alla creazione di ambienti sani in cui giovani e meno giovani potessero operare e crescere moralmente, oltre che trascorrere il tempo libero in assoluta serenità e con il supporto della fede religiosa.

Di seguito vengono riportate quelle più significative.

 

Le attività di catechesi e di sacramentalizzazione. La catechesi ed i sacramenti rappresentano, per una comunità parrocchiale, il primo mandato e la prima missione affidatale dal Vescovo col compito di: formare ed educare alla fede, accogliere e annunciare il Vangelo, alimentare con i sacramenti la vita cristiana. Questi doveri costituiscono il senso e lo scopo, non solo del ministero del Pastore di una parrocchia, bensì di ogni cristiano.

Fin dal lontano ’42, data dell’erezione a Parrocchia della nostra comunità di S. Antonio ad opera dell’allora Vescovo Mons. Macchi, è sempre stata fervente e appassionata l’attività di evangelizzazione e catechesi, seppure in un contesto non facile, segnato da problemi di grave entità legati all’emarginazione, alla povertà, al degrado. Da quel lontano ’42, si sono susseguite innumerevoli classi di catechismo, sono stati impartiti i sacramenti a molteplici generazioni, si sono accompagnati tantissimi fratelli e sorelle alla casa del Padre.

Nel capitolo ottavo, riportiamo alcune cifre tratte dai registri parrocchiali, che più di lunghi discorsi illustrano e sintetizzano la costante attività di annuncio, di catechesi e di sacramentalizzazione espletate nella nostra parrocchia.

 

Le attività caritative, insieme a quelle di catechesi e dei sacramenti, sono alla base dell’esistenza stessa di una comunità parrocchiale e sono l’espressione della sua vitalità, passione e vivacità. Qui ne elenchiamo alcune tra le più significative che la nostra Parrocchia ha messo in atto, e di cui si è ampiamente parlato nella stesura di questo libro:

- l’asilo;

- l’assistenza alle famiglie delle case minime;

- la raccolta fondi e l’attività di Padre “Barba” per opere caritative;

- la cappellania del carcere;

- la pluriennale collaborazione con la S. Vincenzo, conferenza sempre puntuale ed insostituibile;

e le recenti:

- Casamica;

- L’assistenza agli anziani ed agli ammalati alla quale amorevolmente si dedica il Gruppo della Carità;    

- il pane di S. Antonio, distribuito ai bisognosi, quello che il Banco Alimentare ci dona;

- la raccolta di fondi e materiali per le missioni, gli alluvionati, i terremotati, l’assistenza agli emigrati, ai reduci, agli internati nei campi di prigionia (a tal proposito ci piace ricordare la raccolta della carta iniziata il 23 febbraio 1970, per reperire fondi contro la fame nel mondo. La si faceva per le vie della parrocchia, con un carrettino trainato da un asino di proprietà di un parrocchiano.

 

 

 

 

b.   I laboratori.

 

Per quanto riguarda la funzione dei laboratori,il loro sviluppo si è particolarmente manifestato con Padre Rodolfo, il quale ha allestito quello che oggi chiameremmo un vero e proprio atelier di bricolage, coinvolgendo e appassionando molti giovani. Un’altra manifestazione del fermento e della creatività che animava in quel tempo la parrocchia è senza dubbio l’avvio di una efficiente   scuola di taglio e cucito, rivolta alle adolescenti e ospitata dalle reverende suore, per insegnare qualcosa di utile. Sono state due attività che, oltre ad offrire un’esperienza di vita e di gruppo a coloro che le frequentavano, “togliendole” praticamente dai rischi dell’ozio, hanno contribuito ad assicurare loro un minimo di abilità manuali e il gusto di imparare a realizzare con semplicità e fantasia cose utili e/o belle.

L’attività tecnico-artistica aveva i suoi momenti culminanti con le feste del Natale, della mamma e del carnevale, quando i lavori eseguiti durante l’anno venivano messi a disposizione dei destinatari o delle iniziative benefiche, promosse nella forma di banchi-vendita organizzati dai vari gruppi parrocchiali. Ragion per cui si può dire che l’anno delle attività di laboratorio iniziava a ottobre e si concludeva a maggio.

 

c.   Il teatro.

 

L’attività teatrale trova in parrocchia uno sviluppo pressochè immediato, in quanto da subito riesce a coinvolgere molte persone.

La prima Compagnia Filodrammatica debutta il 14 giugno 1942 nel cortile messo a disposizione dalla famiglia Erba per mancanza di locali idonei .

Le prove della filodrammatica venivano effettuate in casa Cairoli (che, di fatto, può essere considerata il primo oratorio della parrocchia).

La rappresentazione fu “Perdono“, in 2 atti di F. Mari, ed ebbe un notevole successo. L’incasso di 150 lire servì per comperare lo stendardo di S. Antonio.

Dopo questo successo gli spettacoli si moltiplicarono e si intersecarono con quelli di altre Filodrammatiche come quella della Parrocchia del Crocefisso, la “G. Miani“ di Como, la compagnia della Parrocchia di S. Rocco ed altre ancora.

Il 2 gennaio del 1948, la Filodrammatica antoniana si presenta al concorso cittadino, svoltosi nell’Oratorio dei Padri Barnabiti, con il dramma di Reposi “L’uomo allo specchio“, classificandosi al primo posto.

Col tempo coesistono praticamente due nostre Filodrammatiche: la maschile e la femminile. Quest’ultima si esibisce il 12 luglio 1942 con “Le rondini tornano al nido“, commedia in tre atti di M. Scotto; quella maschile va in scena il giorno 26 con l’opera di Sala: “Bagliori nel sole“.

L’8 dicembre del 1943, è finalmente possibile utilizzare il teatro realizzato nei locali attigui alla cappellina. Dopo la benedizione del locale, la Filodrammatica femminile – istruita da suor Saveria e, per il canto, dalla signorina Remondi - vi recita l’opera: “Sorella Maria e la mania del lotto“.

Il 7 novembre 1945, viene acquistato, per le esigenze della Filodrammatica, un pianoforte seminuovo dal signor Felice Cerutti di Rebbio.

Il 28 aprile 1946, debutta nella Filodrammatica maschile il giovane studente Giorgio Mottana, iscritto al IV anno di Veterinaria presso l’Università di Milano, Giorgio Mottana. Si recita il dramma: “Paternità d’amore”, di D’Alessandro.

Il 25 gennaio 1948, la Filodrammatica maschile ottiene il primo premio in un concorso cittadino a S. Filippo, con il lavoro: “Tempesta d’anime”. Il miglior attore del concorso risulta essere il neo dottore Giorgio Mottana.

Il 29 settembre 1957, i giovani dell’Oratorio portano in scena la commedia “Tre teste in cerca di una tuba”. Negli intervalli si esibisce un bambino lecchese di otto anni, Ivan Balestini, campione di fisarmonica.

Da qui in avanti c’è un lungo silenzio fino al 9 ottobre 1960, quando si ha notizia di una rappresentazione fatta dalle fanciulle, a favore della costruzione del nuovo Asilo.

In seguito, l’avvento della televisione e l’apertura del cinema nell’oratorio, hanno rallentato l’attività teatrale, sia dei giovani che delle ragazze.

Ciononostante, l’8 dicembre 1966, queste ultime danno ancora una recita. L’opera rappresentata s’intitola: “Vinta”. Erano presenti 78 persone.

In seguito, il 29 giugno 1970, anche i ragazzi si esibiscono sul palcoscenico con l’opera comica “L’avaro“ di Molière.

Il 9 gennaio 1982, dopo lunga preparazione, un folto gruppo di ragazzi, giovani e adulti presentano in chiesa il recital: “L’alba senza tramonto“, sulla falsariga della vita di S. Francesco. Il regista è Padre Luigi Cerea; l’opera verrà successivamente rappresentata anche a Camposampiero e a Milano. Altri lavori diretti da Padre Luigi, che verranno più volte replicati, sono: “E’ il Signore“ e ancora “Chi sei tu o Maria?”, rappresentata anche tra i detenuti.

 

 

d.   Lo sport.

 

               Per quanto attiene alle attività sportivedegli esordi della parrocchia, non si hanno notizie specifiche né accenni da riportare, tranne segnalare la donazione fatta dall’Ente assistenziale svizzero INCA, nel 1946, di alcuni completi da calcio, che permisero ai nostri giovani di partecipare al torneo di calcio di Albate. Nel giugno 1957 vi è la prima notizia di un torneo di calcio, organizzato in oratorio da Fra Leonardo Rasia, fra squadre dei ragazzi dell’Azione Cattolica.

               Nel marzo del 1962, uomini e giovani dell’oratorio disputano il 1° campionato di tennis da tavolo. Se lo aggiudica il signor Butti Francarlo che, alla fine del torneo, risulta imbattuto.

Il 27 marzo 1967, sotto l’egida del Centro Sportivo Italiano e della Polisportiva Antoniana, che inizia così ad operare presso l’Oratorio, si dà vita al 3° Trofeo città di Como di corsa campestre.

In occasione del venticinquennale della parrocchia viene organizzato il torneo di calcio “Como Sud”, che ha inizio il 29 maggio dello stesso anno.

               Il 1° maggio 1969, viene invece organizzata dal signor Marino Roncoroni la corsa ciclistica “Trofeo Rondarini”, sulla distanza di 131 km., con due passaggi davanti al bar dell’oratorio, che rappresentavano altrettanti traguardi volanti. Vi parteciparono 61 atleti.  

               Nel giugno dello stesso anno, notevole è l’impegno di Padre Michele Bernardi per la costruzione dei servizi, la sistemazione degli spogliatoi e il rinnovamento delle reti del campo di calcio. Viene asfaltata anche la zona esterna retrostante la chiesa.

             Fra Ottavio ottiene frattanto, dall’Oransoda di Cantù, i supporti in ferro dei cesti per il basket e il materiale per allestire il viale per il gioco delle bocce, che vedrà la luce nel 1975.

             Viene anche rettificato il muro di cinta fra l’abside e l’Oratorio, permettendo una migliore visuale del Santuario, in quanto precedentemente il muro andava ad appoggiarsi alla destra della porta esterna dell’abside.

               Per interessamento di Padre Luigi Cerea e del Comitato della Polisportiva Antoniana, il 19 novembre 1984, vengono a cenare in oratorio alcuni giocatori del Como-calcio che, alla fine della cena, si intrattengono con i giovani della parrocchia e i loro dirigenti sportivi.

               Nel 1991, la sezione calcio della Polisportiva Antoniana si fonde con l’A. C. Colbar–Como, costituendo una nuova Società: l’A. C. Colbar Antoniana, che elegge come presidente il sig. Angelo Porta, e riceve in concessione d’uso, dalla parrocchia, tutti gli impianti sportivi nonché il bar. Le attività sportive fervono fino al 1996 circa.

             Dopo una lunga pausa, dovuta principalmente alla ristrutturazione dell’oratorio, il 10 e l’11 giugno del 2006, viene organizzato un bellissimo torneo di basket che coinvolge numerose squadre degli oratori vicini, con l’intervento di tanti adolescenti e giovani. E’ anche l’occasione per rifare ex novo, grazie ai nostri benefattori, tutte le linee del campo.

 

 

 

e.   Le attività ricreative.

 

             Per le attività ricreativemi preme ricordare tutte le forme connesse con il festeggiamento del Carnevale: feste e sfilate in maschera, carri allegorici che ravvivano e documentano soprattutto la fantasia e la partecipazione dei più giovani.

             Né sono da dimenticare i numerosi campi-scuola e le varie gite, organizzate per vivere assieme momenti di allegria e spensieratezza.

 

f.   I pellegrinaggi.

 

               Il primo pellegrinaggio parrocchiale fu organizzato da Padre Ottavio Bruno Melato il 17 agosto 1942, alla chiesa della Madonna del Sacro Monte di Varese. I partecipanti furono 50.

Il 20 agosto successivo, Padre Gerardo condusse un gruppo di ragazzi in gita al Monte Palanzone oltre Brunate, percorrendo tutta la via delle Colme.

               Il secondo pellegrinaggio viene effettuato il 17 agosto 1943 al Santuario della Madonna del Soccorso sopra Ossuccio, sul lago di Como. I partecipanti furono 63.

                 Il 22 settembre del 1949, con pulman della Ditta Dell’Oca di Como, 42 bambini e bambine della Parrocchia, accompagnati dal Prevosto e dalla Superiora, vanno come pellegrini al santuario di Caravaggio. Durante il tragitto, fanno sosta a Monza per visitare la città.

                 A conclusione del venticinquennale, vengono organizzati due pulman per una visita al Santo. Nel viaggio, vengono anche visitate le località di Noventa Padovana e Camposampiero.

                 Sarebbe superfluo elencare tutti i pellegrinaggi fatti. Basti ricordare che sono stati tanti, distribuiti in scadenze periodiche e organizzati sempre in maniera ottimale. Tuttora vengono riproposti con rinnovata vitalità, passione e competenza, anche per mete lontane, curati nei dettagli da vari anni dalla famiglia Arnaboldi affiancata, negli ultimi tempi, dalla neo-costituita Compagnia del Presepe. La speranza è che continuino a produrre la serenità, la coesione e la identificazione nella stessa fede, che sono il vero cemento di una comunità parrocchiale.

 

 

g.   Feste e ricorrenze.

 

               Le feste e le ricorrenze tipiche della Parrocchia sono note: l’Immacolata (8 dicembre), che oltre alle sante messe in onore della Madonna, propone la processione serale alla scuola materna e la consacrazione dei bambini alla Vergine santissima.   In parallelo funziona da tanti anni il Banco Vendita pro Scuola Materna, predisposto da Carla Guarisco coadiuvata dalla sua preziosa compagnia di nostre parrocchiane molto attive benché non più giovanissime; la Candelora (2 febbraio); S. Agata con la festa delle donne cristiane (5 febbraio); .

S. Giuseppe e la festa del papà (19 marzo) il Mese Mariano di Maggio, con il Rosario serale in chiesa e talora tra i quartieri della parrocchia; la festa della Mamma col relativo banco vendita per le necessità della parrocchia (la terza domenica di Maggio);

S. Antonio con le Sante Messe frequentatissime, la solenne processione serale per le vie della parrocchia e la tradizionale pesca di beneficenza (13 giugno);

La festa di fine-estate di recente istituzione (la terza di Settembre); S. Francesco (4 ottobre); la Madonna del Rosario, con le sante Messe e la processione (la prima domenica di Ottobre); la festa deiCanestri (la terza domenica di Ottobre); la Commemorazione dei Santi e dei Defunti; S. Elisabetta d’Ungheria, patrona dell’Ordine Francescano Secolare (17 novembre); e naturalmente tutte le grandi solennità liturgiche: il Natale, col suo tempo di Avvento, la Pasqua, con la Quaresima, la Pentecoste, ecc.

             Fra le feste e ricorrenze a catetere non religioso sopra citate primeggiano, per tradizione e per le persone che riescono a coinvolgere, La Festa dei Canestri, La Pesca di Beneficenza, I Banchi Vendita.

             Il 10 ottobre del 1943, prendendo lo spunto da una consuetudine dei Paesi vicini, viene per la prima volta celebrata in parrocchia la cosiddetta Festa dei Canestri (che d’allora in avanti si celebrerà tutti gli anni, all’incirca alla stessa data) così chiamata dai cestini contenenti i doni offerti dalla popolazione a beneficio della chiesa, messi all’incanto in una pubblica asta, il cui ricavato viene   devoluto per le attività parrocchiali, a giudizio dei frati.

             Come i Canestri, anche la Pesca di Beneficenza gode di una lunga tradizione. Molteplici sono state le sue edizioni e tutt’ora ad essa viene riservata una grande accoglienza fra i parrocchiani e i pellegrini del Santuario.

Sono queste, insieme ai Banchi Vendita di oggetti e di lavori vari (organizzati con cura estrema dalla signora Guarisco Carla e dal gruppo donne) le principali attività che, anche se in piccola parte, contribuiscono al finanziamento delle opere della parrocchia e della Scuola materna. Tali iniziative rappresentano momenti irripetibili in cui si coniugano i significati della tradizione, della festa, della devozione, della partecipazione alla vita della parrocchia. Da ricordare a margine, per dovere di cronaca e di riconoscenza, che per diversi anni, le pesche di beneficenza furono affidate alla direzione del signor Butti Francarlo.

             Da non dimenticare la Tombola dell’Agnello. E’ una ricorrenza che nasce all’incirca nel 1978, quando gli uomini della parrocchia, durante la solita riunione settimanale del martedì, si domandarono come e cosa fare durante il periodo pasquale, per riunire i parrocchiani e passare un pomeriggio in allegria tutti insieme. Tra le varie idee, fu lanciata la proposta di fare una tombola con il contorno di una bella grigliata. La proposta fu accettata e si stabilì di organizzarla per la Domenica delle Palme. Furono realizzate le cartelle, costruito il tabellone porta numeri e si cominciò a raccogliere il materiale per i premi. Accadde così che un parrocchiano regalò un agnello. Nacque da questo episodio l’idea di festeggiare la ricorrenza con la cosiddetta tombola dell’agnello.

                 Vanno peraltro annoverate anche le periodiche castagnate che, in più occasioni, vengono organizzate presso l’Oratorio, nella stagione autunnale, per la gioia dei grandi e piccini.

 

h.   Grest.

 

                 Dal 18 al 25 settembre 1983, viene organizzato il primo GREST (gruppo estivo) della parrocchia, sotto la guida di Padre Luigi Cerea e dei suoi collaboratori. All’insegna della “Festa del grande CIAO“, le Parrocchie di S. Agata, S. Bartolomeo, S. Giuliano, S. Orsola, S. Rocco, Albate, Capiago, Prestino, Rebbio, Sagnino, S. Fermo, Camerlata e la nostra di S. Antonio hanno concretizzato, in tempi diversi, una nuova esperienza proposta ai ragazzi dagli 8 ai 14 anni. E’ un’esperienza che si basa essenzialmente sullo stare assieme, per vivere momenti di relazione, d’incontro, di amicizia, di preghiera e di reciproca collaborazione. Il tema del GREST dell’anno successivo sarà: “Fuori il legno“, ispirato alla storia di Pinocchio.

                 Il GREST verrà successivamente organizzato quasi tutti gli anni, con un tema sempre diverso dai precedenti. L’ultimo GREST, quello del 2006, aveva come tema: “Si fa x dire?”; vi hanno partecipato circa 50 bambini.

 

 

 

 

 

Capitolo 5°

 

LE TESTIMONIANZE

 

 

            Questo capitolo lo riteniamo particolarmente prezioso, in quanto raccoglie una serie di testimonianze e di interviste rilasciate e ottenute dai Parroci-Prevosti della nostra Parrocchia che ancora si è potuto raggiungere, dai Cappellani delle Carceri che dal 1984 si sono susseguiti, dai parrocchiani, giovani e meno giovani che con passione e affetto verso la nostra comunità di Sant’Antonio e verso i frati, hanno voluto contribuire a rendere ancor più ricca la storia della Parrocchia che questo libro ha voluto ricostruire.

 

 

I Parroci.

 

 

P. Mario Peruzzo 1979-1988

 

UN GRANDE AMORE

 

         Nel settembre 1979, 14 anni dopo la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, facevo il mio ingresso nella parrocchia di S. Antonio di Padova in Como. C’era nel mio cuore un po’ di trepidazione, perché era giunto il momento di vivere e di realizzare gli insegnamenti del Concilio, senza trascurare le indicazioni della Diocesi.

           Ho cercato con tutte le mie forze di amare la Chiesa, i parrocchiani e la terra che il Signore mi aveva affidato. Dopo nove anni ho lasciato il Santuario completamente ristrutturato in tutte le sue componenti, ma soprattutto abbellito dal monumento a S. Francesco di Assisi dello scultore Eli Riva nell’ottavo centenario della sua nascita (1982) e da uno stupendo affresco del pittore Mario Bogani nell’abside (1986), la cui attuazione era apparsa per tanto tempo irrealizzabile.

           Insieme abbiamo lavorato per diventare più comunità: a livello di Chiesa, credendo nei laici: istituendo il Consiglio Pastorale Parrocchiale e sperimentando nuove esperienze pastorali; a livello di comunità civile, impegnandoci a fondo per il nostro “Borgo”: il referendum sull’Acqua Nera, il problema casa, la sopravvivenza della scuola elementare e della scuola materna parrocchiale….

             Desidero indicare alcune date significative, che ricordano altrettanti momenti vissuti nella gioia o nella trepidazione:

-        nel 1981 la Missione popolare, la Visita Pastorale del Vescovo e il 25° della benedizione della nuova chiesa parrocchiale e santuario antoniano (1956);

-        nel 1985 il 25° della posa della prima pietra del nuovo asilo parrocchiale;

-        nel 1986 il XVI centenario dell’evangelizzazione della Diocesi da parte di S. Felice (386);

-        nel 1987 il 45° di presenza francescana a Como;

-        nel 1983 il “Borgo” conquista il Palio dei borghi del Baradello;

-        nel 1984 viene approvata la variante al Piano Regolatore della città, che puniva fortemente la nostra zona;

-        nel 1985, dopo sette anni di abbandono dello stabile dell’ex orfanotrofio, è arrivata una soluzione da parte della Guardia di Finanza.

   Sono stati momenti diversi, ma vissuti con un’unica finalità: “Costruire insieme Chiesa e comunità”. “Costruire – ha scritto il Vescovo, mons. Ferraroni, in una sua lettera indirizzata ai parrocchiani – significa dinamismo; costruire è fare, è faticare, è godere nel vedere crescere ogni giorno la costruzione.

         Costruire insieme perché l’unione è alla base di ogni costruire: in un cantiere ognuno ha il suo compito e tutti i compiti parziali sono sintetizzati da Cristo che ha detto: ”Io edificherò la mia Chiesa”, e da coloro che la rappresentano”.

         Insieme abbiamo lavorato per lunghi anni, abbiamo faticato, finché ci siamo ritrovati attorno all’Eucarestia, riscoprendo l’attualità dell’Adorazione Eucaristica (1983) e la centralità della santa Messa nel giorno del Signore (1984).

         In ogni santa Messa siamo chiamati a misurarci con l’ideale di comunione che il libro degli Atti degli Apostoli tratteggia come modello per la Chiesa di sempre. E’ la Chiesa raccolta intorno agli Apostoli, convocata dalla Parola di Dio, capace di una condivisione che non riguarda solo i beni spirituali, ma gli stessi beni materiali (cfr. At 2,42-47; 4,32-35).

         Quante forme di condivisione, quanti impegni di volontariato sono fioriti in quegli anni: gruppo Volontariato Carceri, Consiglio Pastorale Parrocchiale, Commissione per la scuola materna, S. Vincenzo, visita ai malati, festa dei portatori di handicap e festa degli anziani, gruppo per la pulizia della chiesa, gruppo animatore delle feste parrocchiali: i canestri, S. Agata, tombola dell’agnello, la pesca di S. Antonio, i collaboratori per l’informatore, i catechisti, gli animatori della liturgia e dell’oratorio, ecc.

         Ho creduto in una matura collaborazione dei laici, investendo molto in questa direzione. Mi sembra di poter manifestare ancora oggi la mia gioia e la mia gratitudine per tutto ciò che si è realizzato nel nome del Signore.

         Vorrei concludere queste righe illustrando un’altra costante in quegli anni: la devozione e la preghiera alla Vergine Maria. La figura di Maria è presente nel tema della Missione popolare (1981): “Aprire le porte a Cristo per mezzo di Maria” e nel tema dell’Anno Mariano (1987-1988): “Con Maria incontro a Cristo, sole di giustizia”

          La Vergine Maria spalanca realmente la porta a Cristo che viene: è lei che lo introduce nel mondo e nei cuori. Cristo è la nostra pace e Maria ci introduce in questa pace.

 

 

P. Bruno Garbo 1988-1997

 

         Dopo il mio ingresso come parroco a Como, i primi contatti con i fedeli sono stati di “timidezza” reciproca. Siccome si era all’inizio di un anno pastorale, coloro che già frequentavano la parrocchia, sono stati convocati in assemblea perché potessi ascoltarli e dialogare con ciascuno, affinché emergessero spontaneamente i ruoli da coprire nelle varie attività.

         La Parrocchia era composta in questi tempi da appena 1.400 fedeli tra bambini, giovani, adulti e anziani. Un bel numero di questi proveniva dal sud d’Italia e alcuni dal Veneto, immigrati specialmente dopo l’alluvione del Polesine, negli anni cinquanta del secolo scorso.

         Gli obiettivi della parrocchia, erano quelli disegnati ogni anno dalla Diocesi. Il fine era sempre lo stesso: crescere nella fede cristiana attraverso la catechesi e le pratiche religiose.

Ai bambini era rivolto l’insegnamento dell’iniziazione cristiana.

         Per i ragazzi del post cresima c’era la possibilità di frequentare degli approfondimenti appropriati alla loro età su temi come: la fede, i Sacramenti, la Chiesa, letture di certe problematiche di allora, disciplina con sé stessi, rapporti di stima e amicizia con i genitori e tra compagni di scuola, ecc… Purtroppo solo pochi frequentavano questi corsi.

         Tutti i martedì sera alle ore 21, una decina di uomini adulti partecipava al commento di qualche documento conciliare, enciclica papale, o pagine del testo annuale dell’Azione Cattolica.

Guai se tra gli avvisi domenicali non si accennasse questo incontro del martedì (c’era subito il rimprovero del sig. Francarlo Butti, che non mancava mai a quella riunione).

         Invece per quanto riguarda l’O.F.S., uomini e donne avevano il loro incontro formativo fraterno due volte al mese, al pomeriggio della domenica. I partecipanti erano pochi e piuttosto anziani. Solo due uomini di mezza età erano terziari.

         Il 5 febbraio, festa di S. Agata, patrona della donna cristiana, veniva celebrata nel pomeriggio una S. Messa per tutte le donne, conclusa con l’offerta di una rosa rossa a ciascuna e d’un rinfresco.

Nei tempi forti liturgici, tutti i mercoledì alle ore 15, per le persone libere da impegni e alle ore 21 per gli altri fedeli, si proponevano i cosiddetti “Esercizi spirituali”. Si cantavano i Vesperi, o la Compieta la sera. C’era una conferenza tenuta da un sacerdote diocesano, o religioso. Si concludeva con preghiere, benedizione e canti.

         Per quanto concerne i collaboratori laici, sia uomini che donne si sono sempre offerti per lavori e aiuti alla Scuola materna e per la parrocchia; per le liturgie c’erano due musici (P. Rodolfo de Concini e il giovane Valeriano Maspero di Cantù) e quindi due cori; inoltre ricordo gli addetti alle pulizie, al presepio, a qualche pranzo comunitario e alla festa di S. Antonio, che pensavano agli adorni, alla banda, all’ordine per la processione; c’era anche chi preparava per tempo i materiali per allestire la lotteria, la festa dell’incanto dei canestri e il pranzo per i portatori di handicap e per gli anziani. C’erano poi altri vari aiuti secondo le necessità. Per esempio l’architetto Ernesto Gandolfi, parrocchiano, si era assunto volentieri la responsabilità di restaurare il presbiterio della chiesa, di prolungare la cappella invernale con apertura alla chiesa stessa, e di rinnovare alcune celle del convento.

         Ricordo l’intervento del municipio di Como che, sollecitato dal parroco, ha installato tutta l’illuminazione della via Kolbe, gratuitamente. Non ci ha però illuminato la facciata della chiesa, contrariamente a quanto ha fatto con altre chiese.

         Anche la Cariplo è nei miei ricordi, per averci donato il denaro per il nuovo organo.

Tra le altre iniziative per far fronte all’assenza di bambini in oratorio, abbiamo provato ad attirarli con lo sport, contando sul supporto dei gestori del bar. Pure avendo redatto uno statuto, approvato e firmato dai sostenitori, purtroppo molte clausole non sono mai state osservate. Esaminate più volte, nel Consiglio Pastorale parrocchiale, varie informazioni avute al riguardo, siamo stati obbligati a chiudere tutto per via legale.

         Concludo salutando cordialmente tutti gli ex parrocchiani, e chiedendo scusa per non essere stato all’altezza del compito che mi è stato affidato, e come tutti voi avete desiderato. Pace e Bene!

p. Bruno

 

 

P. Guido Bisognin   1997-2005

 

         Sono arrivato a Como nel settembre del 1997, proveniente dalla parrocchia di S. Giuseppe da Copertino di Roma.

         Nel propormi quale parroco di S. Antonio di Como, il P. Provinciale mi aveva accennato ad alcune situazioni di disagio che si erano create in parrocchia, e che avevano bisogno di essere affrontate con una certa attenzione.

         Mi sono presentato ai fedeli con semplicità e con tutto il desiderio di lavorare per aiutare la comunità cristiana a rasserenarsi e a continuare nel suo impegno.

         Premetto anche che nei primi mesi del mio servizio di parroco (a dicembre), in parrocchia c’è stata la visita pastorale del Vescovo.

         Nella relazione che Mons. Maggiolini ci ha indirizzato, sono state indicate delle priorità da tenere presenti nell’azione pastorale: l’oratorio, la Scuola materna “S. Antonio”, la vita liturgica.

Con l’aiuto dei vari gruppi parrocchiali, nei mesi successivi si è arrivati ad elaborare un progetto.

Il primo anno del mio servizio non è stato semplice, ma già dopo qualche mese si potevano vedere risultati sensibili, soprattutto nella vita dell’oratorio che più preoccupava la comunità.

         Ciò è stato possibile per l’azione dei miei confratelli religiosi e per la disponibilità di volontari, adulti e giovani.

         Significativi sono stati i momenti vissuti in occasione del mio 25° anniversario di sacerdozio, celebrato nel 1° anno, l’ordinazione sacerdotale di P. Alberto Origgi, il 1° pellegrinaggio a Lourdes, che ha segnato l’inizio di un’attività (dei pellegrinaggi) molto bella e aggregante.

         Anche nella vita liturgica si è fatto qualche passo in avanti, con l’animazione più partecipata, soprattutto della Messa delle ore 9.30, definita “Messa della famiglia”.

         Un’altra priorità che voglio evidenziare del mio servizio pastorale è stata quella di visitare le famiglie della parrocchia, specie in occasione dell’annuale benedizione pasquale.

         Negli otto anni del mio mandato non sono mai venuto meno a questo impegno, per cui ho potuto conoscere personalmente quasi tutte le famiglie. Ciò mi ha aiutato a entrare in contatto con esse, condividendo gioie, fatiche, sofferenze, preoccupazioni.

         I malati hanno avuto in ciò una mia particolare attenzione. Le esperienze più significative, infatti, le ho vissute con essi, di cui alcuni ho accompagnato fino all’ultimo giorno, celebrando poi i loro funerali.

         Dal lato pastorale, una difficoltà che ho incontrato è stata quella di creare unità nella parrocchia.

         Già mi era nota la configurazione della parrocchia che, anche nel tempo, non aveva favorito questo processo di aggregazione.

        Però, si sono visti significativi momenti, vissuti comunitariamente, soprattutto in occasione delle feste patronali, della festa degli anniversari di matrimonio…

         Negli anni della mia permanenza a Como poi, si è maturato e realizzato il progetto “Antonio: Vangelo e carità”.

         A questo progetto si è arrivati dopo una lunga e faticosa riflessione sulla nostra presenza francescana nella parrocchia di S. Antonio e nel servizio al vicino carcere del Bassone.

Il progetto aveva lo scopo di fare sintesi delle varie esperienze pastorali (parrocchia, Santuario, carcere), volendo mettere in evidenza un segno della ”carità”, che sempre deve animare una comunità cristiana.

         Il servizio della carità e il servizio pastorale hanno avuto, quindi, un segno concreto nella costruzione di “Casamica”, per l’accoglienza di fratelli provenienti da esperienze di difficoltà, e bisognosi di attenzione per il loro reinserimento nella società, e nella ristrutturazione della casa dell’oratorio.

         Non è stato facile realizzare questo progetto, ma, se ben capito, esso è veramente una grazia di Dio dal valore altamente cristiano, che va a beneficio di tutta la comunità cristiana.

         E’ passato più di un anno dalla fine del mio mandato a Como.

Ho ancora vivo il ricordo degli incontri di “addio” che veramente mi hanno commosso, e per i quali ho ringraziato Dio di avermi dato la possibilità di servirlo nella comunità comasca di S. Antonio.

Ricordare un anno significativo della nostra presenza francescana a Como e della consacrazione della Chiesa ci da ancora motivi di ringraziare il Signore per avere potuto vivere il suo amore in una comunità cristiana.

         Auguro a tutti i fedeli di S. Antonio di Como di crescere sempre di più nella fraternità, nell’accoglienza, nella conoscenza del Signore allo scopo di amarlo sempre di più.

Fraternamente.

                                 p. Guido Bisognin

 

 

 

 

I Cappellani delle Carceri

 

 

P. Mario Peruzzo 1984 al 1988

 

LA FORZA DELLA   CONDIVISIONE

 

         Al lettore incuriosito, che leggerà queste righe sulla cappellania del carcere, non so spiegare le ragioni dell’invito del Vescovo, mons. Teresio Ferraroni, a prendere noi, francescani conventuali, la cappellania del carcere circondariale della città, se non la vicinanza della parrocchia al nuovo carcere, ancora in costruzione fuori della città, in località Bassone.

         Invece conosco il motivo della nostra accettazione: per noi religiosi si è trattato di approfondire un aspetto tipicamente francescano di rapportarsi ai fratelli, scegliendo “gli ultimi”. Già nell’ottobre 1941 durante il periodo bellico, i frati francescani conventuali approdavano a Como, rispondendo all’invito del Vescovo Macchi, per essere presenti nella zona “più povera della città – come il Vescovo stesso scrisse qualche anno dopo – per ivi portare lo spirito del Poverello di Assisi”. Accettare nel 1984 la cappellania del carcere, è stato per noi riconfermare, nella linea della continuità, la scelta dei più poveri.

          Nella breve permanenza come cappellano del carcere, mi sono accorto che stringere un patto di solidarietà e di condivisione con i semplici, i disagiati e coloro che cercano di riconquistare un significato alla loro esistenza non è cosa facile. Sono stati lunghi anni di duro lavoro all’interno del carcere e all’esterno. All’interno lavoravo in rete con le figure istituzionali, in particolare l’educatore, gli assistenti volontari e le suore presenti nella sezione femminile; all’esterno con il meraviglioso Gruppo Volontariato Carceri, fondato qualche anno prima con grande lungimiranza da P. Raffaele Pibiri.

           Ben presto mi accorsi che non era sufficiente. Era necessario avvicinare la chiesa locale al carcere, favorendo le visite e le presenze religiose all’interno del carcere stesso; in secondo luogo occorreva affrontare il rapporto difficile tra società e carcere, ben sapendo che il clima all’interno del carcere migliora se cresce una conoscenza collaborativa della società all’esterno del carcere.

           Per una conoscenza delle problematiche del carcere sono state utili anche due umili pubblicazioni: “L’Isola”, che era il bollettino del Gruppo Volontariato Carceri, e “Solidarietà con chi soffre”, un ciclostilato che raccoglieva articoli, poesie, disegni e vignette dei detenuti stessi.

           Negli abitanti della zona, all’inizio c’era una grande ostilità contro la costruzione del carcere circondariale; questa ostilità era stata fatta propria per diversi motivi anche da una parte di parrocchiani. Quindi è stato necessario un paziente lavoro per conquistare un clima più favorevole e una disponibilità di collaborazione alle numerose iniziative proposte dal Gruppo Volontariato Carceri.

           Come non ricordare il pomeriggio di festa, organizzato nell’oratorio di Albate, con la presenza di dieci detenuti, e il primo torneo di calcio all’interno del carcere, conclusosi con la sfida tra la squadra del Como e una rappresentativa dei detenuti.

             Queste sono state due iniziative, che hanno avuto un’eco nella stampa locale. Ma vi sono stati numerosissimi gli altri incontri, le proposte, i corsi, promossi all’interno del carcere per offrire ai fratelli detenuti delle ore di svago, di cultura e, qualche volta, di allegria per dimenticare per qualche istante i loro problemi. Tutto questo è stato possibile per la disponibilità e la collaborazione della direttrice dott.ssa Fabrizi e degli agenti di custodia, che spesso accettavano carichi di lavoro ulteriori, pur di realizzare le iniziative proposte e concordate insieme.

             Ricordo una riunione molto partecipata – erano presenti 60 persone – con un sindacalista, per affrontare l’annoso problema del lavoro all’interno del carcere. E’ stato molto bello il primo grande presepe realizzato all’interno del carcere ,e fu commovente la prima visita del Vescovo nel carcere del Bassone, nel Natale 1985. Da questa visita è nata anche una bella corrispondenza con il Vescovo che ancora conservo fra i miei ricordi.

           Non vorrei dimenticare, fra le cose belle, l’amicizia e la collaborazione con fratel Giuseppe Prioli, responsabile di una comunità di tossicodipendenti, per promuovere la permanenza nella comunità in alternativa alla detenzione del carcere, e la possibilità per i bambini della sezione femminile di frequentare l’asilo di Albate.

           Non sono mancate le sconfitte. Ne voglio ricordare due: l’impossibilità di aiutare un sessantenne, che alla vita all’esterno del carcere ha preferito, dopo 15 giorni di libertà, il ritorno in carcere; e la fuga di un detenuto durante una festa esterna al carcere.

         E’ doveroso da parte mia un ringraziamento alla comunità religiosa e ai parrocchiani. Durante questi quattro anni di servizio in carcere, la comunità religiosa mi ha sempre sostenuto, in modo particolare P. Luigi Cerea; anche i parrocchiani hanno condiviso con la pazienza e con la partecipazione questo servizio al fratello bisognoso. Alla mia partenza dalla parrocchia (1988) hanno scritto che l’impegno di cappellano del carcere era stato “un dono e un arricchimento tanto per me che per la parrocchia”.

           Personalmente, lavorando all’interno del carcere, mi sono sentito più francescano e più missionario; ho arricchito il mio servizio parrocchiale con una maggiore umanità e forza di condivisione di tutte le povertà e sofferenze presenti nella società.

 

 

P. Luigi Cerea 1988-1997

 

 

1977   -   Un pezzo della mia vita   - 1997

 

Carissimi, il Signore vi dia pace!

Sono felice di raccontare un pezzo della mia vita, perché proprio nella parrocchia-santuario di S. Antonio in Como-Camerlata ho speso gli anni più belli della mia vita: dai 30 ai 50 anni, in cui la gioventù mi ha aiutato a “sparare” le cartucce migliori che avevo in me, e l’esplicazione del mio ministero mi ha arricchito di un’esperienza straordinaria, di cui ora faccio grandissimo tesoro.

         Allora dico grazie a Dio e ad ogni persona che ho incontrato nel corso di questi anni.

In questi 20 anni il mio obiettivo primario è sempre stato quello parrocchiale: vivere il mio apostolato, a contatto con la quotidianità delle persone in tutte le loro manifestazioni umane, affettive, morali e religiose.

         Nella parrocchia c’è una realtà da non trascurare, anzi da valorizzare: l’oratorio, luogo di crescita della comunità cristiana nell’ambito della parrocchia in quanto tale.

         Negli ultimi anni, dopo 4 da volontario affiancato al parroco, P. Mario Peruzzo, sono stato chiamato a vivere il mio Ministero come cappellano del carcere del Bassone.

         Questa attività non l’ho mai considerata vita distaccata dalla parrocchia, perché la ritenevo e la ritengo tuttora una ricchezza viva e concreta della stessa comunità cristiana.

         Parrocchia-oratorio-carcere: un trio di attività molto legate tra di loro, che mi hanno aiutato a crescere come uomo, come religioso e come sacerdote. Ecco allora il mio grazie di cuore per quanto ho ricevuto in questo bellissimo periodo.

         Esaminando il mio apostolato posso affermare con sincerità e umiltà che le varie attività compiute, bene o male, sono il frutto di una collaborazione di tante persone, provenienti dalla parrocchia e da altre da altre comunità cristiane, che frequentano ancora la nostra chiesa.

         Elenco qui di seguito alcuni ambiti che ritengo particolarmente significativi, dapprima riguardanti la parrocchia e poi il carcere.

 

Per quanto riguarda la Parrocchia:

- i colloqui personali, per aiutare giovani e meno giovani nel loro cammino umano e spirituale;

le Olimpiadi, tra i vari quartieri della parrocchia;

- le feste di Carnevale, con la promozione della maschera più bella e con i quiz “Campanile sera”, allora in voga, per una cultura dei ragazzi;

la festa dell’Oratorio, il 30 gennaio: festa di S. Giovanni Bosco;

la festa dei portatori di handicap e degli anziani, nella ricorrenza di S. Antonio, invitando gruppi folcloristici, un complesso musicale, il corpo di ballo artistico, e i nostri giovani per canti e danze;

- i Grest, per i ragazzi, in collaborazione con la Parrocchia di Bernate e altre vicine (Albate, Muggiò…);

- la settimana dei giovani, in concomitanza della festa di S. Francesco (fine settembre-4 ottobre)

il Convegno Giovani “Verso Assisi”, per ben 10 anni consecutivi;

- i campeggi, e, per alcuni anni, anche una settimana in Assisi, d’estate, con gli adolescenti. La collaborazione era pure con la mia parrocchia di origine, Curno (Bg) e quella nostra di Milano, dove ora mi trovo in comunità.

i corsi per fidanzati, con la parrocchia di Muggiò, per ben 17 anni, insieme al parroco, Don Mario.

i gruppi familiari, col gruppo “Amici di S. Francesco”, per ravvivare lo spirito francescano della parrocchia.

i recitals, (ben 15, che rappresentavamo anche in altre sedi e parrocchie) come momenti di aggregazione per i giovani, ragazzi e adulti e, soprattutto, come catechesi visiva sul Vangelo e sulle figure dei Santi: Francesco, Antonio, P. Kolbe e la vergine Maria);

E ancora: la S. Messa di Natale a mezzanotte, animata con il presepio vivente, e la rappresentazione della Via Crucis con le ombre cinesi, nella sera del Venerdì Santo;

Infine, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’erezione a Parrocchia, un film in video cassetta: ‘Ieri e oggi e…’ , che raccontava la storia della comunità cristiana, attraverso i ricordi e le parole di tante persone, soprattutto anziane.

 

Le attività nel Carcere:

 

         L’avventura del carcere è iniziata dopo aver esercitato 4 anni di volontariato, dal 1984 al 1988, ed è proseguita dal 1° Settembre ’88 con l’incarico effettivo di Cappellano.

         La paura era tanta, ma la frase di un detenuto, all’atto del mio primo ingresso, mi ha incoraggiato: “Non abbiamo mai mangiato nessuno”.

         Era un ambiente totalmente nuovo e ho cercato di tradurre in concreto alcune sfide con l’aiuto e la collaborazione di Fra Giuseppe Caldato, religioso somasco di via Acquanera, ora defunto, e del gruppo volontari di Como, con la sig.ra Anna Forni, dei volontari che entravano nel carcere, in modo speciale con il sig. Antonio Benvenuti, e di tante persone che mi affiancavano.

         In questo tempo ho cercato di rendere il “pianeta carcere” un luogo in cui la persona umana, indipendentemente dagli errori commessi, potesse intraprendere un cammino di redenzione. Mi sono mosso facendo leva sulla responsabilità di ognuno; in tutto questo mi ha sempre sorretto la consapevolezza che il detenuto è un uomo da amare!

         Si è cercato inoltre di valorizzare tutto l’ambiente penitenziario nelle varie istituzioni: dal Direttore all’ultimo dipendente, al corpo di Polizia Penitenziaria, affinché insieme potessero rappresentare una vera risorsa per il detenuto, ai fini di una effettiva rieducazione e dell’inserimento sociale.

         Inoltre, si è voluto portare ad ogni detenuto un messaggio cristiano basato sulla Misericordia, con l’aiuto della comunità religiosa delle Sorelle di S. M. di Leuca, inserita nell’ambito del carcere, in un appartamento della sezione femminile.

         La passione e la creatività ci hanno portato a introdurre nel carcere anche i vari gruppi parrocchiali giovanili, per animazioni liturgiche e ricreative; qui è bene ricordare il “Gruppo Amico”, costituito in parrocchia per animare con il canto tanti momenti liturgici, sia al Bassone che in altre carceri visitate (Monza-Voghera-Busto Arsizio). Un grazie particolare a Valeriano Maspero, animatore primo, e a tutti i collaboratori; ai Parroci dei vari detenuti, per l’accoglienza in parrocchia, riservata al detenuto dopo il fine pena. Anche ai sacerdoti della nostra Diocesi di Como, con il Seminario maggiore che offriva i chierici come aiuto, va il mio grazie, che estendo anche al Vescovo Mons. Maggiolini.

         Non mancarono inoltre:

- la catechesi nel reparto femminile e nel maschile, una volta alla settimana, secondo i periodi liturgici dell’anno; la catechesi per la celebrazione dei Battesimi ai bambini, della 1^ Comunione, della Cresima degli adulti, del sacramento del matrimonio. Si celebrava regolarmente la S. Messa in tutte le sezioni, una volta alla settimana;

- i colloqui con i detenuti e l’incontro con i loro familiari;

- le riunioni e giornate pro-carcere, con vendita di manufatti in parrocchia; va qui ricordata la sig.ra Lucia Beretta, che era presente anche nelle altre parrocchie in cui eravamo invitati;

- l’accoglienza di alcuni detenuti in “permesso premio”, ospitati da alcune famiglie (Larghi Gerardo), e di altri che avevano ormai terminato la pena, ad opera del nostro convento;

- i momenti sportivi, con l’invito a squadre di calcio di Serie A: Como, Torino, Inter, e a quella di pallacanestro femminile - Serie A - di Como, la “Polisportiva Comense”. Anche all’interno del carcere, i tornei di calcio tra le varie sezioni erano frequenti e ben organizzati;

- la sera di Natale poi, come in quella di Pasqua, si passava di cella in cella con un gruppo di volontari, a portare un piccolo presente e a formulare un augurio (grazie alla ditta Taborelli Erminio!)

 

         Voglio ora concludere questa mia testimonianza, ringraziando di cuore Dio per le meraviglie che in tutto questo tempo ha operato in noi e attraverso di noi.

         Menzionare i rimpianti non è nel mio stile; posso solo affermare di aver dato tutto il mio entusiasmo. Ciò che non ho potuto realizzare, per diversi motivi più o meno validi, lo metto nelle mani di Dio e degli uomini.

         L’augurio è che la “pianta carcere” non sia in un’isola deserta e abbandonata, ma diventi una pianta di ulivo per un futuro più vero e sentito, all’insegna di una comune e più viva responsabilità sia del detenuto che della società.

         Termino con un grande grazie di cuore a tutti: alla mia comunità religiosa e a quella presente, ai sacerdoti, chierici, al Vescovo, alle suore di S.M. di Leuca, ai cappellani passati e presenti, alla Direzione del carcere, alla polizia penitenziaria, agli operatori, ai volontari e a chi ha operato e tuttora opera in carcere per un mondo più umano e responsabile.

 

                                               Il Signore ci dia Pace!

 

 

 

P. Sergio Piovan 1997- 2004

 

         GRAZIE! Questa è la prima parola che mi è venuta in mente quando il Prevosto, P. Nando, mi ha telefonato per chiedermi di mettere per iscritto qualche pensiero sul mio tempo trascorso presso la comunità di S. Antonio a Como.

         Un grazie innanzitutto al Signore che, per vie misteriose (quelle dell’Obbedienza?), mi ha permesso di vivere un tempo tanto significativo e, vorrei dire, quasi di conversione.

         Venivo da un lungo periodo trascorso con i ragazzi e le rispettive famiglie, in Seminario. Tempo prezioso vissuto intensamente tra educazione e formazione umana, religiosa, scolastica, con responsabilità di vario genere.

         Sono arrivato a Como nel Dicembre del 1996. L’impatto con la comunità religiosa e parrocchiale di S. Antonio, non mi è stato difficile. I confratelli li conoscevo tutti; con alcuni c’era già stata vita fraterna in altre realtà. In parrocchia conoscevo già alcune persone “amiche” con le quali avevo mantenuto anche una certa corrispondenza, dopo l’anno vissuto proprio a Como nel 1970-1971. Arrivando, infatti, ho riconosciuto alcuni volti e ricordato diversi momenti trascorsi assieme più di trentacinque anni prima.      

         Volti e persone che mi hanno certamente facilitato l’inserimento e che, nello stesso tempo, mi hanno aiutato ad iniziare un servizio, all’interno di una parrocchia, per me completamente nuovo. Quello dato alla pastorale parrocchiale non è stato certamente un servizio molto incisivo e significativo in quanto, a parte i primi mesi che erano anche per me di inserimento, poi il mio tempo è stato quasi esclusivamente impegnato nella pastorale penitenziaria.

         Accompagnato da P. Luigi Cerea, ho mosso i primi passi all’interno del carcere, luogo che in precedenza non avrei mai pensato di frequentare. Ricordo che, quando mi sono presentato al Vescovo per la nomina, ho detto: ”Eccellenza, dal Seminario carcere, al Carcere seminario; speriamo bene!”. La sua benedizione mi ha incoraggiato.

         Nel Settembre 1997 ho iniziato il ministero in carcere, con tutti i timori del caso e le attenzioni necessarie alla situazione. Devo dire però che fin dall’inizio ho trovato, soprattutto nei detenuti, un’accoglienza molto serena, tanto che ad un certo punto mi convinsi che, se io potevo essere necessario a loro, loro invece erano divenuti indispensabili per me.

         Non è stato tutto facile. All’interno del carcere ci sono varie realtà: ogni categoria con compiti e ruoli specifici, che non sempre è facile rendere armonici.

         Dopo i primi contatti, mi ero dato un principio: ”Meno Giudizio e più Servizio”, che tradotto in parole povere significava: non giudicare ma amare. Questo mi ha permesso di abbracciare e incontrare tutti, cercando in ciascuno l’uomo, il figlio del Padre che, se pure ha sbagliato, conserva in sé sempre quell’impronta divina che dà dignità ad ogni persona, e che nessun reato può annullare.

       A questo proposito non posso non ricordare un episodio che ancora porto nella mente e che mi ha testimoniato quanto è grande l’Amore. Un giorno ero appena rientrato in convento, quando suonano il campanello: marito e moglie, papà e mamma. Chiedono di parlare con il cappellano del carcere. Mi presento: “Sono io!” “Noi siamo i genitori di…”. Uno sfogo…, tante lacrime…, poche parole… ma alcune di fondamentale valore: “Ora abbiamo un Angelo in cielo che ci assiste, e un figlio in terra da amare!”. Il figlio di 21 anni aveva ucciso il fratello di 9. Grandezza dell’amore di Dio!

         Fin dall’inizio, ho trovato un grande aiuto dal gruppo di volontari, che già operava all’interno della struttura, con grande dedizione e non poco sacrificio. In particolare ho potuto collaborare con la Caritas, nella persona del suo Direttore.

         E’ stato proprio nel confronto e nella riflessione con queste persone e con altri volontari, che nel frattempo si erano avvicinati alla realtà carcere, che è sorta la necessità di creare una struttura di prima accoglienza e di appoggio alla realtà carceraria nel suo insieme: detenuti, familiari, personale interno, realtà sociali…

       Nel 2000, anno del Giubileo, questa idea si fa più concreta, in quanto incoraggiato dal Vescovo in persona, che su questa mia proposta si trova favorevole e mi sprona. Cominciano le prime richieste, i vari contatti necessari a livello di Superiori religiosi e di enti pubblici; discussioni e incontri a livello comunitario e parrocchiale, finché, non senza difficoltà, si arriva a iniziare i lavori e a portare a termine la “CASA AMICA S. ANTONIO”, che ritengo, anche ora che sono “fuori dal giro”, una necessità assoluta e un servizio indispensabile.

         Ecco allora che un grazie, prima di concludere, devo dirlo anche a tutte le persone che ho incontrato nei sette anni trascorsi tra le mura carcerarie: Direttore, educatori, personale amministrativo, maresciallo e agenti di Polizia penitenziaria.                            

         Un breve ma non meno sentito grazie, voglio esprimerlo a tutti i volontari che, con ruoli e modi diversi, nonostante qualche momento di difficoltà, ma sempre nel reciproco rispetto e stima, hanno accompagnato il mio servizio. Sono una componente indispensabile all’interno del carcere. I compiti diversi che svolgono, sono tutti di fondamentale importanza. Ne ho sentito il sostegno e il contributo in moltissimi momenti, e solo con il loro aiuto ho potuto portare avanti tante iniziative a favore delle persone recluse. Oltre agli aiuti materiali, indispensabili per la grande maggioranza, con loro si sono create occasioni di testimonianza e sensibilizzazione all’interno di parrocchie, gruppi, associazioni varie e tra singole persone, che hanno avvicinato molto più la società all’ambiente carcere. Con essi sono state realizzate iniziative interne che hanno alleviato, almeno per qualche momento, la sofferenza e l’isolamento che le persone detenute vivono in quell’ambiente. Ritengo che i volontari siano veramente la spina dorsale dell’attività di sostegno all’interno e di sensibilizzazione-promozione all’esterno.

         Un grazie particolare tuttavia voglio riservarlo alle sorelle e fratelli detenuti che sono stati per me, mutatis mutandis, come il Lebbroso per S. Francesco. Mi hanno aiutato a comprendere la grandezza dell’uomo e l’infinito amore e misericordia di Dio; il grande dono del Sacramento della riconciliazione, l’importanza dell’ascolto e la fondamentale e indispensabile dimensione spirituale presente in ogni uomo, da riscoprire quotidianamente. Senza quel “Ogni cosa farete al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a Me”, non credo possa esistere servizio autentico all’interno di un carcere: non ci può essere vera Carità.

         Ancora un episodio mi sento di riportare. Questo come segno di riconoscenza anche per gli avvocati che quotidianamente incontravo, avendo la mia stanza di colloquio nello stesso luogo dove ci sono le stanze per gli avvocati.

         Una ragazza straniera era stata arrestata, proprio fuori i cancelli del carcere. Era disperata. Le sono stato vicino: ho ascoltato i tanti suoi problemi. Tra questi, quello del suo avvocato che non prendeva iniziative. Incontro uno dei tanti avvocati che vedevo spesso, e gli chiedo se può prendere a cuore questo caso, presentandogli anche le difficoltà economiche. Lui mi risponde di farle sottoscrivere la nomina, che appena possibile sarebbe andato a trovarla. Per farla breve, questo avvocato si fece veramente carico della situazione: in meno di due mesi le fece ottenere gli arresti domiciliari (lei straniera, in carcere a Como, ottiene gli arresti domiciliari in casa di stranieri suoi concittadini e in una città lontana da Como). Passati i due anni a cui era stata condannata, la ragazza mi chiede di poter andare a ringraziare l’avvocato prima di ritornare al suo Paese.

         Prendiamo appuntamento, andiamo a Como, incontriamo l’avvocato. Con lui e la sua assistente andiamo a pranzo. Lui paga il pranzo a tutti e, alla fine, prende in disparte la ragazza e le dà una busta. Ci sono soldi. Non solo non si era fatto pagare per l’assistenza giuridica, ma aveva contribuito per alleviarle la spesa del ritorno a casa.

         Di fronte al detto: ”Un uomo in mano ad un avvocato è come un topo in bocca a un gatto”, posso affermare: “Anche gli avvocati hanno un cuore!”.        

         Ora, dopo un anno di transizione presso il nostro convento-Parrocchia-Santuario dell’Arcella , in Padova, mi trovo nel convento dei Santuari antoniani di Camposampiero. Mi trovo bene, sono sereno, anche se non mi è facile dimenticare quanto ho vissuto. il volto di tante persone con le quali ho condiviso momenti molto significativi, sia nel ministero parrocchiale, come nel servizio ai fratelli detenuti.

         Mi rimane soprattutto la ricchezza della scoperta dell’uomo, che vale molto più delle sue azioni.

         Ho imparato a non giudicare ma servire; meno giudizio e più servizio; a riprovare il peccato, mai il peccatore, che va sempre accolto, compreso, amato, proprio perché amato da Dio. Ho compreso ancor di più l’importanza della riconciliazione con Dio, per riconciliarsi con se stessi e con il prossimo; so che l’ascolto e il dialogo, in tutte le loro dimensioni, sono fondamentali per ogni uomo; sono profondamente convinto che solo l’Amore, che ha la sua fonte e origine in Dio, può portare al perdono.

         Grazie, Signore, per aver posto nel mio cammino la realtà di Como.

 

 

 

I Parrocchiani  

 

Testimonianza di Paride Zappavigna

 

Paride Zappavigna, essendo nato qui, ha cominciato presto a frequentare l’oratorio e la parrocchia, venendo a contatto coi religiosi che, a partire dagli anni 60-70, costituivano la comunità dei frati di S. Antonio.

Ha partecipato alle attività pomeridiane di laboratorio promosse per impegnare i giovani e i giovanissimi, e curate da Padre Rodolfo con la maestria e la passione a tutti note. Questi, avendo intuito in lui una certa predisposizione alla musica, lo ha introdotto e guidato nei segreti del rigo e delle sette note. E non senza profitto, poiché Paride ha poi accompagnato con l’armonium le liturgie ecclesiali, in quelle occasioni in cui il suo maestro era impegnato altrove.

Nel frattempo, dopo aver seguito gli studi necessari, Paride è diventato un professionista meritatamente stimato, ed esercita attualmente la sua attività, nel campo dentistico, in uno studio cittadino  

 

Erano gli anni '70. Ho un ricordo molto vivo: quello di un sacerdote speciale tra i frati del convento di S. Antonio, P. Rodolfo De' Concini; trentino. Era un uomo che aveva fatto una scelta di Fede, ma era anche portatore di talenti artistici che spaziavano dalla musica, al disegno e alla pittura.

Un uomo complesso e generoso, che aveva avuto un'intuizione felice: quella di poter fare catechesi anche in un modo alternativo. E poiché gli era molto caro il motto benedettino "Ora et Labora", capì che attraverso il "fare", l'esempio e la concretezza, si potevano educare i bambini e gli adolescenti che frequentavano la Parrocchia.

Il "saper fare" era per lui una parte importante del Sapere, insieme al "saper essere" e al "saper conoscere".

Cosi, nell'oratorio maschile, creò un "Laboratorio" dove insegnava a ritagliare e trattare il legno, a dipingere, a coltivare la calligrafia, a creare scenografie e rappresentazioni teatrali; ma anche a fare semplici lavoretti domestici, come il riparare una presa di corrente: insomma quello che noi oggi chiameremmo “lavori di bricolage”.

E in questo laboratorio, senza esprimerlo intenzionalmente, esercitava l'arte antica della maieutica socratica, cioè la capacità di saper trarre il meglio dalle persone, cogliendone e valorizzandone le naturali inclinazioni.

All'epoca non c'era il primato della tv, della playstation e dei cellulari, ma noi bambini di allora non conoscevamo la noia, perché ci si inventava sempre qualche occupazione, che con Padre Rodolfo era spesso creativa, ma anche ludica.

Si cresceva così sviluppando la manualità, il senso pratico delle cose, ma anche la disciplina, l’ordine ed il metodo di lavoro. Si imparava a stare insieme nel rispetto reciproco delle regole.

E non è un caso se la manualità e la precisione nel lavoro che ho scelto da adulto, quello di fare il dentista, trova le sue radici proprio nella formazione maturata nel laboratorio di padre Rodolfo, al quale va la mia grande riconoscenza.

So anche che tutti coloro che lo hanno frequentato insieme a me, pur nella varietà dei lavori intrapresi da adulti, hanno potuto beneficiare degli apprendimenti nel laboratorio. Credo che il suo

insegnamento ci abbia dato qualche strumento in più per affrontare le difficoltà della vita. E’ per questo motivo che ho considerato quest’uomo tra i maestri che ho avuto la fortuna di incontrare nel percorso della mia esistenza.

 

 

TESTIMONIANZA DI ROBERTO FESTORAZZI

 

Nostro parrocchiano per nascita, avvenuta circa a metà degli anni 60, ha frequentato il santuario e l’oratorio. Nel primo ha ricevuto i Sacramenti dell’iniziazione cristiana; nel secondo ha vissuto il suo tempo libero durante primi due decenni di vita, trovandovi la compagnia di un folto gruppo di coetanei e amici, aggregati nell’insieme dei “giovanissimi”, ossia degli adolescenti, in prevalenza studenti. Con essi, dal 1980 all’85 ha condiviso esperienze, attività e passatempi.

Ha lasciato il nostro rione durante gli anni dal ‘92 al ‘99, per tornare e stabilirvisi definitivamente.

Terminati gli studi superiori, ha frequentato la scuola di giornalismo, traendone il massimo profitto, tanto da entrare a far parte, per dieci anni, dei collaboratori di “Avvenire”.   Forte di questa esperienza e della sua preparazione culturale, ha conseguito la libera professione, divenendo apprezzato giornalista “free lance”.

Appassionato cultore di storia contemporanea, è paziente ricercatore di documenti, impegnato nella non facile analisi dei fatti storici, per chiarirne cause, sviluppi e conseguenze, elementi di cui si avvale per scrivere i libri e le pubblicazioni dei quali è autore.

Ma, partecipando alle attività dell’oratorio, vi ha trovato anche una figura che ha dato un contributo determinante alla sua formazione e all’orientamento della sua crescita: un religioso, il cui ricordo balza vivo e delineato con straordinario calore dalla testimonianza che facciamo seguire.  

 

Mi viene chiesta una testimonianza su padre Luigi Cerea e, sfogliando l’album mentale dei miei ricordi, mi accorgo che sto per scrivere un panegirico. Non che a padre Luigi (o a “Luigi”, come semplicemente lo chiamavamo, quasi come ci rivolgessimo a un fratello maggiore) manchi qualche difetto, ma mi pare siano di entità così lieve da scomparire davanti alle sue grandi qualità.

Quindi, bando alle beatificazioni anticipate – del tutto fuori luogo, essendo l’interessato ancora ben vivo e vispo – provo a elencarne qualcuna.

         Ho conosciuto padre Luigi, se non ricordo male, nel novembre 1977, ossia poco dopo il suo arrivo a Sant’Antonio. Io avevo dodici anni e devo dire che ha lasciato una traccia profonda in me, della quale mi accorgo soltanto ora che sono diventato padre di famiglia. Gli sono grato per la enorme pazienza con la quale mi ha seguito per vari anni, nell’età difficile dell’adolescenza. Ecco, se posso banalizzare, direi che uno dei tratti caratteristici della sua personalità è quello di essere dotato della virtù di una “santa insistenza”. Insisteva con noi, presi singolarmente o in gruppo, perché “ci fossimo”, ossia prendessimo parte alle iniziative di cui si faceva promotore e animatore quale responsabile della pastorale giovanile.

         Personalmente, l’ho assecondato varie volte e ne ho tratto grandi insegnamenti: per anni, ci si è ritrovati al “gruppo” del mercoledì, quello dei cosiddetti “giovanissimi”; non un appuntamento di catechesi in senso tradizionale, ma un luogo di dialogo nel quale potersi confrontare. Padre Luigi partiva dalle nostre domande – senza mai scantonare, ma prendendole sempre come spunto di discussione – per cercare di fornire risposte secondo il Vangelo.

         Quella dei quindici-venti anni è un’età piuttosto critica: se avesse puntato su un gruppo di catechesi tradizionale, forse non ne avrebbe cavato nulla. Invece, a quel “gruppo” bene o male si interveniva. E non tutti i partecipanti, credo, fossero ugualmente orientati in senso cristiano. L’esserci, per padre Luigi, significava già molto, se non tutto: voleva dire non chiudere a doppia mandata le porte a Gesù, ma lasciarGli aperto uno spiraglio almeno. DarGli un’occasione per parlare a noi, per entrare nella nostra vita.

         Di qui, appunto, la sua “santa insistenza”. Dico “santa”, perché non era un’insistenza qualunque, ma ispirata al bene delle persone. Non premeva per asservire un’anima, ma per aiutare ciascuno a liberarsi da qualche fardello che impediva di volare. E di questo gli sono grato.

           Padre Luigi ha insistito con me perché partecipassi al gruppo dei recital. Rappresentammo la vita di padre Kolbe. Poi gli dissi: “Basta, Luigi, ho tanto da studiare. Non contare su di me per il prossimo recital”. Frequentavo il liceo classico e mi sembrava di non farcela mai. Ma il sant’uomo insisteva, insisteva. Così furono due recital, tre recital, non so bene quanti.

           Poi, insisteva per portarci ad Assisi, altro suo grande amore di francescano autentico. Alla città del Santo poverello è riuscito a condurmi due volte.

           Se posso riassumere, direi che di padre Luigi conservo il grato ricordo di un sacerdote straordinariamente disponibile verso tutti senza alcuna riserva; un uomo mite che si è lasciato edificare dalla spiritualità francescana, assumendo come suo impegno la “Preghiera semplice”, che ha trasmesso a noi come una sorta di testimone. Un amico e un fratello maggiore, sulla cui lealtà si sapeva di poter contare in ogni momento.

           Lo ricordo sempre in mezzo a noi giovani, ma allo stesso tempo senza esaurirsi nel gruppo o (come talvolta accadeva per eccesso di esuberanza giovanile) nel “branco”. Al momento giusto, sapeva ritagliarsi lo spazio per seguire le persone singole, per smarrirsi nelle strade e nei percorsi individuali. Da vero uomo di Dio e annunciatore del Vangelo.

           Da ultimo, non posso non fare cenno all’umanità accogliente del sacerdote che amministrava il sacramento della penitenza. Ecco, la delicatezza di padre Luigi, nel confessionale, diventava il sorriso di un uomo che gioiva interiormente perché poteva donare il perdono di Dio. Sono testimone, per averla sperimentata, di quella sua gioia piena che pareva illuminargli il volto.  

           Non c’è dubbio, che l’esperienza delle fede ci introduce anche alla contemplazione del mistero, perché a un certo punto, tra l’umano e il soprannaturale, c’è un “salto”. Il sacerdote stesso si colloca nella penombra della vita quotidiana, tra il buio del peccato e la luce della salvezza. Ecco, io credo che padre Luigi, qualche volta, ci sia apparso un po’ “tra le nuvole”, forse perché già pregustava in mezzo a noi.... un pezzetto di Paradiso.

           Ora vorrei rivolgermi ai padri che oggi portano la responsabilità e la croce che furono di padre Luigi e dei suoi confratelli. Indossate il saio con gioia, seminate, seminate e ancora seminate. Non scoraggiatevi. Qualcuno poi raccoglierà i frutti.

 

 

                                             ____________________________ .

 

 

Testimonianza di Gualtiero Auguadro e Fausto Albonico

 

PADRE MICHELE BERNARDI, UN GRANDE AMICO FRATE.

 

             Gualtiero Auguadro, nato in parrocchia dove ha trascorso i primissimi anni d’infanzia, poi trasferitosi per un decennio nella vicina Albate, dove abitò nella periferica ma verdissima Val Basca, è tornato a risiedere stabilmente, con la moglie e il figlio Giorgio, nell’originario quartiere dell’Acquanera. A coronamento del suo curriculum di studi, ha conseguito la laurea in scienze statistiche presso l’Università di Padova. Lavora presso il Consorzio agrario.

           Fausto Albonico, camerlatese di nascita, è antoniano di adozione, essendo venuto a stabilirsi con la famiglia paterna, ancora ragazzo, in una casetta di nuova costruzione nel rione di Belvedere.   Ha studiato a Como, nel prestigioso Istituto di Setificio, uscendone con un meritato diploma di analista chimico, per tornare poco più tardi nella sua stessa scuola, e restarvi parecchi anni, non più come allievo, bensì come docente.

E’ sposato e ha due figli. Ha abbandonato l’insegnamento, per aprire uno studio professionale, dove lavora attualmente.

             Non è un caso che questa testimonianza sia stata stilata a quattro mani. Entrambi gli autori sono cresciuti all’ombra dell’oratorio di S. Antonio, ed è stato lì che è nata la loro stretta amicizia, consolidata da esperienze convissute. La freschezza dei loro ricordi, include anche un certo numero di compagni coi quali hanno condiviso le ore passate a fianco di Padre Michele: citano, ad esempio, le due gemelle Marelli, Lorenzo Sossan, Luigi Bedetti, i due fratelli Larghi, Bruno Flego e il compianto Peverelli. Sottolineano la costante e attiva presenza nel gruppo di Marco Malinverno, oggi dottore. Riservano un posto particolare a Paolo Flego, voce apprezzata del coro parrocchiale e allenatore della squadra di calcio; né dimenticano Renzo Ostinelli, dalla straordinaria disponibilità a partecipare alle iniziative parrocchiali ma, purtroppo, prematuramente scomparso.                

             L’entusiasmo dei due testimoni si avverte chiaramente nelle espressioni spontanee della loro testimonianza che qui riportiamo:

Rinasce l’oratorio di S. Antonio

 

Era la seconda metà degli anni sessanta, la Parrocchia era in una fase statica. I parrocchiani, allora tutti autoctoni, erano pochi e distaccati: si incontravano per la doverosa Messa domenicale lasciando poi i frati soli a gestire la vita parrocchiale.

Solo le mamme, nel portare i bambini all’asilo, collaboravano in qualche modo con le suore, appena insediate nei nuovi locali e comunque un po’ isolate al di là del ponte di recente inaugurazione.

L’oratorio era un ambiente strano. I ragazzi non c’erano, poiché nessun frate si occupava di loro; i frati non si occupavano di un oratorio senza ragazzi.

Arrivò un giovane frate di Castelfranco Veneto, Padre Michele, con l’incarico di inventarsi un oratorio vivo.

             Come talvolta accade, la novità fu accolta inizialmente con diffidenza e l’unico risultato delle sue prime settimane di lavoro fu la formazione di un gruppetto di sedicenni (non più di 10 ragazzi) che, peraltro, già consideravano l’oratorio come punto d’incontro per raggiungere poi altre destinazioni.

               Molti ragazzi furono in seguito conquistati da un carattere grintoso ma ornato da un grande e spontaneo sorriso, che manifestava tutta la genuinità e la voglia di vivere di Padre Michele.

Con un passa-parola a macchia d’olio, l’oratorio iniziò a rivivere, frequentato da ragazzi di ogni zona della parrocchia. Fu un grande risultato perché, fino ad allora, non c’erano mai stati se non pochi veri ed amichevoli contatti fra i parrocchiani dei tre “quartieri” Acquanera, Belvedere e S. Bernardino (quest’ultimo chiamato “Russia”, e oggetto di una stupida discriminazione verso chi, meno benestante, abitava le case popolari). Padre Michele frequentò giornalmente la “Russia”, attraendo dapprima l’attenzione e conquistando poi la fiducia e l’amicizia di quei ragazzi che erano stati ignorati e, spesso, schivati.

               Ripensandoci quasi quarant’anni dopo, con un giudizio sicuramente più maturo, si deve ammettere che Padre Michele ottenne un risultato sociale di grande portata, che nessuno poteva prevedere, raggiunto da un generoso “contadino” (come lui sottolineava spesso), di umili origini ma di grande cuore e di intelligenza aperta.

                 Dopo 6 mesi, l’oratorio era frequentatissimo da ragazzi dai 10 ai 20 anni e più, con il coinvolgimento di numerosi adulti che davano il loro prezioso contributo alla organizzazione e alla gestione delle attività.

 

Il frate manovale

 

                 Padre Michele era un grande lavoratore, infaticabile: dopo tanti anni mi ricordo bene le mani callose, segnate dalle pinze e dalle tenaglie quando lui, arrampicato come una scimmia, riparava o sostituiva le reti dell’oratorio o quando, impolverato sotto la canottiera, con la fronte già stempiata grondante di sudore, spaccava con la mazza i sassi per rendere meno ostile la superficie del campo di calcio.

                Nei momenti di pausa dai lavori pesanti, non si riposava: alzava gli orli dei pantaloni e giocava al pallone con i ragazzi, con   foga e   entusiasmo coinvolgenti; oppure, quando il tempo era inclemente, si rimboccava le maniche della tonaca e cercava di vincere entusiasmanti incontri di calcio-balilla o di ping pong. Trovava sempre qualcuno che lo batteva: prima si irritava, poi finiva col sciogliersi limitandosi al suo solito e amichevole “pugno” sulla spalla, accompagnato dal grande sorriso conquistante.

 

La bicicletta

 

                 Amava la bicicletta. I parrocchiani ricorderanno certamente quella tonaca nera svolazzante sulle nostre strade (non ancora intasate dalle macchine); immagine rievocatrice dei   film di Zorro, galoppante sul suo cavallo.

                 Grazie a questa sua passione, noi ragazzi di allora abbiamo un ricordo indelebile delle gite in bicicletta, con sosta al lago per il bagno estivo, che si concludevano a sera con un gruppo di giovani “spompati” e incapaci di fare qualsiasi altro ulteriore movimento, ma felici come pasque.

 

La filodrammatica

 

                 Non ricordo come e a chi venne l’idea di formare una compagnia teatrale dialettale, la “Filodrammatica Antoniana”. Ricordo solo che Michele ci sostenne da subito: anzi, diventò il nostro regista. Dopo tanti anni, mi rendo conto che non era la sua professione: però, quanto ci siamo divertiti, noi e lui!!! Quando provavamo, Michele, seduto a cavalcioni di una sedia al centro del salone, scoppiava in risate irrefrenabili, che interrompevano la recitazione degli attori, contagiati da quella genuina ilarità.

                   La sera delle recite lo vedevano coinvolto in una agitazione visibile, interrotta spesso da qualche sua esplosiva risata (che cercava di contenere tra i denti e che si trasformava in una sorta di singhiozzo misto a sibilo), quando risentiva una battuta o una improvvisazione.

                   La Filodrammatica durò un paio d’anni, non sufficientemente supportata dal pubblico che, dopo la novità delle prime recite, lasciava vuote la maggior parte delle sedie.

 

Le vacanze invernali

 

                 A quell’epoca non erano di moda le “settimane bianche”.

Padre Michele azzardò l’idea di qualche giorno in montagna, sulla neve. A Campitello prima e all’Aprica l’anno dopo, alloggiati in grandi case trovate non so come, una quarantina di ragazzi e ragazze, sotto l’occhio bonario ma vigile di Michele e di alcuni genitori disponibili, hanno passato giorni ricchi di belle cose, di compagnia, di divertimento sereno: ancora oggi, rivedendo le polverose e sbiadite fotografie di quei giorni, non posso evitare la nostalgia per quella esperienza nuova così coinvolgente.

 

Le ragazze

 

             In oratorio comparvero le prime ragazze: situazione nuova e non ben vista da tutti i frati, ancorati ad una tradizione che non accettava la promiscuità, e preoccupati dall’eventuale giudizio dei parrocchiani “benpensanti e bacchettoni”.

             Con elasticità mentale, grande intelligenza e modernismo, Padre Michele seppe gestire i primi incontri, mettendo in primo piano le regole morali e pratiche, che hanno reso possibile una convivenza fino ad allora impensabile. Sbocciarono anche alcuni inevitabili amori giovanili: Padre Michele li osservò e seppe riconoscere quelli reali, autentici, che meritavano di essere coltivati fino a completa fioritura.

           Alcuni incontri di allora, improntati sui sani principi imposti da Padre Michele, si sono trasformati in matrimoni che, oltre trent’anni dopo, si mantengono saldi.

 

La partenza

 

             Gli ultimi tempi di permanenza a S. Antonio non furono, per Michele, i migliori.

In lui avvenne una lenta evoluzione mentale che ne modificò il carattere esuberante: era alla ricerca di qualcosa di diverso che gli fornisse nuovi stimoli: voleva ripartire da zero.

             Fu trasferito nel profondo sud della Calabria, dove provò a ripartire alla conquista di nuovi giovani da plasmare e da trasformare in promettenti adulti.

             Nel nostro oratorio si era ormai formato un bel gruppo di giovani, che ha portato avanti e ulteriormente sviluppato l’iniziale lavoro di Padre Michele.

 

 

Intervista a Pierino Bernasconi                              

 

Pierino Bernasconi, è parrocchiano di S. Antonio da oltre 50 anni, essendosi trasferito qui, con la famiglia paterna, da Montano nel 1952.

Col fratello, ha gestito per due lustri un bar con biliardo, posto in via Belvedere (angolo con Via San Michele del Carso), sempre animato dall’andirivieni di numerosi clienti.

Compatibilmente con gli impegni di lavoro, ha fedelmente partecipato alla vita della parrocchia, da membro attivo prima, e con assidua presenza dopo aver formato la propria famiglia.

Avrebbe una miniera di notizie da raccontare. Abbiamo scelto, fra le tante cose che ci ha detto, quelle che riportiamo di seguito.

           Quali impressioni ha suscitato in te l’inserimento nella nostra parrocchia quando sei arrivato?

  • Temevo di sentirmi a disagio, ma così non è stato. Ho trovato disponibilità e accoglienza da parte dei religiosi, e mi sono integrato con la massima naturalezza nell’oratorio, allora un po’ scarso di strutture, ma ricco di frequentazione di ragazzi a giovani, coi quali non ho tardato ad affiatarmi.

 

Se le strutture oratoriali erano poche, cosa favoriva la partecipazione numerosa?

  • Credo che il principale motivo di attrazione, oltre al piacere di trovarci assieme a giocare, fosse la varietà delle iniziative, tra le quali ricordo l’organizzazione di attività sportive, le gite “fuori porta” sulla Spina Verde e sulle colline che circondano Como, ma anche la proiezione dei film alla domenica (le pellicole andava a prenderle Padre Romano al sabato). Quello stesso Padre Romano col quale periodicamente si andava a Ronago a prendere dolciumi della ditta Ambrosoli, per rifornire il piccolo bar dell’oratorio. Inoltre c’erano i preparativi e la celebrazione delle feste parrocchiali e l’allestimento del presepio per Natale.

 

Ah, il presepio? Dunque già da quei lontani anni in parrocchia lo si faceva?

  • Certo! Lo preparavamo nella cappella del S. Cuore. Ci lavoravamo noi giovani in gruppo, per circa un mese, alla sera, battendo i denti perché la chiesa allora non era riscaldata. Anche in questo, Padre Romano faceva la sua parte, addobbando l’altare con piccoli abeti sui quali, con una pazienza incredibile distribuiva una quantità di piccole luci collegate ad una resistenza. Ciò non impediva però che ogni tanto qualche lampadina bruciasse facendo spegnere tutte le altre. E allora si perdevano ore a cercare quella guasta per sostituirla. Ma poi l’apprezzamento della gente era una soddisfazione per tutti quelli che ci avevano lavorato.

 

Ecco, la gente. Tra le persone che hai conosciuto in questo mezzo secolo di permanenza in parrocchia, ne ricordi qualcuna di spicco?

  • Fra i religiosi, oltre ai parroci e ai sacerdoti, ho avuto stima e simpatia per Fra Raffaele, una persona mite e timida, ma assidua come poche altre nel servizio in chiesa (come adesso fra Cosma). Era straordinariamente “produttivo” nella cerca di oggetti e materiali per il banco vendita e la pesca di beneficenza, di cui era uno del principali “fornitori”.

 

Oggetti che trovava….?

  • ….che reperiva girando instancabilmente per almeno 11 mesi all’anno, in ogni angolo della provincia e soffermandosi con molta insistenza nel canturino.

 

E tra i Padri?

  • Una figura originale era Padre Graziano, un po’ capellone, sempre in mezzo ai giovani, appassionato di musica lirica. Aveva una bella voce e spesso cantava in duetto con Giancarlo Ricordi, soprannominato l’Americano (malgrado fosse valtellinese), che abitava in una casa sulla Canturina e aveva anch’egli una buona voce tenorile.

 

Rispetto alla fisionomia attuale della parrocchia, trovi qualche differenza?

  • Sono molte le diversità, causate anche dall’avvicendamento delle famiglie e delle persone, per non parlare del cambiamento delle condizioni economiche, una volta assai precarie e prossime al livello di semplice sopravvivenza per molti parrocchiani, per via della forte disoccupazione. Bisogna riconoscere che, in quella situazione, è stato un sacrificio anche per la comunità lo sforzo di concorrere a finanziare la costruzione del santuario.

 

Fortunatamente, alle vostre risorse se ne saranno aggiunte anche altre mandate dalla Provvidenza.

  • E’ vero. Padre Otello ha fatto molte conoscenze, dalle quali sono venuti sostanziosi aiuti. In specie il Sindaco Terragni ha offerto contributi notevoli, cedendo gratuitamente il terreno e donando in blocco l’altare maggiore, la cui mensa è stata staccata e portata avanti dopo il Concilio Vaticano II, proprio in ottemperanza alle riforme liturgiche introdotte dai Padri conciliari.

Le difficoltà economiche erano un ostacolo per le attività parrocchiali?

  • In parte forse sì. Tuttavia anche allora si celebravano intensamente le solennità e, di tanto in tanto, venivano organizzati dei pellegrinaggi, ma con mete non molto lontane, per contenere la spesa.

 

E la partecipazione?

  • Generalmente i posti del pulman si completavano. E i viaggi non erano mai noiosi perché, durante gli intervalli fra i momenti di preghiera, c’era la “verve” del signor Galimberti – il custode del Campo sportivo Coni – che animava e movimentava con la sue battute l’intera comitiva.

 

C’era qualche persona di rilievo fra i parrocchiani?

  • Altrochè! Taborelli, che ha ospitato per circa un anno i Padri conventuali appena giunti qui; Onofrio Gangemi, un vulcano di iniziative per la parrocchia e per l’oratorio, e un organizzatore sportivo così esperto che è poi diventato responsabile del complesso sportivo comunale di Casate; Francarlo Butti gestore insuperabile dell’annuale pesca di S. Antonio, al successo della quale sacrificava ogni anno alcuni giorni delle sue ferie; ed era anche un formidabile “schiacciatore” di ping-pong, alle cui partite partecipava con una resistenza e un’agilità insospettabili in un uomo della sua corporatura. Non certamente ultima per importanza, l’intera famiglia Cairoli (genitori e figli) benemerita della Parrocchia. Prestigio e apprezzamento generali ebbe specialmente Santino Cairoli, per il suo vivo interessamento a favore della nostra circoscrizione. Durante gli anni in cui fu consigliere comunale, in tandem con l’assessore albatese Ottorino Caspani, realizzò opere sociali e di miglioramento ambientale che riqualificarono la zona.

 

E’ lui quello dei fratelli che è scomparso prematuramente?

  • Purtroppo sì, ed è stata una grossa perdita per tutti. Probabilmente a causa della stanchezza per il superlavoro, è rimasto vittima di un terribile incidente mortale a Tremezzo, mentre stava raggiungendo la famiglia in vacanza in Valtellina.

 

 

Intervista Rita Peverelli

                                                                

             Rita Peverelli, una figura riconoscibile fra mille per il suo portamento da persona con idee chiare e per il suo passo deciso come quello di chi conosce il valore del tempo e non vuole sciuparlo. Ma più ancora nota per la disponibilità verso il prossimo e, in particolare, nei confronti delle persone anziane, prive di mezzi per lo spostamento autonomo.

             Sulla sua “Panda” verde pastello c’è sempre un posto per coloro che hanno la necessità di recarsi dal medico, di sottoporsi ad un accertamento clinico, di effettuare sedute terapeutiche episodiche o cicliche, di salire il colle erto e affannante del Santuario per la S. Messa, o semplicemente per recarsi a rivedere un parente che abita altrove.

             Dopo la scomparsa (parecchi anni or sono) di mamma Melania, il suo affetto è catalizzato specialmente sul nipote, al di là dei rapporti con gli altri parenti.

             Fin dalla nascita avvenuta nella casa paterna di via Belvedere 17, abita in parrocchia alla cui vita è partecipe un modo puntuale e costante, così come lo è sempre stata, tant’è vero che già nel 1963 ha aderito al 1° corso di taglio e cucito, organizzato e svolto in sede parrocchiale. A questo proposito, abbiamo saputo da lei parecchi dettagli, che consentono di farsi l’idea precisa di un’iniziativa che non si è esaurita in quella sola volta, bensì ha avuto più di una replica, tra il favore delle parrocchiane, specialmente le giovani, che ne hanno goduto i benefici con profitto.

 

Cara Rita, come è nata l’idea di un corso di taglio e cucito ” made in S. Antonio”?

  • Con precisione non saprei dirlo. Ritengo che probabilmente c’era l’esigenza di offrire, in un periodo di diffusa disoccupazione, un’opportunità di orientamento e qualificazione, e quindi una sicura prospettiva di lavoro artigianale (o dipendente) per le ragazze del luogo. Penso inoltre che abbia avuto un peso primario la presenza nella comunità di un’esperta della professione di sarta, e quella di un’abile organizzatrice come la Marisa Biondi, dalla quale sarà facile avere maggiori delucidazioni, essendosi lei dedicata interamente ad attuare il progetto.

Allora la scuola di taglio è stata frutto di risorse umane proprio “nostre”?

  •  Così è stato! La maestra Carmen Giuliuzzi, infatti, era “antoniana” di adozione. Abitava al n° 45 di Via S. Bernardino (allora era Via Monte Santo). E’ entrata in parrocchia in quanto profuga giuliana, costretta ad esulare, dopo la 2^ guerra mondiale, dalla zona “B” della provincia triestina, occupata (in applicazione al trattato di pace), dalle truppe jugoslave di Tito. Queste hanno dato il via ad una sistematica e impietosa opera di persecuzione contro gli italiani che, in gran parte, preferirono come lei lasciare case e beni piuttosto
    che subire continue vessazioni (e anche peggio).

Era un’insegnante competente?

  • Su questo non ci sono dubbi. Sapeva il suo mestiere ed era capace di trasmettere la sua esperienza, insegnando, consigliando e correggendo con pazienza e gentilezza, senza mai irritarsi.

Ne saranno state soddisfatte le frequentanti che erano……

  • ….abbastanza numerose. In quel corso eravamo in molte. Difatti hanno dovuto suddividerci in due turni. E so che anche le due tornate successive furono sempre affollate. Quanto a soddisfazione, sono convinta che quelle lezioni sono state gratificanti per tutte. Ognuna, a seconda del grado di apprendimento conseguito, ha saputo mettere a buon frutto già durante il corso le abilità assunte, concretizzandole in uno o più “prodotti”, generalmente capi di vestiario.

Anche lei personalmente?

  • Si capisce. Tra l’altro, ho confezionato un tailleur giudicato – e non solo da me – proprio ben riuscito. Ce l’ho ancora davanti agli occhi, tanto mi è piaciuto e…. mi andava a pennello.

Dove avete trovato il locale adatto per il vostro atelier?

  • Nel salone della scuola materna, da non molto traslocata da S. Bernardino alla nuova sede di Via Valerio. Ci hanno cortesemente ospitato le suore, le stesse già presenti nella scuola vecchia.

Bisognava versare una quota d’iscrizione?

  • Si. Non ricordo quanto fosse, però era una piccola somma alla portata di tutte. In realtà era più un’offerta spontanea che non una quota prestabilita.

Come vi siete dotate delle macchine per cucire, e chi forniva le stoffe e i materiali del mestiere?

  • Non so di chi fossero, però ricordo che adoperavamo almeno due macchine. E’ probabile che fossero di proprietà della scuola materna. Per quel che riguarda le stoffe, ciascuna si procurava o comperava quelle che avrebbe adoperato per i lavori che aveva intenzione o aveva scelto di fare. Lo stesso vale per i materiali: aghi, spilli, carta, forbici, cotone, ecc.

Oltre alla Marisa, ricorda altre compagne partecipanti a quel corso?

  • Ne ricordo parecchie; anzi, se guardo le foto scattate alla fine del corso riuscirei certamente a dire il nome di tutte.

In seguito, qualcuna di loro ha poi deciso di diventare sarta, oppure tutte hanno usato solo per sé e per i familiari l’esperienza acquisita nella scuola di taglio?

  • Quasi tutte si sono valse degli apprendimenti soltanto nell’ambito familiare. Mi risulta tuttavia che la Lina Angelini, partendo dalle basi avute nella scuola di taglio, abbia ulteriormente arricchito le sue competenze nel campo, divenendo un’apprezzata sarta

I religiosi e, in specie, il parroco, si interessavano della scuola di taglio?

  • Altroché! Proprio il parroco, che era Padre Alfonso Guzzinati, aveva caldeggiato con insistenza l’istituzione della scuola vedendovi un’opera importante a livello sociale. Aveva ottenuto anche l’interessamento di personalità locali e di autorità che sono intervenute alla solenne cerimonia di inaugurazione. Poi, sia lui che gli altri padri venivano spesso a vedere come si procedeva, complimentandosi per i progressi.  

Dunque avevate il pieno appoggio della comunità religiosa.

  • Si, e quello del parroco è stato determinante. Ma non c’è da meravigliarsi, perché padre Alfonso aveva una sensibilità estrema per il sociale. E’ stato uno di quelli che hanno fatto di più per la riqualificazione del rione Monte Santo. Si deve a lui, fra l’altro, la sostituzione del nome della via con quello di S. Bernardino. Ma non si è limitato a quello. Si manteneva in costante rapporto con i competenti uffici comunali, ai quali chiedeva di apportare le necessarie migliorie alle case comunali, a partire da uno sfoltimento degli inquilini e dall’ampliamento dei locali, man mano che si liberavano. Non ha purtroppo potuto realizzare il suo sogno di veder sorgere case e aprirsi negozi nell’area del vecchio asilo dismesso, cosa che avrebbe fatto fare un salto di qualità alla zona.

Ma quella di Padre Alfonso è stata una figura isolata?

  • Direi proprio di no. Tutti i Parroci avvicendatisi a S. Antonio hanno sempre avuto molto a cuore il benessere della parrocchia. Un’altra figura che per me emerge è quella di Padre Mario, diventato “bestia nera” (nel senso migliore del termine) dell’ufficio tecnico comunale. E’ riuscito a ottenere la ristrutturazione completa dei due stabili di S. Bernardino (il 32 e il 32/a) e a far mettere la recinzione attorno agli edifici del 45. Inoltre, assieme al prof. Roncoroni, si è battuto contro la chiusura della scuola elementare, ritardandone di alcuni anni la inevitabile scomparsa.   In altro modo è stato un parroco eccezionale anche Padre Berardo, dotato di una umanità straordinaria, che lo rendevano sollecito a far immediatamente visita, sia in casa che all’ospedale, a qualunque parrocchiano ammalato di cui avesse notizia

Torniamo al corso di taglio. Dei risultati della scuola, la comunità, però, avrà saputo poco o nulla.

  • Al contrario! Alla fine del corso, tutti i capi confezionati si esponevano in una mostra aperta al pubblico. I parrocchiani e anche i forestieri, pertanto, si rendevano conto visivamente dell’efficacia e utilità della scuola, apprezzando i tangibili risultati ottenuti. In quella prima mostra furono esposti anche i miei lavori. Ci pensarono le mie compagne di corso perché io, in coincidenza con quei giorni, sono stata colpita da una malattia molto grave, che avrebbe anche potuto essere mortale, e che ha comportato il mio ricovero in ospedale. La degenza, peraltro, è stata assai lunga ma, grazie al cielo, alla fine è sopraggiunta la guarigione completa e, ciò che importa forse ancora di più, senza alcuna conseguenza.

 

 

Intervista a Luigia Stellini Cavadini.

 

           La signora Luigia Stellini, è in parrocchia da oltre 50 anni, salvo due brevi interruzioni. Fedelissima giornalmente alla prima S. Messa (quella che una volta chiamavano la Messa “bassa”) e sempre presente nei principali momenti di preghiera in Santuario, è vedova del compianto Oreste Cavadini, un parrocchiano che ha veramente vissuto una vita di servizio per la parrocchia e per il prossimo, ed è scomparso prematuramente qualche anno fa.

             Abbiamo parlato con lei nella sua casa dove vive con la figlia Mariangela, alla quale pure dobbiamo parte degli appunti qui riportati. Dalle sua parole è stato delineato un quadro vivo del marito e della vita non sempre facile di una famiglia dove sono cresciuti 4 figli, in un’atmosfera di unità e coesione non incrinata neppure dagli impegni di lavoro del signor Oreste che lo hanno costretto, prima degli anni settanta, ad assenze anche prolungate in località lontane.

             E vi sono stati periodi molto duri, a causa della grave malattia di una delle figlie, che ha riacquistato la salute solo dopo 13 anni di terapie e due rischiosi interventi chirurgici.

             Inevitabile che, dato il rapporto stretto e costante fra il capofamiglia e la Parrocchia, assieme ai riferimenti al marito, la signora Luigia ricordasse anche fatti e persone conosciute nel corso degli anni, citando episodi interessanti e talora commoventi.

               Ecco alcune delle sue considerazioni.

 

Chi era suo marito?

  • Oreste era una persona rara, per il suo profondo senso della famiglia, per lo spirito con cui svolgeva il suo lavoro, per l’apertura al prossimo e la disponibilità verso la parrocchia.

Che lavoro aveva scelto?

  • Scelto è l’espressione esatta, perché lo aveva voluto tenacemente, partendo dall’impiego meno importante e risalendo i vari gradi della carriera sino al ruolo di direttore delle Poste centrali di Cantù.

Questo significa studio e fatica.

  • E sacrifici! Per conseguire un posto stabile, ha studiato mentre lavorava, si è preparato e ha affrontato difficili concorsi a livello nazionale, sostenendo e superando a Roma ben due esami. E non è finita lì. Per divenire effettivo, ha dovuto prestare servizio di tirocinio per un intero anno in un ufficio postale della Sardegna.

Al ritorno ha avuto quello di Cantù?

  • Sarebbe stato troppo bello. Prima di arrivarci ha diretto diversi altri uffici postali nella nostra provincia e in quella di Varese

Ha così potuto dedicarsi di più alla famiglia e iniziare la collaborazione in parrocchia.

  • La famiglia non l’ha mai trascurata, magari faceva, come si suol dire, i salti mortali per seguirla. Quanto alla attività in parrocchia, si può dire che è cominciata subito dopo il rientro dalla Sardegna. Tra l’altro, aveva la responsabilità di tesoriere parrocchiale, in quanto faceva parte del Consiglio Pastorale e della Commissione degli affari economici.

Due cose che non erano appariscenti, ma comportavano responsabilità.    

  • E’ naturale. Però c’erano anche altre forme che rivelavano la sua collaborazione. Ad esempio, si faceva carico di effettuare tutte le operazioni postali necessarie ai religiosi e al santuario, annotava le prenotazioni di S. Messe, restando in chiesa per tutta la giornata di S. Antonio e alla sera guidava, assieme ai vigili urbani, la tradizionale processione per le vie del rione.

Gli è mai successo di fare qualcosa un po’ fuori dall’ordinario?

  • Sì! Per quanto possa essere sorprendente, gli è anche accaduto di …..sostituire il Padre Guardiano in convento. Non ricordo in che anno, ma è stato durante il periodo estivo delle ferie. In tale circostanza, per una coincidenza di impegni (studio, esercizi spirituali e turni di riposo), tutti i Padri sono stati costretti ad assentarsi contemporaneamente. Per non lasciare incustodito il convento, Oreste ha accettato di starci per 3 giorni e 2 notti.

Una disponibilità davvero straordinaria!

  • Che però è stata ricambiata nell’anno 1977, in occasione del primo intervento chirurgico di mia figlia, avvenuto nell’ospedale di Padova. In tale occasione i Padri hanno reso possibile la mia permanenza in quella città, per tutto il tempo necessario a dare assistenza alla degente.

Tornando nell’ambito della nostra parrocchia, lei ricorda qualche avvenimento che l’abbia colpita?

  • Un fatto molto singolare si è verificato nel 1965, dovuto alla presenza qui da S.E. il Vescovo (allora era monsignor Alessandro Macchi). in sincronia con la giornata prefissata per le prime Comunioni. Così quella volta i comunicandi ricevettero due Sacramenti nel medesimo giorno: l’Eucaristia e, poche ore dopo, la Cresima. Fra loro c’era anche mia figlia Mariangela.  

Ma non tutti i suoi figli hanno trascorso in parrocchia i loro anni infantili.

  • Infatti. Quando ci siamo stabiliti definitivamente qui, il maggiore andava già alle elementari, mentre i due minori hanno frequentato la scuola materna di S. Antonio dove, per qualche mese, ha fatto in tempo ad andare anche Mariangela.

Chi erano le suore a cui era affidato l’asilo?

  • Erano tre insegnanti molto preparate e competenti. Suor Disola, suor Adele e S. Teresina. Due di loro erano anche sorelle, nate in provincia di Varese nel piccolo paese di Montecrino. Le famiglie della nostra comunità le apprezzavano moltissimo per quanto facevano nella scuola e nella vita della parrocchia: seguivano l’oratorio femminile, organizzavano il coro per le liturgie (una di loro aveva una voce bellissima) e aiutavano nell’esecuzione dei compiti scolastici chi studiava.

Naturalmente parliamo della scuola materna nuova, a due passi dalla sua casa.

  • Si; era stata costruita di recente, e l’arrivarci era questione di poche decine di metri. Invece era meno comodo raggiungere il Santuario, perché si doveva fare il giro fino alla frazione Acquanera. Per noi, come per tutti gli abitanti di questa parte della parrocchia, la costruzione del cavalcavia pedonale sopra la via Belvedere è stata un grosso beneficio, che ci ha dimezzato la strada per la chiesa.

A causa delle incombenze di suo marito, anche lei avrà conosciuto parecchi parroci. Vuol parteciparci qualche impressione?

  • Ho conosciuto i parroci, i collaboratori e i frati. Tra i primi ho viva memoria specialmente di padre Mario, e di padre Berardo; dei collaboratori ho presente padre Michele, padre Luigi, e padre Rodolfo; infine c’è fra Ottavio.

Ci saranno ovviamente dei motivi per la persistenza di queste memorie?

  • Vi sono ragioni oggettive e, in parte, anche soggettive. Padre Mario, ad esempio, era un acuto conoscitore delle persone. Aveva contattato un certo numero di fedeli stimolandoli a costituire un gruppo di volontariato. Oggi si chiamerebbero “Donatori di tempo” Chi ha aderito si è assunto il compito di far visita agli anziani, alle persone sole, agli ammalati.

E’ una forma di assistenza che ha precorso i tempi.

  • Ma non è stata la sola. Ad un altro gruppo ha affidato l’impegno della preghiera, sotto la forma di partecipazione alla S. Messa in un giorno fisso del mese. E ancora lui, dopo la missione parrocchiale, ha chiesto e ottenuto il consenso di parecchie famiglie per ospitare in casa i “cenacoli familiari”. Erano incontri di preghiera e catechesi guidati a turno dal parroco o da un collaboratore, a ciascuno dei quali partecipavano i parrocchiani dell’immediato vicinato. Padre Mario veniva da solo; padre Luigi era spesso accompagnato da Gianni Arighi.

L’iniziativa ha “tenuto” o si è esaurita in breve tempo?

  • E’ proseguita per circa due anni gestita dai religiosi. Poi, per altri due anni con la conduzione da parte di suore della Milizia Mariana, subentrate ai Padri.

 

 

 

 

E di padre Berardo?

  • Di lui mi ha colpito, come ha colpito moltissimi altri parrocchiani, la bontà d’animo che traspariva dalle sue parole e da ogni suo gesto, la profonda concentrazione nel celebrare le liturgie, l’ansia di recare conforto ai malati e a tutti coloro che avessero qualche motivo di sofferenza, la sua spiritualità che si manifestava innanzi tutto dalla caratteristica di chiamare “anime” oppure “anime sante” i fedeli, non solo nelle omelie, ma anche nella vita quotidiana.

E tra i collaboratori lei mette al primo posto padre Michele?

  • Cronologicamente è stato qui prima degli altri, ed ha lasciato un segno, specie nelle attività dell’oratorio e nell’assistenza ai giovani, due campi di lavoro inseparabili. Fu durante la sua permanenza in parrocchia che l’oratorio ebbe un forte impulso, anche perché fu abbinato al Centro di Cultura Popolare e a un vigoroso rilancio dell’attività sportiva.

Però anche Padre Luigi si diede parecchio da fare coi giovani.

  • Innegabilmente. Ma in altre forma e con minore disponibilità di tempo, poiché padre Luigi aveva l’incarico di cappellano della Casa Circondariale cui dedicava, giustamente, la maggior parte delle sue energie. Ciononostante trovava modo di organizzare gruppi per giornate di spiritualità a Padova e ad Assisi ed ha contagiato moltissimi ragazzi e ragazze con la passione della drammatizzazione. Con essi ha realizzato ripetutamente dei recital, sia in oratorio che in chiesa, a seconda degli argomenti. Non per questo ha trascurato i carcerati: allora non esisteva ancora Casamica, eppure lui non esitava a mettere in gioco la sua responsabilità, per aiutare in ogni modo possibile quelli che erano giudicati meritevoli di supporti e attenzioni.

Resta padre Rodolfo.

  • Ah, lui era proprio speciale. Aveva spiccata attitudine per l’arte e un talento non comune per la musica Dalla sua mano uscivano i bozzetti per cartelloni, per locandine, per la copertina dell’Informatore parrocchiale e per le lettere del Parroco alle famiglie. Era organista dal tocco originale, notato anche dal Vescovo in occasione di una visita pastorale. Alcuni giovani sono stati iniziati da lui ai segreti della tastiera, e uno di essi lo ha sostituito più volte nelle liturgie domenicali Ha istituito e diretto per anni il coro “Alba”, formato esclusivamente da parrocchiani, e per accompagnarlo con più efficacia, ha dotato il santuario di un nuovo e più potente armonium. Un religioso di vasta cultura e di altrettanto grande semplicità; la prima gli permetteva di essere meritatamente apprezzato come insegnante in scuole medie superiori, la seconda gli facilitava il dialogo con tutti, senza mettere nessuno in imbarazzo, e lo rendeva perfettamente comprensibile nelle omelie, sempre brevi, ma chiare e incisive.

Un’attività instancabile!

  • Proprio così. E come se non bastasse, celebrava ogni domenica la S. Messa delle 10 in cimitero, e battagliava spesso con l’Ufficio tecnico del Comune, per la manutenzione della cappella, ormai molto degradata. Tant’è vero che, dopo la scomparsa di padre Rodolfo è stata giudicata pericolosa ed è stata chiusa definitivamente.

Oltre a ciò, trovava il tempo per parlare con le persone?

  • Visitava gli ammalati. Una volta, quando mia figlia era impedita di uscire a causa della sua infermità, ha portato qui le attrezzature necessarie e le ha proiettato un film….a domicilio. Ad ogni fine d’anno, con un gesto di grande gentilezza, faceva un giro fra le famiglie dei collaboratori laici più attivi, per portare loro i suoi auguri.

Ha accennato anche a fra Ottavio. Perché?

  • Perché, a mio giudizio, ha avuto molti meriti. Innanzi tutto, era presente in oratorio vigilando sul funzionamento e cogliendo le occasioni propizie per fare opera promozionale per le vocazioni religiose o sacerdotali. Trovava il modo di gestire il piccolo bar e, malgrado l’apparenza di uomo burbero, in realtà era comprensivo e tenero di cuore, per cui, quando era il caso, faceva piccoli regali ai bambini meritevoli.

Impiegava così tutto il suo tempo?

  • Quella era solo una parte della sua giornata. Per il resto, era sempre indaffarato a raccogliere materiali per le Missioni, al cui indirizzo spediva gli indumenti raccolti. Sempre per le missioni, raccoglieva la carta e tutti gli elettrodomestici guasti. Quelli che oggi si portano alla piattaforma ecologica. Li smontava, vendeva separatamente il rame, il ferro, le componenti elettriche, e spediva il ricavato alle Missioni.

Senza mancare al suo servizio in chiesa?

  • Non trascurava nulla di quello che era necessario per il decoro del santuario e per le liturgie. Per la ricorrenza di S. Antonio, organizzava la parte della processione che precedeva il carro con la statua del Santo, e vi inseriva ogni anno un gruppo di ragazzi vestiti da paggetti. Era stata sua l’idea di trovare i costumi appositi. Anche il mio figlio maggiore, Daniele, faceva parte del gruppo.

Finora ha parlato di religiosi. Secondo lei, non c’è qualche parrocchiano meritevole di un ricordo?

  • L’elenco sarebbe lungo. Mi limito a una persona: Giustina Erba, esercente (con la sorella Attilia) di una bottega in via Belvedere, che era uno dei pochissimi negozi del rione, dove affluivamo quasi tutti, compresi gli abitanti delle case popolari, a parecchi dei quali faceva credito. Aveva un carattere generoso ed era pronta a sfornare battute argute. Ma era anche molto comprensiva per i problemi altrui e, a chi aveva preoccupazioni o era demoralizzato, sapeva dire le parole giuste per incoraggiare. Frequentava la chiesa malgrado il gravoso impegno del negozio, ed è stata, per parecchi anni, Ministra del T.O.F. Nella sua vetrina era sempre lieta di esporre locandine e avvisi riguardanti le attività parrocchiali, e si faceva un dovere di coinvolgere nella stessa funzione anche gli altri esercenti. Aveva una memoria ferrea che le permetteva di ricordare e recitare con grande espressività molte poesie, fra le quali preferiva quelle in dialetto comasco. Con una dignità straordinaria ha affrontato e sopportato la grave malattia che ha provocato la sua prematura scomparsa.

 

 

Intervista a Gianni Arighi

 

           Gianni Arighi parrocchiano di adozione sin dal lontano 1978, è membro attivo della nostra comunità alla quale dedica non poco del suo tempo, attendendo a una serie di servizi che non appaiono ma, come avviene per quelli svolti in una famiglia, permettono l’ordinato e decoroso   espletarsi della vita parrocchiale e delle celebrazioni rituali in santuario.

             E’ l’unico Ministro straordinario dell’Eucaristia della nostra Parrocchia, per cui, in collaborazione col Parroco, assolve all’incarico di portare regolarmente la S. Comunione agli ammalati e agli impediti o impossibilitati a raggiungere la Chiesa.

             Affabile, cordiale, ma anche giustamente riservato, oltre a queste visite, trova altri momenti in cui dedicare attenzioni ai “suoi” ammalati e anziani, anche soltanto per un saluto e per un po’ di conversazione, che essi sempre gradiscono e desiderano, poiché ciò permette loro di alleviare la solitudine e l’isolamento.

Caro Gianni, come è avvenuta la sua affiliazione nella nostra parrocchia, benché lei provenga da un’altra?

  • Il primo contatto con S. Antonio, anzi col convento di S. Antonio, l’ho avuto esattamente 28 anni fa, in un periodo difficile della mia vita, quando lo scoraggiamento e lo smarrimento stavano prendendo il sopravvento su di me. Ho sentito il bisogno di parlare con qualcuno che potesse comprendere la drammaticità della mia situazione e mi desse un aiuto.

E ha trovato?

  • Mi ha aperto Padre Berardo, che allora era il Guardiano e parroco. Con lui ho parlato a lungo, traendo motivo per un po’ di conforto e rassicurazione dalle sue parole, ma ancora di più dalla sua comprensione e dal suo autentico prendere parte alla mia situazione, e quasi un viverla come sua.

E’ dunque bastato questo incontro?

  • Ah no. Sono tornato più volte e, dai colloqui di ognuna di esse, uscivo sempre più rinfrancato e avvertivo chiaramente una ripresa di speranza e fiducia.

Ha trovato la persona giusta al momento giusto!

  • Sono convinto di si. Tuttavia mi aspettava una sorpresa poco piacevole e per me imprevedibile, poiché non sapevo che i frati Antoniani sono soggetti a periodici trasferimenti. Pochi mesi dopo mi è quindi arrivato “a tradimento” l’annuncio che Padre Berardo avrebbe lasciato Como per un’altra sede.

E’ rimasto privo del suo sostegno spirituale e morale?

  • Così temevo. In effetti ciò non si verificò in quanto, nel frattempo, avevo fatto conoscenza anche con gli altri religiosi del convento e avevo intessuto amicizia con padre Luigi. Pur avvertendo inizialmente il disagio per il cambiamento, ben presto mi sono reso conto di aver trovato in padre Luigi una guida spirituale fortemente stimolante, e valida quanto quella che era venuta a mancarmi, anche se, ovviamente, diversa.

Fu padre Luigi a indirizzarla verso il Ministero straordinario?

  • No, Da lui ebbi suggerimenti e indicazioni per letture che mi davano molto aiuto e mi permettevano di conoscere meglio la fede cristiana. Chi mi prospettò, assieme ad altri parrocchiani, questo modo di vivere il cristianesimo fu invece Padre Bruno, subentrato come nuovo parroco.

La sua risposta fu pronta?

  • Un compito così impegnativo non si può assumere alla leggera. Mi occorse un periodo di riflessione, ci furono altri colloqui per chiarire le mie esitazioni, dovute alla consapevolezza di essere imperfetto come qualsiasi essere umano e non degno di toccare l’ostia consacrata. Alla fine quello che sbloccò la mia accettazione fu una frase di Padre Bruno: “Anche i sacerdoti sono uomini, con le loro debolezze!”

Cosa avvenne dopo?

  • Dovetti partecipare ad un corso in sede diocesana e leggere altri libri, in parte suggeriti dai conduttori del corso e in parte dai frati, prima di terminare con l’investitura da parte di monsignor Vescovo, nell’anno 1991.

Dopo di che cominciò a esercitare l’incarico, senza ulteriori momenti formativi?

  • Sarebbe impossibile. Ogni anno si è chiamati a 2 – 3 incontri diocesani di formazione e aggiornamento, ai quali è subordinato il visto di convalida annuale sul nostro tesserino di riconoscimento.

Qual è il principale compito di un Ministro straordinario dell’Eucaristia?

  • Come dice il nome stesso, è quello di aiutare il sacerdote nel distribuire la comunione quando e dove occorre. In questa Parrocchia, a prima vista, potrebbe sembrare un compito superfluo, poiché vi sono 3 sacerdoti e un frate che potrebbero farlo. In realtà, ognuno di essi ha una molteplicità di compiti, e c’è pertanto spazio anche per un Ministro straordinario che, ad esempio, va a comunicare i cantori durante le messe solenni e, primariamente, porta l’Eucaristia in casa agli ammalati ogni primo venerdì del mese, oltre che a Pasqua e a Natale.

Ma ci risulta che lei fa anche altre cose per la Parrocchia. Ce ne dice qualcuna?

  • E’ vero. Quando occorre, faccio il Lettore, do aiuto al sacrestano o lo sostituisco se assente, mi occupo della preparazione dell’ulivo per la domenica delle Palme, del fuoco il sabato santo….

Inoltre sappiamo che ci sono o ci sono stati impegni di maggior peso.

  • In effetti, ho fatto parte del Consiglio Pastorale per 13 anni e, per qualche tempo anche della Commissione economica. Ma ciò che mi ha dato ancor più soddisfazione è stato il far catechesi ai ragazzi e il cooperare per alcuni anni – durante i mesi estivi - alla organizzazione e alla attuazione del Grest per i ragazzi e i bambini liberi dagli studi.

Sarà stata necessaria una preparazione apposita.

  • Non mi sono mancati né gli aggiornamenti mirati, né i libri specifici, Anzi devo dire che di libri di formazione ho sempre avuto disponibilità, grazie anche alle indicazioni che i Padri mi fornivano. A tale proposito ricordo specialmente padre Damiano che per un biennio mi è stato monitore spirituale, con un’attenzione costante e premurosa. Rimpiango lui e la sua competenza.

Cosa può dirci della sua “missione” ministeriale?

  • E’ ogni volta il rinnovarsi di un’esperienza umana di grande spessore, in quanto esperienza di vita. E’ spesso sconvolgente, essendo drammatico accostare persone che soffrono fisicamente o psicologicamente o moralmente per la malattia e magari l’abbandono, ma è anche edificante il toccare con mano quanta dignità e forza d’animo vi sia in esse. Per questo motivo, ciò che si inizia come solidarietà si trasforma quasi sempre in amicizia, che si rinsalda e si rinnova ad ogni incontro. Il tempo che vi dedico è un modo per ricambiare il molto che ho avuto dal Signore in serenità e pace interiore. Mi sembra infatti doveroso mettere in pratica il messaggio lasciato da Gesù ai discepoli: “Gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date!”.  

 

 

Intervista al signor Giuseppe Larghi

 

Giuseppe Larghi, per 10 anni (fra il 1970 e l’80) sindaco di Cadorago con intensa attenzione per il bene comune, e per oltre un decennio fortemente impegnato in opere della nostra parrocchia, dove - tra l’altro – è stato catechista per un biennio, ha gentilmente risposto alle nostre domande, mettendo in luce realizzazioni di grande interesse, mirate ad avvicinare alla chiesa persone che – per i più diversi motivi – si facevano presenti solo saltuariamente, oppure non frequentavano affatto.

           Un’azione in cui ebbe un volonteroso gruppo di collaboratori, coronata da un successo in parte anche superiore alle attese, se si considera che ebbe il potere di coinvolgere anche gli abitanti di un quartiere, di fatto piuttosto isolato e anche un po’ emarginato da non poche persone, in parte per scelta e in parte per oggettiva difficoltà all’integrazione coi preesistenti due nuclei della comunità parrocchiale.

             Le linee operative seguite possono essere considerate il primo tentativo fatto dai laici di trovare risposta ad uno dei problemi allora più impellenti e ancora oggi non del tutto risolto per la nostra parrocchia: quello di costituire una comunità compatta e convinta, superando la diaspora derivante dalle ubicazioni insediative e dalla mancanza di una tradizione comune d’incontro e condivisione.

             Nelle idee portate avanti allora, si può dire vi fosse già l’intuizione di futuri sviluppi oggi suscettibili di essere concretizzati, grazie alle mutate condizioni ambientali, al timido apparire di nuove modalità di pensare, e alla pertinacia di chi credeva e crede possibile il raggiungimento di un obiettivo, visto all’inizio come ideale irrimediabilmente fuori dalla realtà.

 

Signor Larghi, da quali condizioni siete partiti con la vostra “impresa”?

  • Con un piccolo gruppo di altri parrocchiani, ci siamo mossi dalla constatazione che gli abitanti di uno dei tre rioni di S. Antonio non erano presenti se non in numero limitatissimo nella vita della parrocchia. Facemmo le nostre riflessioni su tale fatto, sforzandoci di individuarne la ragione, e domandandoci se potesse esservi qualche modo per smuovere quella situazione di stallo.

Eravate proprio al punto zero, o c’era stata qualche premessa di aggregazione da assumere come riferimento morale o come stimolo per una fondata speranza di buon esito?

  • Qualcosa c’era già. Da 7 – 8 anni era presente in parrocchia un valido collaboratore del Padre Guardiano: Era Padre Francesco, un religioso laureato, in rapporto con l’ambiente universitario di Milano. Era entusiasta della cultura e aveva un forte potere comunicativo.

Che relazione c’è fra lui e l’aggregazione di cui ci ha accennato prima?

  • Sapeva parlare ai giovani e farsi intendere da essi. E’ riuscito in breve tempo ad amalgamare in un gruppo coeso tutti gli universitari della parrocchia e a far sì che essi fossero aperti ad accogliere altri studenti provenienti dall’esterno, contattati da lui stesso nei suoi viaggi a Milano.

Cosa lodevole, ma ancora non è chiaro quali benefici ne abbia tratto il resto della comunità parrocchiale.     

  • La conseguenza della costituzione del gruppo è stata la decisione di fondare un Centro di Cultura Popolare, con sede presso l’oratorio di S. Antonio. Pubblicizzando la notizia e facendo leva sulle sue conoscenze, padre Francesco e i giovani, nel giro di un paio d’anni, seppero formare una biblioteca di grande consistenza.

Per il numero dei volumi?

  • Sia per il numero dei volumi in dotazione (fra i 4.500 e i 4.700), sia per la qualità. Vi si trovavano infatti opere di grande pregio. Non soltanto romanzi e libri di amena lettura, ma saggi impegnati, pubblicazioni scientifiche, collane enciclopediche, volumi di storia, di filosofia; una varietà tale da poter soddisfare molte esigenze, in rapporto agli interessi dei lettori.

Ma una biblioteca era valorizzata e apprezzata dalla comunità di S. Antonio?

  • La gente imparò presto a riconoscerne la validità, come punto di incontro, perché essa divenne la sede di conferenze, dibattiti, cineforum, libroforum, doposcuola gratuito per scolari e studenti. Anche se, oltre ai giovani, non molti erano appassionati di lettura, tuttavia era significativa la partecipazione alle iniziative connesse con la biblioteca. Erano poi interessati anche i genitori, perché Padre Francesco, appassionato di musica, aveva formato un coretto con bambini e ragazzi, e ciò era motivo di presenza delle famiglie. Il tutto era gestito direttamente dai giovani. Poi ci fu il trasferimento a Padova di padre Francesco.

La sua partenza ebbe conseguenze negative?

  • Non più di tanto. Il gruppo dei responsabili era ormai collaudato. Inoltre il sostituto del religioso in partenza, fu padre Luigi, anch’egli molto sensibile al mondo dei giovani. Con la sua assistenza, ebbero seguito le varie iniziative del Centro di Cultura, fino a che gli venne affidato l’incarico di cappellano della Casa Circondariale. Gli rimase poco tempo per continuare ad occuparsi d’altro. Il Centro perse mordente e finì col dissolversi. Purtroppo la dotazione della biblioteca non più gestita andò dispersa. Fu un peccato perché era un ingente patrimonio e avrebbe potuto essere, ancora oggi, una preziosa risorsa per la comunità parrocchiale.

Vi era dunque un terreno parzialmente dissodato. E voi?

  • Il nostro gruppo ha mosso i suoi primi passi quando il Centro di Cultura cominciava a dare i primi segni di stanchezza. I nostri scopi differivano da quelli sinora citati, poiché a noi premeva prioritariamente mettere ben a fuoco e sollecitare la partecipazione dei residenti nella della zona di S. Bernardino (allora Monte Santo) e, in subordine, quella di altri parrocchiani.

Un obiettivo tutt’altro che facile!

  • Non ci illudevamo di trovare tutto semplice. Ciononostante studiammo l’approccio più promettente, individuandolo nel bar dell’oratorio, come luogo di prima aggregazione. Lì convergevano, in orari diversi, i ragazzi, i giovani, coloro che frequentavano sistematicamente o in modo saltuario l’oratorio, compreso qualche anziano patito della partita a carte quotidiana.

C’era qualche ragione pratica per questa decisione?

  • L’oratorio, che volevamo riorganizzare e rilanciare aveva carenze strutturali e deficienze. Non eravamo tanto ingenui da ignorare che, per mettervi mano seriamente, sarebbero state necessarie delle risorse economiche. Attraverso la gestione del bar ritenemmo reperibili tali fondi. Ne parlammo con Padre Mario, il parroco e, con la sua approvazione, stabilimmo fra noi turni di servizio al bar, iscrivendolo come istituzione nella associazione dei bar degli oratori.    

Fu una mossa felice?

  • I fatti ci diedero ragione. Gli iscritti come soci del bar raggiunsero in poco tempo il numero di 150. I consumi – benché i prezzi fossero molto contenuti – davano un utile non elevato ma costante, anche a causa delle presenze di esterni che chiedevano e ottenevano l’uso del campo sportivo.

L’impianto era in condizione di ospitare gli esterni?

  • In principio non lo era affatto. Lo rendemmo adatto, sistemando il terreno e costruendo gli spogliatoi con servizi e docce. Non solo; ma gradualmente approntammo anche un campo di Basket e di Volley, perché nel frattempo, coi giovani frequentanti l’oratorio, si erano costituite delle squadre sportive di calcio, pallacanestro e palla a volo, anche femminili. Le inquadrammo tutte, fondando la Polisportiva Antoniana, che organizzava l’intero reparto sportivo, con gare e tornei per le 7 squadre associate.

Ma il vostro gruppo era in grado di seguire tutto?

  • Da soli non ce l’avremmo fatta. Tuttavia si stavano realizzando le nostre speranze, perché dalle case di S. Bernardino qualcosa cambiava. Dalla presenza di pochi uomini si passò a un contingente più numeroso che non solo frequentava l’oratorio, ma si era offerto spontaneamente di provvedere alla mano d’opera gratuita per i vari lavori. Si noti che fra loro c’erano anche alcuni che da anni non si avvicinavano alla chiesa Per ovvie esigenze di organizzazione, furono divisi gli incarichi fra i componenti del nostro gruppo, in modo che ciascuno fosse responsabile di un settore e godesse di una sua autonomia, di cui comunque doveva rendere conto nei periodici incontri plenari, quando si assumevano le decisioni operative generali.

Una gestione funzionale.

  • Non si sarebbe potuto fare diversamente, né durare molto a lungo. Invece, con l’impostazione da noi scelta, siamo stati attivi per 6 – 7 anni, assolvendo a parecchi impegni, tant’è vero che installammo la rete di recinzione di conveniente altezza attorno al campo che dotammo di illuminazione per le partite e gli usi serali; e ricavammo pure un viale per le bocce.

I fondi bastavano?

  • Gli utili del bar ci hanno consentito non solamente di acquistare i materiali necessari, ma anche di provvedere alle ordinarie manutenzioni. Inoltre una parte di essi veniva offerta come contributo per altre opere parrocchiali, per la pesca di beneficenza, per la scuola materna, per le giornate preparatorie al S. Patrono (anziani, portatori di handicap).

Dunque non si allentarono i rapporti con la Parrocchia?

  • Veramente la presenza dei religiosi era un po’ scarsa. Da parte nostra informavamo sempre il parroco delle iniziative da assumere, e lo stesso facevamo nei confronti del Consiglio Pastorale Parrocchiale, alle riunioni del quale io prendevo parte in qualità di delegato del gruppo oratorio.

Un oratorio ormai divenuto polo di incontro per parrocchiani e non parrocchiani di diverse età.

  • Era effettivamente così. Si era qualificato, oltre le nostre migliori previsioni come un’opera sociale che, ancora molto timidamente, aspirava a coniugare effetti formativi religiosi, per i quali però non bastavano le buone intenzioni dei laici.

Questo secondo traguardo avrebbe richiesto tempi più lunghi!

  • Tempi che sfortunatamente non ci furono, poiché per una serie di eventi molto sfavorevoli, ogni attività promossa e gestita dal gruppo dovette aver inopinatamente termine, appunto quando qualche frutto sembrava delinearsi.

Non rimase nulla di quanto era stato fatto?

  • Rimasero le strutture materiali. Ma non si persero neppure i valori umani e morali. I componenti del nostro gruppo, ormai profondamente affiatati, hanno conservato e conservano ancor oggi i rapporti di amicizia e di solidarietà maturati negli anni di condivisione di fatiche e difficoltà. E neppure le relazioni con un buon numero dei collaboratori si sono estinte. Ancora oggi, quando accade di incontrali, sono manifesti i segni della loro stima e amicizia verso il team dei responsabili.

Sostanzialmente si può dare una valutazione positiva all’esperienza qui sintetizzata?

  • Malgrado le vicissitudini successive, a mio parere sì, specialmente se si guarda a un dato di fondo incoraggiante per il futuro. Lo si può riassumere in un solo pensiero: adottando le vie e le forme più idonee, nella parrocchia si possono trovare energie e risorse per la rivitalizzazione della comunità e della fede.  

 

 

Intervista ad Angelo Roncoroni

 

Angelo Roncoroni, docente di tecnologia nella scuola secondaria di 1° grado, si è occupato per qualche tempo anche di educazione degli adulti e svolge attualmente a tempo pieno un’apprezzata attività sindacale a tutela del personale e degli utenti della scuola.

Fa parte della nostra parrocchia dagli anni 70 ossia da quando è venuto ad abitare con la famiglia in una delle case “nuove” della zona S. Bernardino.

E’ sempre stata per lui motivo di interesse e di azione, la ricerca di modalità e di interventi per il miglioramento in generale delle condizioni di vita nel quartiere e, in specie, nelle ex case Gescal.

Con sensibilità specifica per l’istruzione e la cultura come strumenti per elevare lo status sociale delle persone e delle famiglie, rivolge le sue attenzioni tra gli altri settori, a quello della scuola.

Essendo stato testimone e attore nella vicenda riguardante la soppressione della scuola elementare funzionante sino agli anni 90 nel rione di S. Bernardino, abbiamo ripercorso con il suo contributo la storia dell’evento, chiarendone le cause e le conseguenze.

 

Professor Roncoroni, ci aiuti a capire le ragioni per cui, ad un certo punto, è stata posta la parola “ fine” all’esistenza di una scuola istituita e funzionante sin dai primi anni di formazione del quartiere di case popolari ex Monte Santo.

  • E’ stata una vicenda lunga e un po’ complicata, le cui avvisaglie si sono avvertite sin dai primi mesi dell’anno scolastico 1987/1988, quando incominciarono a circolare voci di una possibile soppressione della scuola elementare “S. Antonio”.

C’era qualche motivo che giustificasse un’ipotesi di tale genere? Che so, l’insoddisfacente funzionamento didattico, il numero insufficiente degli scolari, oppure la pericolosità dell’edificio?

  • Nulla di tutto questo, che mi risulti! La stabilità e la sicurezza dell’edificio erano totalmente fuori discussioni, tant’è vero che esso è poi stato ulteriormente utilizzato per parecchi altri anni, sino al 2004, senza il minimo segno di allarme e nessun intervento di manutenzione né straordinaria né ordinaria. Similmente va esclusa l’insoddisfazione per la qualità del servizio e del funzionamento, poiché, abbiamo sempre avuto insegnanti di ruolo (quindi non precarie), maestre competenti e coscienziose, alle quali non è mai stata mossa alcuna obiezione di rilievo dai superiori o dalle famiglie.

Resta solo da pensare a un numero scarso di alunni.

  • Assolutamente impossibile! Le classi erano tutte numerose, quasi al limite dello sdoppiamento, perché frequentavano regolarmente tutti gli alunni compresi nello stradario scolastico.

Forse la carenza di locali scolastici?

  • Dubbio infondato. Non solo ogni classe aveva la sua aula spaziosa, ma ce n’era una d’avanzo, che in un secondo momento era stata adattata come palestra per l’educazione motoria, nei periodi di cattivo tempo. Inoltre c’erano la bidelleria e i locali per l’abitazione del custode e della sua famiglia composta di 5 persone. Ed era un alloggio decoroso. Per finire, si deve aggiungere un altro locale dove funzionava un ambulatorio dell’O.M.N.I. (Opera Nazionale Maternità e infanzia) che è stato attivo fino al 1984, e del quale si avvalevano le giovani famiglie della zona.

E allora, perché ventilare la soppressione?

  • Per quanto mi risulta le cause erano esterne ed estranee. Dovrebbero essere fatte risalire a una questione amministrativa, e cioè ad un conflitto di competenze fra due direzioni didattiche. In quegli anni di crescita demografica, le autorità scolastiche e civiche si erano forse lasciate prendere la mano dalla mania di espansione delle strutture scolastiche primarie e delle relative Direzioni Didattiche. Questa zona, comprensiva di Albate paese, Albate/Acquanera, Senna Comasco e Capiago era attribuita alla Direzione di Como 4° (con sede a Camerlata). Quando fu istituita la nuova Direzione di Como 8° a Muggiò, le scuole di Albate e Acquanera furono aggregate a Muggiò, mentre la nostra scuola rimase con Como 4°. Senonché gli alunni della scuola di Muggiò erano pochi e quindi la Direzione di Como 8° insisteva per inglobare anche i frequentanti della nostra scuola, trasferendoli appunto a Muggiò.

Che esito ebbe la diatriba?

  • Più che una diatriba, era un braccio di ferro fra le due Direzioni Didattiche, che si prolungò per qualche tempo.

In questo frangente, ci fu qualcuno che si mosse per evitare l’avverarsi delle voci?

  • Sin dai primi segnali di pericolo, avvertendo la giusta preoccupazione delle famiglie, si è attivato prontamente Padre Mario (il parroco) che era in rapporto di “filo diretto” col Comune e con l’assessore all’istruzione, il Prof. Todeschini. Da parte mia, come rappresentante delle famiglie – tutte contrarie alla chiusura della scuola - ho preso contatto con le autorità scolastiche, per un’azione coordinata che scongiurasse il temuto rischio.

Padre Mario non si lasciava crescere l’erba sotto i piedi, a quanto risulta!

  • Si può ben dirlo! Era già intervenuto in precedenza, quando il Comune e il Provveditorato agli Studi meditavano di far confluire a S. Antonio anche gli alunni della via Di Vittorio. Si era fermamente opposto a tale progetto che avrebbe appesantito la situazione sociale e scolastica di S. Bernardino in modo intollerabile.

Si affiancò qualcun altro a sostenervi in questa “battaglia per la scuola”?

  • Un aiuto concreto e valido ci venne da Santino e Roberto Cairoli che si batterono tenacemente in Comune perché la situazione scolastica non venisse modificata. Per inciso, si deve riconoscere che finché ci fu la loro presenza, tutto il rione godette notevoli benefici.

C’erano tutte le premesse per un finale positivo, no?

  • In teoria le speranze erano forti e fondate. Ma facevamo i conti senza un’ulteriore complicazione del problema, rappresentato dall’IPSIA ”Ripamonti”, che da qualche anno era stato istituito e insediato nella nuova sede di Via Belvedere. I suoi frequentanti aumentavano di anno in anno. Per rispondere alle loro esigenze, l’Istituto aveva dovuto trovare alcuni locali, come sede distaccata, presso il collegio “Bonoli” di Camerlata.

Cosa ha a che vedere la scuola superiore Ripamonti con la nostra elementare?

  • E’ subito spiegato. L’Istituto Ripamonti trovava scomodo e poco funzionale avere la sede distaccata a Camerlata, ed era alla ricerca di locali scolastici più vicini a Via Belvedere. Così, alle pressioni della Direzione Didattica di Como 8°, si sommarono anche quelle del Ripamonti, che aveva messo gli occhi sulla nostra scuola. Le sue ragioni finirono per avere il sopravvento.

Subiste la decisione senza reagire?

  • Continuammo a opporci compatti con le famiglie. Provocammo incontri e riunioni coi responsabili, ma alla fine prevalsero le decisioni dell’autorità scolastica. Noi ottenemmo soltanto dall'assessore comunale Todeschini la garanzia di poter completare qui a S. Antonio i corsi delle classi che già frequentavano, senza poter effettuare iscrizioni di alunni per le future classi prime.

Così la scuola andò alla fine per esaurimento.

  • Appunto. La chiusura coincise con la fine dell’anno scolastico 1990/1991. Ma essendo ormai preannunciata dalle vicende precedenti, ci furono famiglie che già avevano cominciato nel 1989 a iscrivere i figli in Via Acquanera. Per il 1991/1992, ogni famiglia poté fare scelte diverse; ci fu chi si iscrisse a Muggiò, altri ad Albate paese, qualcuno a S. Chiara. Insomma i giovanissimi del quartiere si dispersero in varie direzioni.

Per le famiglie ciò comportò costi aggiuntivi di trasporto?

  • Fu inevitabile. Il Comune aveva fatto balenare la possibilità di un trasporto gratuito per coloro che si fossero iscritti a Muggiò. In realtà non venne istituito alcun servizio di scuolabus e gli interessati poterono soltanto servirsi del giallobus della normale linea 3. E dovette pagare regolarmente il biglietto o l’abbonamento per servirsene.

La zona ne sofferse un danno?

  • Fu un danno doppio. Da un lato venne a mancare in loco un’istituzione scolastica fondamentale per l’educazione a la prima istruzione dei giovani, con un conseguente impoverimento culturale. Da un altro lato scomparve un polo di aggregazione per le famiglie del quartiere, ed ebbe una battuta di arresto il processo di socializzazione avviato e perseguito da non pochi anni, e del quale le tre frazioni della parrocchia avevano ancora grande bisogno per formare una vera comunità.

A San Bernardino non rimase nulla di scolastico?

  • Una scuola continuò a funzionare, ma era formata dalle classi della sezione staccata dell’IPSIA Ripamonti, che subentrarono nell’edificio rimasto completamente vuoto, perché era stato abbandonato anche dalla famiglia del custode. Ma è chiaro che non era più una scuola per le famiglie locali. 

Ma per i piccolissimi?.

  • A loro andò meglio. Non venne infatti toccata la scuola materna “S. Antonio”. Le suore responsabili proseguirono la loro opera educativa nell’edificio posto di fronte alla ex scuola, apprezzate e stimate dalle famiglie che affidavano ad esse i propri figli, confidando nella loro provata professionalità.

Ora però quella scuola materna non esiste più?

  • Non esiste più l’edificio, abbattuto per lasciare posto al cantiere della scuola professionale edile. Tuttavia la scuola non ha fatto altro che cambiare sede, insediandosi nel nuovo stabile sulla collina dirimpetto alla chiesa. Si è deciso tale trasferimento in una zona centrale del territorio, per facilitare l’accesso a tutti i quartieri del rione. A tal fine si è pure costruito un ponte che evitasse a bambini e ad adulti i rischi dell’attraversamento di Via Belvedere.

Gli abitanti di S. Bernardino hanno accettato subito questa soluzione?

  • Per 2-3 anni sono coesistite due scuole materne: quella vecchia a S. Bernardino e la nuova a S. Antonio. Poi si trasferirono lassù anche le suore, e le famiglie inserirono i loro figli in quella nuova.

Si vede che le suore godevano di grande considerazione.

  • A mio parere era una considerazione meritata. Non solo erano brave insegnanti, sapevano anche accogliere i bambini e stabilire un ottimo rapporto umano e affettivo con loro. Anch’io ne ho un ricordo vivo. C’erano due sorelle, suor Disola e Suor Teresina, che era anche insegnante elementare a Capiago. La terza era Suor Adele, la superiora: una donna di polso, che però sapeva essere dolce coi bambini.

 

 

Intervista alla signora Ginetta Cattaneo Cairoli

 

La signora Ginetta Cattaneo Cairoli è venuta ad abitare nella zona nel lontano 1932, quando era una bambina di 10 anni. Ancora assai giovane ha conosciuto il suo futuro marito, il sig. Carlo Cairoli, col quale si è unita in matrimonio nel 1943. E’ entrata così a far parte della numerosa famiglia Cairoli, condividendone l’amore per la chiesa di S. Antonio e per le opere antoniane. Ha vissuto, in maniere diretta dall’interno, il formarsi e l’evolversi della parrocchia. Il burrascoso periodo della 2^ guerra mondiale e quello dell’assestamento del dopoguerra hanno interferito sulla vita della sua famiglia e sulla sua esistenza, che non è stata avara di vicissitudini.

 

Signora Ginetta, si può dire che lei è giunta in Parrocchia quando si è trasferita qui?

  • Sarebbe un’affermazione sbagliata perché, al mio arrivo, la parrocchia …non esisteva ancora, e neppure il santuario.

Dove si rivolgeva la gente di qui per le esigenze religiose della vita?

  • Le persone e le famiglie domiciliate qui non erano molte. Per la S. Messa e le funzioni religiose ci si recava a Camerlata, nella chiesa di S. Brigida. Era un bel pezzetto di strada, ma allora questo territorio apparteneva a quella parrocchia; parte dei residenti all’Acquanera andava al Albate, ma anche loro dovevano fare parecchia strada.

E’ una situazione che si è protratta per molto tempo?

  • Esattamente per 10 anni. E non poteva essere altrimenti, perché qui non c’erano sacerdoti né chiesa, salvo una minuscola cappellina nell’edificio della scuola materna Fu soltanto nel 1942, con la venuta dei padri Antoniani che le cose cambiarono.

Perché questo arrivo è coinciso con la creazione della Parrocchia di S. Antonio?

  • Niente affatto. Continuammo ancora per un certo tempo ad essere ufficialmente “sudditi” di Camerlata. In realtà, ora che c’erano i sacerdoti, gli abitanti del rione Monte Santo e qualcuno degli altri due rioni (Belvedere e Acquanera) partecipavano alle funzioni religiose celebrate dai Padri.

In chiesa?

  • Eh no! Nella cappellina dell’asilo. Chiesetta e convento vennero edificati più tardi, e solo nel 1955 fu ultimato il Santuario. Però nel frattempo, ed esattamente nel 1942, potemmo staccarci da S. Brigida, poiché in quell’anno venne istituita la Parrocchia di S. Antonio, affidata ai frati Antoniani.

Finché non ci fu il convento, dove stavano i frati?

  • Per quanto possa sembrare strano, i 2 frati (padre Otello e Padre Gerardo) erano, e sono rimasti per interi anni,…senza casa. Nel primo anno sono stati ospitati dalla famiglia Taborelli. Poi trovarono una sistemazione provvisoria nella casa isolata che sorge nel prato antistante a S. Antonio. (in via S. Bernardino, 44). Gli abbaini di quella costruzione richiamavano un po’ l’idea di un castello, e noi bambine la chiamavamo “castello incantato”.

Lei si è sposata nel 1943. Dunque non c’era ancora il convento, né la cappella. Dove sono state celebrate le sue nozze?

  • Nella cappellina della scuola materna. Il mio è stato il 3° matrimonio celebrato in parrocchia. Sono stata accompagnata lì da mio padre a bordo di una carrozza – un landeau, preso a noleggio dalla ditta Carlo Ferrario del Borgovico di Como - perché in tempo di guerra non potevano circolare automobili private. Il rientro a casa dopo la cerimonia l’abbiamo fatto a piedi, seguiti dal breve corteo dei parenti e dei pochi invitati.

Non andaste in un ristorante per il pranzo di nozze?

  • Il pranzo lo facemmo in casa. Fu gioioso e guardingo al tempo stesso, perché, per l’occasione, avevamo potuto procurarci il pane “bianco”. Il fatto era considerato un reato annonario poiché era consentito soltanto il pane nero. Chiudemmo le porte a chiave e restammo dentro come prigionieri a consumare il pranzo nel continuo timore che arrivassero le guardie annonarie a controllare. La sorveglianza era infatti molto rigida. Si andava ogni tanto a Breccia a prendere la carne diventata introvabile, e una volta mi fermarono al posto di blocco, me la sequestrarono e mi multarono

Uno strano inizio della vita familiare!

  • Il seguito fu ancora più strano. Mio marito dovette partire militare per la Sicilia dove, poco tempo dopo sbarcarono gli Alleati, costringendo gli italiani a ritirarsi. Con la sua Unità, risalì l’Italia fino a Taliedo. Lì, il giorno 8 settembre 1943, ebbe la notizia dell’armistizio chiesto e ottenuto dall’Italia. Per non essere catturato dai tedeschi, che da quel giorno consideravano gli italiani traditori e nemici, raggiunse fortunosamente Como. Venne in casa e, sentiti anche i familiari, decise di unirsi ai molti che si rifugiavano in Svizzera, pensando di rientrare in Italia entro pochi giorni, appena la situazione si fosse normalizzata. Lasciò qui la divisa e la rivoltella d’ordinanza (che io nascosi sotterrandola), e partì.

Tornò davvero presto?

  • Quella speranza non si realizzò. La guerra continuò per altri due anni, sino all’aprile 1945. Fu quindi soltanto nell’estate di quell’anno che la famiglia poté riunirsi.

Si reinserì nella vita della parrocchia?

  • Immediatamente e con l’impegno che animò anche i suoi fratelli e l’intera famiglia Cairoli, che, in occasione del 25° anniversario del nostro matrimonio, offrì l’altare in legno. Per la cappella della scuola materna.

Ma sappiamo che Carlo assunse anche un’altra responsabilità.

  • Effettivamente egli accettò la carica di presidente della scuola materna a cui si dedicò fino alla sua morte. Provvedeva all’amministrazione e a reperire i fondi necessari, consapevole della grande importanza che l’asilo ha per la comunità parrocchiale e per la formazione dei bambini.

E lei, signora Ginetta, come visse gli anni dell’assenza di suo marito?

  • Ho trovato lavoro come insegnante e successivamente come impiegata. Sono stata maestra nelle scuole di Camerlata, dove ho anche fatto un allevamento didattico di bachi da seta. Per nutrirli, ricordo che veniva ogni giorno il nostro comparrocchiano Bresolin a portarci le foglie fresche di gelso.

Si trovavano facilmente?

  • E’ naturale. Tutta la zona attorno a Camerlata era assai diversa da come si presenta oggi. Era occupata da campi coltivati a patate e a granoturco, e grandi prati con poche case, salvo il grosso stabilimento delle seterie Fisac. Anche la nostra casa aveva a fianco un prato con un filare di gelsi. C’era qui intorno la selvaggina e non mancavano i cacciatori. Una volta, mentre stendevo il bucato, uno di essi, venuto troppo vicino, quasi mi raggiunse con alcuni pallini di un colpo diretto a un animale.

Come si presentava la via Belvedere?

  • Da un lato c’era la trattoria del Bersaglio, la casa dell’Angelica e il deposito di una ditta di detersivi. Dall’altro, dopo la nostra, c’era la casa della Giustina Erba e quella dei Casartelli, intervallate da coltivi e da prati dove, in autunno, venivano a pascolare le greggi che scendevano dalle montagne.

Non sarà stata asfaltata.

  • Non era asfaltata; era inghiaiata, con tante buche, e correva stretta e infossata di alcuni metri fra due alte rive. A lato scorreva una roggia che andava poi a riversarsi nella valle dei Mulini, dopo aver sottopassato la via Canturina.

La strada principale era comunque la Canturina?

  • Certo. Ma era larga la metà di adesso, ed era fiancheggiata dai binari della linea del tram che collegava Como con Albate e con Cantù. Ricordo che, in tempo di guerra, il sottopasso della roggia era stato chiuso con muri ai due lati, e adibito a rifugio antiaereo. Del resto in parecchie case era stato creato un rifugio. Nella nostra avevamo adattato la cantina, rafforzandola con puntelli e dotandola di maschere antigas. Ma sono convinta che, in caso di bombardamento, sarebbe servita a poco.

Per quanto riguarda la vita religiosa della parrocchia, cosa ricorda?

  • A mio giudizio c’era allora molta più fede di oggi. Dico questo non tanto perché erano molto più numerosi di adesso coloro che frequentavano la chiesa, ma perché si avvertiva una maggiore partecipazione anche alle celebrazioni esterne.

Per esempio?

  • Ecco. C’era tanta gente anche alle Rogazioni, malgrado occorresse alzarsi molto presto al mattino. Erano 3 processioni in 3 giorni di maggio. Non ricordo dove si andava con le altre due, forse a Rebbio e ad Albate, ma nella prima, si andava fino alla Chiesa di S. Brigida a Camerlata. Da lì si ripartiva per visitare il cimitero e infine si tornava in parrocchia. Non mancavano mai quelli, o quelle, che portavano gli stendardi, le croci, e c’erano pure i chierichetti coi candelieri. Per S. Antonio, poi, si mobilitavano tutti a preparare le luminarie sui balconi e sui davanzali, a esporre tappeti e panni rossi e bianchi alle finestre. Anche fra le case di Monte Santo, benché fosse un quartiere in difficoltà, c’erano molti segni di festa e di devozione.

C’erano problemi laggiù?

  • Si può dire che ci fosse emergenza giornaliera e non di rado con manifestazioni di violenza. Spesso toccava a suor Saveria della scuola materna, fare da paciere, e lei non si rifiutava mai. Era un donnino minuto, eppure aveva un’energia incredibile, e riusciva il più delle volte a calmare gli animi dei contendenti.

Arrivava fino al quartiere di Monte Santo la processione?

  • Ogni anno la processione faceva il giro completo di tutti i quartieri della Parrocchia. La parte che fosse stata esclusa si sarebbe sentita offesa. Non c’erano i problemi di traffico che soffriamo ora, e si potevano usare le strade senza creare ingorghi o blocchi alla circolazione.

Per i ragazzi c’erano iniziative?

  • Dopo la costruzione del piccolo convento ci fu un po’ di spazio anche per l’oratorio che accoglieva parecchi ragazzi. Le ragazze si trovavano all’asilo e parecchie si riunivano anche nella casa Caioroli, quasi che fosse un secondo oratorio. Il nonno Emanuele, però, non mancava mai di “spedirle” in Chiesa quando c’erano le funzioni.

 

 

Intervista a Padre Silvano Zoccarato

 

Padre Silvano è stato assegnato dall’inizio di ottobre 2006 al convento dei nostri frati, per collaborare con la comunità religiosa di S. Antonio. Per il momento il suo principale compito consiste nell’assicurare l’assistenza al santuario, restando a disposizione dei fedeli che lo frequentano. Garantisce inoltre la presenza in confessionale e gestisce incontri su argomenti religiosi. Entrato nel 1951 nel seminario di Camposampiero (Padova), vi ha svolto i suoi studi a partire dalla 5^ classe elementare sino al completamento del corso di teologia. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1967. E’ stato nominato, poco dopo, animatore vocazionale proprio a Camposampiero, con un incarico definito provvisorio, ma che poi è durato per 21 anni.   Nel 1988 fu destinato alla comunità di Sabaudia quale cooperatore, funzione che ha svolto per 6 anni. Dal 1994 al 2006 fu parroco a Molella, una frazione di Sabaudia, nella chiesa di “nostra Signora di Fatima”, costruita nel 1970 e dedicata nel 1997.

A partire dal dicembre 2006, in considerazione della sua lunga esperienza pastorale e dei soverchianti impegni “carcerari” di Padre Giovanni, Padre Silvano è stato nominato Vicario del Parroco. Egli contribuisce ora efficacemente ad alleviargli la duplice e onerosa responsabilità di Parroco e di Direttore di Casamica.

Padre Silvano, lei ha dichiarato che la sua venuta a Como è, in realtà un ritorno. Come mai?

  • E’ davvero un ritorno, perché qui a Como io ci sono stato nel 1956, mentre ero ancora seminarista e frequentavo la 1^ ginnasio a Brescia.

Che rapporto c’era fra il seminario di Brescia e la nostra parrocchia?

  • Nessun particolare rapporto. Io sono stato inviato qui, con un gruppo di altri 7 miei compagni di studi, per preparare la vostra chiesa alla cerimonia della dedicazione, effettuata il 10 novembre di quell’anno.

Che tipo di preparazione?

  • I muratori avevano appena finito il loro lavoro. La chiesa era ingombra di calcinacci, detriti, chiodi, pezzetti di legno, polvere, i residui che ordinariamente rimangono in un edificio dopo il suo completamento. Coi miei compagni abbiano lavorato 3 giorni a spazzare, ripulire, portar fuori i materiali da eliminare e mettere ordine, perché l’aspetto della chiesa fosse dignitoso.

Un’incombenza lunga e faticosa.

  • Non abbiamo contato le ore. La fatica era alleviata dalla gioia di contribuire a rendere presentabile un’altra chiesa per il nostro patrono. Anzi, abbiamo ritagliato il tempo per svolgere lo stesso lavoro pure nel conventino dove aveva trovato sistemazione la comunità religiosa.

In un convento così piccolo c’era spazio per tutti?

  • Ci stavano appena appena i due frati: Padre Otello e Padre Barison. Noi seminaristi andavamo ogni sera a Rebbio, presso i padri Comboniani, che ci ospitavano per la notte. I pasti invece erano preparati nella cucina del convento, e li prendevamo qui.

Avrete partecipato alla dedicazione della chiesa?

  • E’ ovvio. Mi sembra un diritto che ci eravamo guadagnati “sul campo” con la nostra fatica E’ stata un’occasione di gioia e di orgoglio, perché abbiamo potuto indossare il saio o tonaca, cosa che non ci era consentita nei giorni di studio e lavoro.

Era la prima volta che assisteva alla dedicazione di una chiesa?

  • Un’esperienza nuova che ho seguito in tutte le sue numerose fasi. Fu una cerimonia molto complessa, che durò per circa 3 ore.

Ne ricorda i particolari?

  • Come fosse adesso. Giunse il Vescovo di Como, monsignor Felice Bonomini, indossò i paramenti sacri, impugnò il Pastorale e iniziò facendo 3 giri all’esterno della chiesa, invocandone l’apertura in nome di Cristo. Ordinava a voce alta “Aprite le porte al re della gloria!” Il clero chiedeva: “Chi è il re della gloria?”   Al che si rispondeva: “Cristo è il re della gloria!” Alla fine del terzo giro, si fermò davanti alla porta centrale sino allora rimasta chiusa. Al termine dell’invocazione le porte furono spalancate e, in corteo dietro al vescovo, tutti entrarono.

Qui cosa avvenne?

  • Il vescovo fece altri 3 giri all’interno dell’edificio, benedicendo e aspergendo con l’acqua santa prima la parte alta, poi quella mediana e infine la parte bassa della chiesa

Cos’altro fu fatto?

  • Mancava la benedizione e consacrazione dell’altare. Per questo, il Vescovo fece il giro anche attorno all’altare benedicendolo. Successivamente lo lavò. Poi versò un po’ di sacro Crisma su ogni angolo dell’altare e ne aggiunse una chiazzetta anche al centro. Attingendo a queste chiazze, procedette manualmente a spargere il sacro crisma sull’intera superficie dell’altare, nel quale peraltro erano inserite le reliquie.

La cerimonia era ormai alla fine?

  • Restava ancora una parte non breve che riguardava la consacrazione delle crocette riportate sulle colonne della navata, che sono 12 e simboleggiano i 12 apostoli, colonne della Chiesa Cattolica.

Devono esserci in tutte le chiese consacrate?

  • Esatto! In un’altra chiesa dove ho presenziato alla dedicazione, sono state fatte in travertino; in una seconda erano di vetro, artisticamente lavorato. In questo Santuario sono state più semplicemente dipinte in oro.

Sono state tutte benedette?

  • Una per una e anch’esse consacrate col sacro crisma.

Con questo rito si concluse la cerimonia?

  • No. Ci sono ancora due fasi. Una consiste nel riaffermare che Cristo è principio e fine di tutto. Ci si può servire di una piccola targa marmorea inserita nell’impiantito, oppure, come è avvenuto qui, di un foglio di carta appoggiato sul pavimento, sul quale, intrecciate a “croce di S. Andrea”, vi erano scritte in greco le parole: “Cristo, alfa e omega”

Qual è l’ultima tappa del lungo rito?

  • E’ l’attribuzione del nome del santo alla chiesa. Ciò viene fatto per iscritto. Su una artistica pergamena si riporta brevemente la cronaca della cerimonia, precisando la data e i nomi delle personalità che vi hanno preso parte. Il documento viene poi conservato dalla parrocchia.

Per una funzione così importante vi sarà stato a guidarla un cerimoniere competente.

  • C’è sempre un cerimoniere nelle solenni celebrazioni liturgiche. Tuttavia, il Concilio Vaticano II° ha introdotto, fra le varie sue riforme, anche una ragionevole abbreviazione, che ha snellito la cerimonia e accorciato i tempi della dedicazione delle nuove chiese.

Padre Silvano, nel periodo da lei passati a Sabaudia, ha conosciuto un frate che poi abbiamo avuto per molti anni in questa parrocchia, Fra Ottavio?

  • L’ho conosciuto benissimo. Era un collaboratore molto attivo, reduce dall’Albania, dalla quale ha dovuto fuggire per evitare le persecuzioni del regime comunista di Hodia. Ha lasciato un segno perenne della sua presenza a Sabaudia. Infatti, nella zona di quella città che si chiama Sant’Isidoro, è riuscito a far costruire una chiesa dedicata alla Madonna addolorata. Ha realizzato così il suo desiderio di onorare le madri, le moglie e i figli dei caduti in guerra

 

 

Intervista alla signora Emma Angelini

 

Conversare con la signora Emma Angelini, madre di 3 figli, è come rituffarsi nel passato eminentemente rurale dell’intera zona. Un passato oggi in gran parte cancellato dai cambiamenti verificatisi nella società, da forme occupazionali nuove, da una cultura che ha perso la genuinità dei rapporti con la natura e da ritmi di vita artificiosi, formali, convulsi, dai quali sono stati radicalmente cambiati i rapporti umani tra gli abitanti della stessa comunità.

A colloquio con lei, nella tranquilla quiete della sua casa, alta sul colle dell’Acquanera, da dove il colpo d’occhio spazia sull’intera parrocchia, si avverte nel suo modo di fare e di esprimersi, l’apertura verso gli altri e il farsi partecipe dei problemi del prossimo.

 

Signora Emma, quando è avvenuto il suo arrivo in parrocchia?

  • Siamo venuti a stabilirci qui, provenienti dalla Valtellina, due anni dopo la fine della 2^ guerra mondiale, ossia nel 1947. Dico “siamo” perché non ero sola; il trasloco è stato totale, cioè dell’intera mia famiglia, che era ancora di vecchio stampo agricolo e montanaro, formata da 14 persone.

A proposito di guerra, ne avete avvertito le conseguenze in Valtellina?

  • Per la verità, non abbiamo sofferto grossi disagi. Noi abitavamo nella Valle di Arigna, una laterale della Valtellina, (della quale è anche originario un Missionario che ora è vescovo in Brasile). Lassù la guerra non è arrivata. Il nostro vivere era scandito dai cambiamenti stagionali: la monticazione nei maggenghi in primavera, la salita estiva all’alpeggio dove capitava spesso di vedere da vicino branchi di camosci, il rientro in paese in autunno. . Mancava il pane, è vero, ma potevamo supplire con la polenta.

 

Il trasferimento in pianura e l’inserimento in un ambiente completamente diverso da quello d’origine, vi ha costretti a cambiare occupazioni e modi di vivere?

  • Non è accaduto questo. Abbiamo ceduto le nostre proprietà in montagna, ma non abbiamo rinunciato alla vita dell’agricoltore. Prima di spostarci abbiamo acquistato qui un’estensione di 90 “pertiche” di terreno. Facevano parte di un fondo molto vasto che fu ripartito fra 3 acquirenti. Oltre a noi ne prese una parte la famiglia Minola e un’altra parte la famiglia Rainoldi.

Come si presentava il terreno al momento dell’acquisto?

  • La parte maggiore era tenuta a prato. Il resto era occupato dalla torbiera, che arrivava fino all’area dove in seguito è sorto il carcere del Bassone. Ricordo che nei fossi della ex torbiera venivano ragazzi e uomini a pescare.

Dunque avevate il prato, l’erba e il fieno in abbondanza, ma gli animali?

  • Erano gli stessi nostri portati con noi dalla Valtellina: 8 mucche, capre, animali da cortile. Ad essi abbiamo aggiunto un cavallo acquistato col relativo carretto. Avere un mezzo di trasporto era essenziale per il contadino.

Mucche e capre equivalgono a produzione di latte. Ne avevate in buona quantità?

  • Si capisce!. Un po’ lo consumavamo noi, qualche decina di litri li vendevamo. Ma la maggior parte del latte lo lavoravamo, ottenendone burro e formaggio.

E l’attrezzatura necessaria?

  • Avevamo portato dalla Valtellina la zangola per fare il burro e anche la nostra “coldera”, la caldaia in cui riscaldare e far cagliare il latte, due operazioni preliminari per ottenere il formaggio. In pratica abbiamo continuato le stesse occupazioni di prima, col solo cambiamento di svolgerle in pianura invece che in montagna. La novità era la lisca.

Ad Arigna non c’era?

  • No. L’abbiamo trovata in abbondanza negli acquitrini e nella torbiera del Bassone. Ogni anno si andava a tagliarne un certo quantitativo. Era un lavoro ingrato perché c’era il rischio di finire nell’acqua, e di essere in difficoltà per uscirne. Una volta secca, la lisca si adoperava per impagliare le sedie.

Fino a quando avete continuato l’attività agricola?

  • Fino a qualche anno fa, quando gli uomini, invecchiati, non hanno più potuto affrontare le fatiche. Tuttavia io, nel mio piccolo, non ho abbandonato completamente la campagna. Tengo ancora alcuni animali da cortile e coltivo un piccolo appezzamento a orto per le verdure.

Ha conservato la proprietà del terreno?

  • Non di tutto. Una parte l’abbiamo ceduta. Mi riferisco a quella zona dove hanno costruito la casa Circondariale del Bassone, e un altro pezzo lo abbiamo dato perché ci si potesse costruire la cappella dell’oratorio e del vecchio convento. E’ una località che la gente chiamava “Brustolit”. Un tempo lì c’era una piccola costruzione nella quale scoppiò un incendio. Di esso rimase vittima un uomo. Forse da ciò deriva il nome dato al posto.

Prima lei ha detto che il territorio circostante era tutto prativo. Non c’erano case e boschi?

  • Beh, c’era il gruppo delle vecchie case dell’Acquanera, ma giù verso il Bassone non c’erano costruzioni. Nella piana davanti a S. Antonio sino alla Via Canturina, c’erano le poche case di via Belvedere e via S. Michele del Carso. Un po’ a lato si vedeva il nucleo isolato delle abitazioni di via Monte Santo. Nell’area dove oggi è sorto il Centro Commerciale, c’era un grande deposito di pali. Erano della ditta SILA che li vendeva. I pali venivano trattati con sostanze chimiche perché non marcissero anche se piantati nella terra   Il bosco, infine, era limitato a una striscia che c’è ancora oggi, ai lati della ferrovia per Lecco, e a un’altra fascia lungo i fianchi della Via Belvedere, della quale rimane solo una minima parte sul colle dietro al campo sportivo dell’oratorio di S. Antonio.

Era quindi garantito il fresco a chi camminava sulla strada per scendere alla Canturina?

  • Non solo il fresco, anche la paura. Gli alberi occupavano tutt’e due le scarpate laterali, erano alti e frondosi, si protendevano coi rami sopra la strada, la coprivano e la tenevano nell’ombra e nel buio. Questa situazione favoriva la presenza di malintenzionati. Le donne, che abitavano all’Acquanera e facevano le operaie a Camerlata nello stabilimento delle seterie FISAC, o nei piccoli stabilimenti di Taborelli e Chiara, avevano timore a percorrere la via Belvedere e cercavano sempre di andare in gruppo e di camminare più in fretta che potevano.

Se c’erano così poche case, come facevate per la spesa?

  • C’erano qui due negozietti: uno del tabaccaio che vendeva anche sale e fiammiferi, e uno di generi alimentari. Noi lo chiamavamo “il Circolo”; era una succursale della Cooperativa di Albate. Aveva un po’ di tutto, o almeno quanto bastava per le necessità delle poche famiglie locali.

La zona era proprio un po’ fuori dal mondo. In caso di malattia cosa succedeva?

  • Si doveva chiamare il medico condotto di Albate, e attendere con pazienza che arrivasse. Una volta avvenne che mio figlio si ammalò gravemente. Il bisogno del medico era urgente. Attraverso un conoscente potemmo far venire tempestivamente il dott. Cappello, uno specialista dei bambini che lavorava all’ospedale “S. Anna” ed era stimato da tutti i comaschi. Curò e guarì mio figlio e, da allora, divenne il nostro medico di famiglia.

Com’erano i vostri rapporti con la parrocchia?

  • Si partecipava quasi tutti, come era costume allora, alle cerimonie della domenica e, tante volte, anche alle messa dei giorni feriali. In casa nostra poi venivano spesso i frati a trovarci. Inoltre Padre Otello, ogni volta che andava per la “cerca”, veniva col suo motorino a prendere mio figlio Dario che era chierichetto, lo faceva salire dietro sulla sella e insieme partivano. Penso che mio figlio custodisse il motorino mentre Padre Otello entrava nelle case, nei negozi e nelle ditte industriali.

Il compito della “cerca” era affidato solo a Padre Otello?

  • Nei primi tempi sì. In seguito, alla comunità religiosa furono assegnati, in ordine di tempo, dapprima fra Natale, poi fra Leonardo e, più tardi, fra Raffaele. Essi sostituirono padre Otello nella “cerca”, che si protrasse ancora per parecchi anni. Mi pare fino agli anni tra il 70 e l’80, quando fu interrotta e non più ripresa.

Oltre ai rapporti di amicizia tra la vostra famiglia e i frati, vi fu qualche altro effetto della loro presenza?

  • Credo che ne sia derivata anche la vocazione di mio nipote Mino, che ha deciso nel 1969 di entrare in seminario e farsi religioso. Ha frequentato dalla 5^ elementare in poi in compagnia di Padre Sergio, ed è diventato diacono.

I prodotti della vostra attività agricola erano apprezzati dalla gente?

  • Evidentemente sì, perché avevamo molta richiesta. Fra gli estimatori c’era la mamma di padre Otello che era ospite della famiglia Roncoroni, e tutte le sere veniva a prendere il latte fresco da noi. Qualche anno dopo, quando venne mandato qui Padre Alfonso, sua madre Caterina ci faceva ogni tanto visita. Ricordo che prendeva con piacere il te con la nostra panna.

C’era qualche nostro comparrocchiano di cui lei abbia uno speciale ricordo?

  • Ne ho presenti parecchi nella memoria. Ma un posto di eccezione lo riservo a Rosa Mascetti che io considero benemerita del convento, perché si è fatta carico delle necessità dei religiosi. Senza alcun compenso, cuciva, lavava, stirava, teneva in perfetto ordine abiti e guardaroba dei frati, come fosse quello della propria famiglia.

Rispetto a oggi, cosa le sembra cambiato nella vita della comunità parrocchiale?

  • Il cambiamento che più mi colpisce è l’essere passati da una situazione in cui si avvertiva la sensibilità, la premura e la partecipazione alle difficoltà e ai momenti di sofferenza degli altri, a un mondo nel quale ciascuno sembra solo preoccupato di sé e delle “faccende” proprie. Ci si parlava, ci si confidava, si condividevano le pene e le gioie molto più di quanto avvenga adesso. Direi che si conosceva forse meno la lettera del Vangelo, ma si sapeva mettere maggiormente in pratica il suo spirito.

 

 

Intervista a Marisa Biondi

 

Marisa Biondi, parrocchiana DOC dalla sua nascita, avvenuta nella casa affacciata sulla Via Canturina a cavallo fra l’inizio della Via S. Bernardino e Via Belvedere. Attualmente abita dall’altro lato della Via Canturina, dopo che la casa nativa è stata demolita per far posto all’edificio che ospita il Bar “Mela verde”.

Sin da giovanissima ha intensamente partecipato alla vita parrocchiale e continua tuttora con grande disponibilità. In particolare è orientata con assiduità degna di lode, su quanto concerne le forme socio-caritative, impegno che include le prestazioni in qualità di “dama” dell’Unitalsi, per l’accompagnamento e l’assistenza a malati e infermi a Loreto, a Lourdes e in altri santuari.

Dai suoi ricordi sono balzati innumerevoli fatti ed episodi narrati con grande semplicità, che infondono colori, luci e calore umano alla storia della nostra comunità.

 

Signorina Marisa, essendo nata qui, avrà frequentato la nostra scuola materna parrocchiale.

  • Non posso dire di esserci stata per tutti i 3 anni di asilo. Ma non è stato per una scelta diversa dei miei genitori. Il fatto è che, quando avevo 3 anni, non esisteva ancora la scuola materna di S, Antonio. Quindi per 8 mesi sono stata iscritta nell’asilo infantile di Camerlata. Poi, nel 1945 è stato costruito un capannone usato come scuola materna, dove adesso c’è “Casamica S. Antonio”, e io ho continuato lì la mia frequenza per i restanti due anni e mezzo.

Come funzionava la scuola materna di S. Antonio?

  • Io mi ci trovavo molto bene. Ci faceva scuola suor Rosalia, che saliva ogni mattina dal conventino delle suore di Via Monte Santo. A mezzogiorno ci veniva dato un piatto caldo, cucinato dal signor Giocondo, il cuoco dei frati. Veniva con un pentolone fumante che a me pareva enorme. Per il resto, ogni bambino al mattino portava con sé un cestello con qualcosa come secondo piatto.

Poi durante gli anni della scuola elementare, ci fu la frequenza all’oratorio?

  • Le due cose andarono di pari passo. Solo che l’oratorio non offriva tanti comfort. Non c’era molto spazio, e ci si trovava tutti assieme, ragazze e ragazzi. Ci si accontentava di giocare nel campo sportivo se era bel tempo o di restare al coperto nel capannone quando pioveva.

Quando si è avuto qualche miglioramento di questa situazione?

  • Il cambiamento ci fu quando venne fatto il piccolo oratorio oggi ristrutturato e adibito a “Casamica”. Fra i vari locali ce n’era uno un po’ spazioso dove, alla domenica, si proiettava un film. Per assistervi bastava una piccola offerta, ma l’ingresso era gratuito per i ragazzi delle famiglie in difficoltà. Noi eravamo già cresciute e alla domenica sera, se le offerte raccolte non erano sufficienti per pagare il noleggio della pellicola, le integravamo con un contributo personale.

Ma le entrate economiche erano solo le offerte dell’ingresso al cinema?

  • Veramente c’era anche una seconda risorsa proveniente dai ….guadagni del bar, che però non erano gran cosa, perché si vendevano caramelle e dolcetti a poco prezzo e i ….clienti non avevano mai molti soldi in tasca. Dunque il margine si riduceva a poco, benché il servizio di bariste lo facessimo a turno noi ragazze, a titolo del tutto gratuito.

Non vi mancava lo spirito di iniziativa!

  • Questo è proprio vero. E non ci mancava neppure la creatività. Noi ragazze, negli anni in cui furoreggiava il televisivo “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno, organizzammo alcune tornate di un casalingo “Lascia o raddoppia”, con tanto di cabina allestita artigianalmente, per farvi entrare le concorrenti che, avendo dato le prime facili risposte, arrivavano a rispondere alle domande più difficili. Superfluo dire che sceglievamo noi le domande. L’entusiasmo del pubblico comunque era sempre alto.

Dal punto di vista formativo cosa si faceva in parrocchia?

  • Grazie all’opera costante dei religiosi, sono nati parecchi gruppi, via via rafforzatisi per numero e miglioramento qualitativo della loro partecipazione. Oltre alle giovani, riunite nella congregazione delle “Figlie di Maria”, vi erano gli uomini che avevano costituito la “Confraternita del SS. Sacramento”. Per tutte le età esisteva l’opportunità di inserirsi nelle associazioni dell’Azione Cattolica, con le suddivisioni fra le varie categorie. I giovani e le giovani partecipavano anche alla “schola cantorum”, (una corale assai vivace e apprezzata per le sue esecuzioni), e avevano costituito la Compagnia Filodrammatica, che dava periodiche rappresentazioni. Le donne si ritrovavano nella “Compagnia del Rosario”. Ma un settore in particolare, era affidato alla gioventù femminile, e precisamente quello della buona stampa,- fattore importante di formazione cristiana - di cui le ragazze erano responsabili della distribuzione e diffusione in parrocchia.

Per i bambini cosa esisteva?

  • Loro avevano la possibilità di scegliere fra il gruppo dei chierichetti e la squadra dei paggetti. I chierichetti, allora, erano soltanto maschi, tuttavia formavano un folto gruppo, in grado di assicurare il servizio alle S. Messe e alle funzioni religiose. I paggetti, invece, prestavano il loro servizio in tutte le processioni, alle quali partecipavano ordinati. Conferivano una nota di gioia con i colori della loro divisa, pensata da noi ragazze e realizzata da una sarta abitante in via Scalabrini.

Si faceva per loro la catechesi?

  • Per tutte le età. Ma quella a cui erano riservate le attenzioni più vive era rivolta ai comunicandi e ai cresimandi. A ciascuno di essi veniva consegnato un libretto che li accompagnava segnando le tappe del loro percorso di preparazione, e restava poi come ricordo e testimonianza del giorno in cui ricevevano il Sacramento. Ho conservato uno di quei libretti, e precisamente quello del 1944, anno in cui, probabilmente, sono state amministrate per la prima volta in parrocchia le Prime Comunioni. I candidati furono 8, di cui 5 maschi e 3 femmine.

Restavate sempre a S. Antonio?

  • Talvolta andavamo anche fuori. Un appuntamento annuale esterno (in coincidenza col tesseramento) era quello dell’ultima domenica di ottobre. Nella festa di Cristo Re, tutte noi giovani e ragazze andavamo alla Madonna del Noce a Grandate per la S. Messa e la consacrazione della gioventù femminile alla Madonna.

Vi siete attivate anche per la costruzione del santuario di S. Antonio?

  • E’ il caso di chiederlo? Bisogna però riconoscere che in quella circostanza, tutta la comunità si “diede da fare”, con una preparazione durata per mesi, anzi per anni. Ben sapendo che la costruzione della nuova chiesa avrebbe richiesto una somma ingente, molti parrocchiani avevano cominciato da tempo a procurare materiali per un importante banco-vendita. Ci furono anche non poche donne che lavorarono a fare pizzi e merletti. Altre confezionavano vestiti per bambole: Alcune prepararono indumenti per bambini e corredi per neonati.

Non erano esagerati tanti preparativi per una vendita in parrocchia?  

  • Appunto! Intendevamo rivolgerci ad un pubblico molto più vasto. Per questo motivo, la prima pesca con annesso banco vendita, dopo una capillare operazione pubblicitaria (locandine in tutta la città) andammo a farla nel cuore di Como, ossia nel palazzo del Broletto nel maggio dell’anno 1954. Impiegammo il mese di aprile a predisporla. Per tutto il tempo di funzionamento del “banco” si assunse l’incarico di cassiere il signor Usai.

Che parte hanno avuto i giovani in quella mobilitazione generale?

  • Le ragazze, turnandosi, hanno assicurato le indispensabili presenze continuative al Broletto nei giorni infrasettimanali dal lunedì al venerdì, quando gli adulti erano occupati nel lavoro. Questi ultimi presenziavano a loro volta il sabato e la domenica.

E i ragazzi?

  • Diedero anch’essi un buon contributo. Giravano per le vie di Como vendendo i biglietti della lotteria e furono una concreta fonte di entrata. Ripensando a tutto quello che fu fatto, si dovrebbe riconoscere che il Santuario di S. Antonio divenne noto fra i comaschi, prima ancora di essere costruito e ultimato.

Se ne parlò certamente fra gli adulti, ma fra i giovani cittadini?

  • Per loro c’era un altro canale di conoscenza e coinvolgimento. Il nostro Padre Romano, infatti, era insegnante di religione all’Istituto Statale di Setificio. Per effetto della sua attività didattica, si era instaurata la tradizione della Comunione pasquale e natalizia degli studenti a S. Antonio. Da Como le scolaresche, con la maggior parte dei loro professori, salivano nella nostra chiesa per quelle ricorrenze.   Più avanti negli anni, la consuetudine si interruppe. Tuttavia riprese e rimase in vita per alcuni decenni (con l’aggiunta della S. Messa di inizio d’anno scolastico) con gli studenti dell’IPSIA “Ripamonti” di Via Belvedere, da quando questa scuola cominciò a funzionare.

Quando l’oratorio femminile ebbe una sede sua?

  • Dopo la costruzione della nuova scuola materna in via Valerio. E’ ovvio che l’assistenza fosse affidata alle suore.

L’avete sentito un po’ vostro?

  • E’ stata una sensazione che aveva un giustificato fondamento poiché, per l’inaugurazione, la gioventù femminile aveva cooperato con alacrità, preparando l’ambiente e gli arredi dove sarebbe stato servito il rinfresco per le autorità, e predisponendo ornamenti e fiori per renderlo gradevole e accogliente.

Saranno occorsi parecchi tavoli e sedie. Dove li avete presi?

  • Li abbiamo avuto in prestito dalla cooperativa di consumo di Camerlata. Con l’aiuto di qualche adulto li trasportammo qui e, terminata la festa, li abbiamo riportati nella loro sede.

Una bella faticata, vero?

  • Non è stata l’unica. Quando venne costruito il ponte sulla via Belvedere per collegare agevolmente la scuola materna con la chiesa, fu necessario collaudarlo. A tale scopo si deve sovrapporre alla struttura un forte carico, e di solito si risolve il problema mediante la sovrapposizione di pesanti automezzi a pieno carico. Sul nostro ponte ciò era impossibile, perché non è largo a sufficienza e l’accesso è ostacolato da alcuni gradini. Perciò si ricorse alla collocazione sul ponte di numerosi sacchi di cemento, portati lì a mano da noi ragazze dell’oratorio femminile.

Lei ha svolto un ruolo anche nell’organizzare i corsi di taglio e cucito in parrocchia. Cosa ci dice su questa iniziativa?

  • Veramente, c’è stata prima un’altra proposta realizzata. Mi riferisco ad un corso di economia domestica, organizzato in parrocchia, al quale si sono iscritte e hanno frequentato in congruo numero, sono solo le giovani, ma anche donne. L’ambiente con le strutture e gli attrezzi di cucina sono stati messi a disposizione dalle suore nel loro convento di S. Bernardino, che in pratica è stato la sede dell’intero corso.

Tornando al corso di taglio, come ci si arrivò?

  • La prima idea nacque durante la prepositura di Padre Alfonso, che fu un tenace sostenitore della urgenza e necessità di una formazione paraprofessionale, anche pratica, rivolta specialmente alle giovani. E’ noto che la sede fu nel salone della scuola materna dove parti nel 1962 il primo dei diversi corsi di taglio, tutti con un buon numero di frequentanti. Con padre Alfonso prendemmo i primi contatti con una maestra sarta di Vertemate, riuscendo a trovare un accordo. Andammo anche a Como a contrattare l’acquisto di una macchina per cucire. Ne trovammo una a prezzo conveniente, moderna (per allora) e attrezzata per diversi tipi di cuciture e di ricamo.

Fu sufficiente una sola macchina?

  • Assolutamente no! Se ne dovettero trovare altre due, non so se acquistate o offerte da qualche benefattore. Ricordo che erano entrambe nuove.

Rimase sempre la stessa insegnante?

  • Dopo i primi corsi, subentrò la maestra Giuliuzzi, nostra comparrocchiana, a completare altri due o 3 corsi. Al termine di ciascuno organizzavamo l’esposizione dei lavori, sempre passati in rivista minuziosa e ammirati da chi veniva a vederli, come si può rilevare dalla documentazione fotografica.

Un compito tutt’altro che semplice, provvedere ad organizzazioni ogni volta diverse!

  • Credo che la più diversa e la più complessa di tutte fu l’attuazione nel 1970 di una colonia estiva, durante la permanenza in parrocchia di Padre Michele. Cercammo assieme e trovammo una struttura a Campitello di Fassa, prendendola in affitto per un mese. Ci mandammo due turni di 15 giorni ciascuno: nel primo furono ospitati 30 ragazzi, nel secondo altrettanti giovani. Alla cucina pensarono il signor Auguadro e i coniugi Beretta, che erano i custodi delle scuole elementari di Via S. Bernardino.

Come sosteneste le spese dei viaggi di trasferimento?

  • Ricorremmo all’accorgimento di accomunare all’andata e al ritorno dei “villeggianti”, ossia la gita turistica di una giornata per parenti e conoscenti, il che ci permise di pagare le fatture dei pulman.

Ha citato Padre Michele. Ha qualche nota su altri religiosi?

  • Vedendoli oggi usare disinvoltamente le loro auto, non posso fare a meno di pensare agli anni 50, in cui i frati ebbero come primo mezzo di trasporto la bicicletta. Quando questa si rivelò insufficiente e inadeguata, passarono ad una “Lambretta” a cui successe una“Vespa” usata dapprima solo da padre Romano, e poi anche da Padre Giovanni. Quest’ultimo aveva l’incarico di assicurare la celebrazione della S. Messa domenicale nella cappella del cimitero di Camerlata. In ragione di ciò, caricava sulla “Vespa” il necessario per la celebrazione e, sul sellino posteriore, faceva salire un chierichetto. Non ha mai mancato ad un appuntamento coi fedeli che attendevano in cimitero. Quella stessa “Vespa” passò poi a Padre Valentino, subentrato nella cappellania del camposanto. Poi sarebbe toccata a Padre Rodolfo ma questi, preoccupato per la veneranda età e l’anzianità di servizio del mezzo, ritenne prudente pensionarla e sostituirla con un nuovo motorino.  

Con riferimento ad altri religiosi, cosa può dire?

  • Dovrei parlare di tutti quelli con cui ho collaborato, ma sarebbe troppo lungo. Mi limito a dire ho sempre trovato la massima disponibilità a sostenere idee, progetti e iniziative, In base a ciò la collaborazione è stata costante e fruttuosa con tutti, sia Padri che Frati. Di tutti conservo ottima memoria e grande stima.

La parrocchia e il convento erano dunque centro di aggregazione per molti?

  • Esatto. E lo si poteva verificare specialmente nelle occasioni straordinarie, come nell’anno del passaggio della Madonna Pellegrina. In quel caso si può dire che l’intera parrocchia si mobilitò per il massimo buon esito dell’evento. D’altra parte, i religiosi non si risparmiavano nel mettere se stessi e le strutture a servizio della comunità. Ad esempio, agli studenti alle prese col latino (in quegli anni era ancora materia di studio in parecchie scuole) davano lezioni gratuite su quella lingua. Per favorire il consolidamento di un neonato gruppo caritativo ed evitare che restasse isolato dalla Diocesi, caldeggiarono la partecipazione a una serie di riunioni tenute a Lora dalla Caritas. Attualmente mi sembra ci sia la volontà di dare un futuro a quel gruppo, innestandovi forze nuove. Pensarono anche al tempo libero dal lavoro. Quando la televisione non era ancora diffusa, dotarono l’oratorio di un apparecchio televisivo in modo che la gente interessata potesse seguire i programmi serali.

Erano soltanto i privati a far riferimento alla Parrocchia?

  • Oltre alle famiglie, si facevano presenti anche le piccole industrie comprese nel territorio parrocchiale. Le confezioni Casartelli poi diventata “Dama” e infine “Daxa”, di via Schiavio, la tessitura Cairoli di via Belvedere, la fabbrica di bilance Curioni e la ditta Tabor. Quest’ultima era la più antica. In seguito al suo trasferimento altrove, le sue strutture furono usate dalla ditta Conti. Negli anni 50 iniziarono a funzionare anche le tessiture Chiara (Via del Lavoro) e Mojoli (Via S. Bernardino).

Tutto questo insieme di territorio e di persone era assistito dai pochi religiosi della comunità?

  • Mi pare che non siano mai stati più di 5. Però c’è stato un biennio (o forse un triennio) durante il quale la comunità si è arricchita di una ventina di seminaristi che studiavano a Como, ed erano ospitati in convento.

Lei è una “dama” dell’Unitalsi. Vi è qualche nucleo di quell’associazione in parrocchia?

  • Non mi risulta. Mi sembra che ci sia una sola persona “barelliere” dell’Unitalsi. Però a partire dal 1982, e cioè da quando si è introdotta la festa dell’anziano, abbiamo provato a concordare con l’associazione la compresenza per la festa, nell’intento di riuscire poi a creare un forte gruppo caritativo. Quella prima “Giornata dell’anziano” in collaborazione con l’Unitalsi fu memorabile. Gli stessi festeggiati, furono coinvolti a tal punto che prepararono con le loro mani doni e oggetti che furono venduti: col ricavato si sostennero le spese per il pranzo. Nel pomeriggio, poi, davanti alla grotta della Madonna dell’oratorio, si organizzò la benedizione eucaristica degli ammalati, in analogia alla cerimonia di Lourdes. Purtroppo l’iniziativa si è esaurita nel giro di pochi anni. Eppure curavamo con attenzione la Giornata per la quale stampavamo un libretto da distribuire a ogni intervenuto, con la S. Messa, le preghiere specifiche e quelle per la sacra Unzione degli anziani infermi che la chiedevano.

Tanto fervore di vita parrocchiale produsse altri effetti?

  • A mio giudizio ritengo che vi sia stata una chiara e positiva ricaduta di tipo vocazionale. Basti constatare che negli anni fra il 1942 e il 1965, vi furono nove giovani che scelsero la vita religiosa: Nell’ordine cronologico furono Negri, Casartelli, le 3 sorelle Ongania, Ostinelli, Bianchi, Arnaboldi e Frigerio.

Ha memoria di donne che si distinguevano nella collaborazione con la parrocchia?

  • Il nome che mi viene subito alla mente è quello di Carlotta Balzaretti che era veramente l’anima delle Figlie di Maria e, più tardi fu una fervente animatrice dell’Ordine Francescano Secolare, fino a quando non è subentrata a lei Giustina Erba, altra figura la cui memoria non deve andare persa, poiché ha fatto tanto bene in parrocchia, sia mentre lavorava nel suo negozio, sia nel suo tempo libero. Se dovessimo definirla con due qualità delle molte che aveva, dovremmo dire di lei: eccezionale per carità e umanità.

Fra i suoi ricordi c’è magari quello di qualche episodio strano o fuori dal comune?

  • Sono due fatti avvenuti durante le processioni per la festa di S. Antonio. Al primo ho assistito quando ero ancora piccola, e mi ha fatto molta impressione. La statua del Santo era stata piazzata su un camioncino. Giunti nel quartiere di S. Bernardino, per cause che non conosco esattamente, l’automezzo si è incendiato. Credo che il fuoco sia stato spento in tempo per salvare la statua. Il secondo accadde alcuni anni più tardi, nella processione alla quale partecipavo con le Figlie di Maria. Avevamo percorso il giro della via S. Bernardino e la Canturina, e stavamo risalendo la via Belvedere, per tornare in chiesa. Quando mancavano circa 100 metri all’incrocio con la via S. Michele del Carso, la testa della processione fu fermata dai vigili della scorta. Poco più avanti si vedeva un autocarro cisterna fermo a lato della strada e sorvegliato a distanza dai pompieri. Qualcuno ci informò che si trattava di un carico di ammoniaca destinato alla ditta Conti che commerciava in acidi e detersivi, e aveva la sede e il deposito all’angolo tra via Belvedere e via S, Michele del Carso. Forse a causa degli urti subiti durante il viaggio di trasporto, l’ammoniaca si era riscaldata fino quasi al punto di ebollizione, facendo temere l’eventualità di uno scoppio. Dopo una sosta forzata di circa mezz’ora i pompieri, accertato il cessato pericolo, perché l’ammoniaca tendeva lentamente a raffreddarsi, diedero via libera alla processione che poté proseguire e rientrare senza danni in santuario. Penso che quella sera, parecchi partecipanti lodarono S. Antonio con particolare fervore, per lo scampato pericolo.

 

 

Intervista a Giuliana Romani

 

Giuliana Romani da parecchi anni fa parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale e da circa 20 è anche iscritta all’Ordine Francescano Secolare, nel quale riveste la carica di Ministra per la fraternità della parrocchia di S. Antonio. E’ pure attiva nel campo della carità, dove opera in seno al gruppo caritativo di S. Antonio.

Alcuni anni or sono è rimasta vittima di una brutta caduta riportandone la frattura del femore. Ha superato l’incidente e le sue conseguenze, recuperando la sua autonomia di movimento, ed ora è di nuovo in grado di camminare, pur dovendosi affidare leggermente all’aiuto di un bastone.

 

Cara signorina Giuliana, da quando è entrata a far parte della nostra Parrocchia?

  • Mi sono trasferita qui, da Garzola, nell’anno 1987.

Rimpiange qualcosa di quel paese che ha lasciato?

  • Mi è rimasta la nostalgia del panorama che si godeva da lassù. La frazione di Garzola, pur non essendo situata in alta quota, sovrasta Como e consente di ammirare la città come da un balcone. Si distinguono le mura, le torri, il duomo, si domina il primo bacino del lago, le colline ondulate della Spina Verde con la croce luminosa di S. Eutichio e il rilievo terminale col castel Baradello. E’ uno spettacolo affascinante specialmente di sera, quando è tutto rutilante di uno sfolgorio di luci.

Lei è attualmente “Ministra” della fraternità francescana. Come vi è entrata?

  • Finché sono stata a Garzola, non ero al corrente dell’esistenza del Terzo Ordine, che ho conosciuto qui, nei primi mesi dopo il mio arrivo. Ho saputo che accoglie i laici desiderosi di vivere lo spirito e la regola francescana, e ho deciso di entrare nella fraternità di S. Antonio nel 1989.

Vi è entrata da semplice “professa”. Ma quando è diventata Ministra?

  • Fu nel 2000, l’anno del Giubileo. Ho raccolto l’eredità dell’incarico che prima era stato svolto in modo ammirevole dalla compianta Giustina Erba e, dopo di lei, per sei anni, da Paolo Merlo, che però non apparteneva alla nostra parrocchia, poiché abitava a Mariano Comense.

Il gruppo dell’O.F.S. è dunque interparrocchiale o addirittura interdiocesano?

  • Il gruppo è parrocchiale, ma accoglie anche persone che risiedono altrove, sempreché nella loro parrocchia non esista la fraternità. Paolo Merlo frequentava il nostro santuario e ha risposto positivamente all’invito rivoltogli da Padre Benigno, da cui ha avuto le informazioni sulla natura e le finalità dell’OFS.

Lei ci ha detto quando, ma non come è avvenuta la sua nomina a Ministra.

  • E’ una vicenda un po’ anomala e curiosa. Per quanto possa sembrare strano, è accaduto che l’incarico mi è stato affidato, mentre io ero assente. Infatti, sin dai mesi precedenti, avevo assunto l’impegno di partecipare a un pellegrinaggio giubilare a Roma. Avevo accettato di accompagnare nella capitale, al giubileo degli ammalati, un “barelliere” dell’Unitalsi diventato infermo. La riunione del “Capitolo” riguardante la nostra fraternità per il rinnovo delle cariche venne stabilita quando io ormai avevo assunto l’impegno per Roma, al quale non potevo più rinunciare senza creare disagio per altre persone, e ciò mi ha impedito di partecipare. Al mio ritorno ho avuto la notizia che il Capitolo aveva votato me come Ministra,   e io non mi sono sentita di rifiutare la scelta e la decisione manifestata dagli altri membri della fraternità.

Ci spiega brevemente cos’è il Capitolo?

  • E’ l’assemblea di tutti gli iscritti ad una fraternità dell’OFS, che si svolge ogni tre anni.. Alla riunione presenziano anche i superiori che assistono a tutto lo svolgimento del capitolo e ratificano le decisioni che vengono assunte, dato che si tratta di rinnovare tutti gli incarichi della fraternità, sia con possibilità di riconferme sia di optare per i cambiamenti.

Oltre a S. Francesco, vi sono altri Santi a cui il TOF dedica particolare venerazione?

  • Una specifica devozione va a S. Elisabetta d’Ungheria, che è la nostra patrona. La sua ricorrenza annuale, è festeggiata con la S. Messa e un incontro di preghiera e di ritiro spirituale. Quando non è possibile farla coincidere, la giornata di ritiro la si stabilisce prima o dopo, a breve distanza di tempo dalla festa. Altre giornate dello stesso tipo le effettuiamo durante l’anno, specie nei periodi “forti” dell’Avvento e della Quaresima.

Sono numerosi gli iscritti alla Fraternità di S. Antonio)

  • Un tempo eravamo una quindicina; ora, per varie cause (vecchiaia, malattie, trasferimenti) siamo rimaste in poche. Quando ci sono incontri o momenti di preghiera in comune, cerchiamo l’aggregazione di altri professi che non abitano troppo lontano, in modo da formare una comunità che abbia una certa consistenza.

Vi sono in zona altre fraternità?

  • Ce n’è una abbastanza florida a Como, nella parrocchia di S. Giuseppe, affidata ai padri Cappuccini, che sono anch’essi francescani, e una a Cantù.

Però a Cantù non vi sono frati.

  • E’ vero. Ma la creazione e l’esistenza di una fraternità non è necessariamente legata alla presenza di religiosi regolari. E’ sufficiente che vi sia in un parroco aperto allo spirito francescano, che susciti nei fedeli più sensibili il desiderio e la volontà di formare un gruppo parrocchiale dell’OFS.

L’iscrizione è consentita solo al di sopra di una determinata età?

  • E’ libera a chiunque, anche ai giovani. Ed è appunto su questi che noi vorremmo puntare per superare il problema dell’esiguità degli iscritti. Pensiamo al gruppo di spiritualità francescana recentemente costituito in parrocchia, confidando che da esso possa venirci qualche altro iscritto.

Potrebbe essere utile darvi maggior visibilità, farvi conoscere meglio?

  • Potremmo muoverci anche in quella direzione. Del resto, un primo passo in quel senso è già stato fatto l’anno scorso, quando ospitammo nella nostra parrocchia un interessante incontro regionale di “Justitia et pax”, un sottogruppo che appartiene all’OFS. Un convegno analogo si ripeterà prossimamente ancora qui nel nostro oratorio. Speriamo che da esso nasca, tra i fedeli della nostra parrocchia e i frequentanti il santuario, qualche autentica vocazione ad inserirsi nella nostra fraternità.

Sembra di concludere che le vocazioni genuine non sono molto frequenti. Per quale motivo?

  • A mio giudizio, la ragione principale è che la decisione deve nascere da una profonda convinzione di voler abbracciare appieno la spiritualità francescana e di assumersi, senza alcuna riserva, l’impegno di seguirne le regole

Senza queste condizioni di base cosa accade?

  • Viene meno la motivazione occasionale e, in genere, dopo breve tempo segue l’abbandono della fraternità. Cade quindi la volontà di essere fedeli alla promessa pronunciata all’inizio di un percorso che dà gioia, ma richiede coerenza e costante tensione verso le “cose di lassù”.

Una fedeltà certamente sentita e vissuta dalla compianta ministra Giustina Erba, di cui ha fatto cenno prima.

  • Indubitabile. Lei ha fatto moltissimo, sia da professa che da ministra, durante gli anni dal 1942 al 1994. La nostra fraternità, con la sua presenza sempre attiva, ha avuto un periodo fiorente. La scomparsa ha lasciato un vuoto che abbiamo avvertito tutti. Da parte mia ne ho sofferto molto, perché, oltre alla stretta amicizia che ci legava, io ho avuto da lei consigli e suggerimenti veramente preziosi. Ciò si è verificato con forte intensità, nei primi anni dopo la mia nomina. Posso dire che Giustina ha veramente messo a mia disposizione la sua grande esperienza, sia nell’OFS, sia nel gestire le relazioni umane, dandomi generosamente un aiuto di cui le sarò sempre grata.

 

 

Intervista ad Augusta Erba

 

Augusta Erba, è stata nostra comparrocchiana dalla nascita sino a pochi anni addietro. Ed esattamente sino al 2000. Abitava in Via Belvedere, presso un negozio di generi alimentari avviato dai suoi genitori dopo il loro rientro dagli Stati Uniti d’America. Col marito e la sorella Giustina, aveva rilevato la gestione del negozio quando i genitori si erano ritirati in pensione, continuando l’attività dopo la scomparsa prematura del marito, sempre assieme alla sorella e col figlio Maurizio, La morte della sorella Giustina ha causato la sua decisione di chiudere il negozio e di trasferirsi a Como dove tuttora abita.

 

Signora Augusta, se si dovesse attribuire la cittadinanza onoraria della Parrocchia di S., Antonio, lei ne avrebbe titolo?

  • Modestamente direi proprio di sì, estendendola alla mia famiglia paterna. Sono nata lì (in via Belvedere al n° 24), ho ricevuto lì i sacramenti dell’iniziazione cristiana, nel santuario mi sono sposata io nel 1954 e hanno ricevuto battesimo, cresima e 1^ comunione i miei due figli. In parrocchia ho esplicato per intero la mia carriera lavorativa.

Non è uscita mai dalla parrocchia?

  • Sono uscita per frequentare l’asilo e la scuola. Il primo non era ancora istituito a S. Antonio, e le scuole di Monte Santo vennero costruite soltanto nel 1956 o 57, quando per me era già terminato l’obbligo scolastico.

Qual è stato il suo lavoro?

  • Quello di esercente di un negozio con l’insegna “Erba e Colonna” aperto nel 1931 dai miei genitori al loro rientro dalla metropoli di New York, dove avevano vissuto per 4 anni e dove era nata mia sorella Giustina. Quando essi si ritirarono, continuai l’attività con mia sorella. Cambiammo l’insegna col solo nome di Erba e, dopo le mie nozze, avemmo la collaborazione di mio marito, purtroppo scomparso anzitempo, nel 1987. Al suo posto subentrò mio figlio Maurizio, così potemmo continuare fino al 2000, anno in cui la grave malattia di mia sorella ci costrinse a cessare.

Il vostro negozio non subì cambiamenti durante tutto quel tempo?

  • In settant’anni del secolo scorso si registrarono profonde trasformazioni nella società, nella tecnologia, nei gusti e nelle esigenze del pubblico. Noi mantenemmo il negozio al passo coi tempi, ampliandolo e introducendo le necessarie modifiche. L’ultima è stata una completa ristrutturazione che ha trasformato la “bottega” in un minimarket.

Era il solo negozio della via?

  • Fino al 1941 non ve ne furono altri. In quell’anno aperse vicino a noi una latteria e successivamente un fruttivendolo che teneva anche giornali e tabacchi, e una macelleria sul lato opposto della strada. Per trovare un altro negozio si doveva andare in Via S. Bernardino; vendeva anch’esso generi alimentari ed era gestito dal signor Guglielmetti.

Nient’altro?

  • Veramente c’era anche un’osteria, quella del Bersaglio, a lato dell’ingresso del poligono di tiro, tenuta da un certo Montorfano, che era anche abbastanza frequentata. Da qualche anno ha chiuso ed è stata sostituita da una discoteca.

Quelli che venivano ad allenarsi al poligono non entravano nell’osteria?

  • I tiratori “civili” non erano molti. Però prima del 1939 e durante la guerra venivano spesso, dalla caserma “De Cristoforis” di Como, i militari del 67° Reggimento Fanteria, per fare i tiri. In quei giorni c’era il pienone nell’osteria e anche nel mio negozio. Non si arrivava in tempo a servirli tutti.

Lei aveva un ruolo fisso?

  • Per la maggior parte del tempo stavo al banco, mentre mia sorella si occupava della cassa. Ma i ruoli erano intercambiabili, a seconda delle situazioni e delle necessità.

La vostra clientela comprendeva tutti gli abitanti della parrocchia?

  • Non veniva quasi nessuno dall’Acquanera, perché avevano un negozio lassù. Noi servivamo quelli di Belvedere e Monte Santo che, nei primi tempi, era ancora un quartiere di “baraccati”. Fu soltanto verso la fine degli anni 30 che il Comune fece costruire lì le prime case popolari; anzi, le chiamavano case “minime”.

Com’erano i rapporti coi clienti?

  • In generale buoni. Un po’ problematici con alcuni del rione Monte Santo, sia sotto il profilo umano che economico. Si deve tener conto che non poche di quelle famiglie erano nullatenenti e non tutti gli uomini avevano lavoro. Di questo eravamo consapevoli e si usava comprensione per le famiglie più in difficoltà.

Usavate anche voi i “librett del pustèe”?

  • Allora era una prassi comune alla quale ci adeguammo anche noi. Pochi pagavano in contanti di volta in volta. Per gli altri c’era il libretto di debito, in due copie: una in consegna al cliente e una tenuta in negozio. Su di esse si segnava giornalmente l’importo della spesa. Il saldo, a seconda degli accordi, era effettuato settimanalmente, o quindicinalmente o, nella prevalenza, a fine mese.

In un certo senso era un’agevolazione e un risparmio di tempo?

  • Un’agevolazione che negli anni di guerra divenne una necessità quando i metalli come il nichel e il rame erano accaparrati dalle industrie belliche. Scomparvero perciò dalla circolazione le monete di rame e di nichel, rendendo difficile cambiare le banconote e dare il resto. In loro sostituzione si usavano i gettoni del telefono, oppure i francobolli. I prezzi si arrotondavano alla lira o ai 50 centesimi. Due ditte di Como (la STECAV dei tram e delle filovie, e la LARIANA della navigazione sul lago) avevano fatto coniare i 50 centesimi di alluminio che in provincia si usavano correntemente da tutti. Si diedero da fare anche le banche, stampando e mettendo in circolazione dei “miniassegni” ma non tutti li accettavano.

Un grosso disagio sociale!

  • Fosse stato l’unico! C’era sempre la penuria dei generi di prima necessità che erano razionati e insufficienti. In molti casi, pur avendo diritto alle razioni spettanti, i possessori delle tessere annonarie si sentivano dire che la merce era esaurita. Per questo dal macellaio e dal lattaio ci si metteva in coda in anticipo prima dell’orario di apertura.

Non sarà stata vita facile neppure per voi!

  • Eh no! Ogni sera, dopo la chiusura, c’era lo strascico della giornata. Si dovevano raccogliere e conservare i tagliandi delle tessere consegnati dai clienti per ciascun acquisto. Mio padre, sempre ordinatissimo, lavorava per ore a suddividere con pazienza certosina i tagliandi del pane, da quelli della pasta, del riso, dei salumi, dal sapone, dei grassi, dell’olio ecc. da consegnare poi all’ufficio annonario come controprova della quantità di merce venduta.

A quali modifiche dell’ambiente ha assistito?

  • Parlando di via Belvedere, ne ho viste parecchie. A prescindere dall’aspetto del paesaggio in cui sono gradatamente scomparsi prati, campi e macchie alberate ora occupati da case e giardini privati, la strada stessa è stata profondamente rivoluzionata e mutata, fin quasi in cima al poggio dell’Acquanera. Era un percorso in terra battuta a saliscendi, stretto e incassato fra due scarpate. Venne allargata, spianata, asfaltata. Fu eliminata la roggia che la fiancheggiava Tutti coloro che avevano terreni in fregio, dovettero cederne una fascia per l’ampliamento della via; noi perdemmo il giardinetto antistante al negozio. Venne pure ammodernata e potenziata l’illuminazione, già scarsa per la strada stretta e diventata veramente inadeguata dopo l’allargamento.

A proposito della precedente illuminazione, gli anziani parlano di un incidente sulla via.

  • Accadde nel 1936. Durante un furioso temporale, un fulmine si abbatté su un palo della luce, tranciando la linea elettrica. Un capo del filo cadde a terra e un tale, troppo imprudente, credendo di poterlo spostare di lato lo toccò, rimanendo fulminato.

Fra i vostri clienti contavate anche i frati di S. Antonio?

  • Sin dai tempi di padre Otello e padre Gerardo il convento si rivolgeva a noi per le spese minute. Ma i rapporti della nostra famiglia coi religiosi andavano oltre. Essi venivano spesso a trovarci, perché esponessimo in vetrine gli avvisi e le locandine che annunciavano celebrazioni e ricorrenze religiose. Inoltre mia sorella, Giustina, a partire dal 1943, è stata per parecchi anni Ministra del gruppo di S. Antonio del Terzo Ordine Francescano che contava un bel numero di iscritti, tra cui ricordo Emanuele Cairoli e Teresina Castoldi. Sempre a mia sorella è toccato anche l’onore di fare da madrina allo stendardo della Parrocchia.

Avrete quindi conosciuto quasi tutti i Padri che sono passati a S. Antonio.

  • Una conoscenza che è quasi sempre divenuta amicizia. Quest’ultima non si è interrotta dopo la loro partenza. Mia sorella è rimasta in relazione epistolare con quasi tutti. Li rivedevamo con piacere quando ripassavano occasionalmente nel convento della nostra parrocchia.   Siamo poi sempre in rapporto con un nostro parente acquisito, Monsignor Dom Aldo Gerna, vescovo di Sao Mateus in Brasile, che un anno – non ricordo esattamente se nel 69 o nel 70 – era venuto ad amministrare la Cresima nella nostra Parrocchia. Le cresime quell’anno coinvolsero un nutrito gruppo di ragazzi e ragazze, tra cui anche mia figlia.. Le famiglie dei cresimandi raccolsero un’offerta per la missione brasiliana.

Lei personalmente era inserita in iniziative parrocchiali?

  • Frequentavo l’oratorio con le mie coetanee e partecipavo al coro misto formato per volere di Padre Giovanni. Cantavamo a due voci la messa gregoriana e altri canti religiosi. Alle origini ci accompagnava con l’armonium una suora e, in un secondo tempo, lo stesso Padre Giovanni. Fra i coristi ricordo che c’erano Natale Pizzetti, un Malinverno, Carla Guarisco e Carla Casartelli. Un effetto del coro che ritengo degno di attenzione è da vedere – secondo me – nell’aver creato le condizioni per una prima fusione fra i parrocchiani di Belvedere e quelli dell’Acquanera; più avanti si aggregò anche qualche elemento di Monte Santo.

Era interessata ad altre attività?

  • Mi piaceva quella teatrale, sostenuta da un gruppo proveniente dalle Figlie di Maria e da altre associazioni giovanili. Le rappresentazioni venivano date nel cortile di casa nostra, dove si piazzava anche il palco; e i posti erano sempre completi.

Gli spettatori stavano in piedi?

  • Dovevano starci per forza quelli che non trovavano posto sulle sedie, che andavamo a prendere dalla cappella del cimitero ad ogni spettacolo. Si caricavano sul camioncino della ditta Cairoli. e si riportavano indietro con lo stesso mezzo. Il successo era sempre garantito. Più di una volta è capitato che gli spettatori si fermassero fino alla fine della rappresentazione sotto la pioggia.

C’era un beneficio economico?

  • Non era molto. Tuttavia, unendo gli incassi di più volte, abbiamo acquistato lo stendardo della parrocchia.

 

 

Intervista a Bruno Corengia

 

Bruno Corengia ha lasciato quest’anno la parrocchia di S. Antonio, di cui faceva parte dall’anno 1957, essendosi ora trasferito a Como città.   Gli anni della sua permanenza tra noi sono stati quelli di una lunga carriera lavorativa, mediante la quale è pervenuto a istituire e gestire una piccola industria, che ora continua a seguire da pensionato.

Il notevole impegno professionale non gli ha affatto impedito di essere una persona molto attiva in Parrocchia. Ha fatto parte per circa 6 anni del Consiglio Pastorale Parrocchiale e, in momenti successivi, ha assunto incarichi di responsabilità, quali la presidenza della Conferenza maschile di S. Vincenzo, la presidenza della “Cooperativa edilizia S. Antonio” e, più tardi, la presidenza della scuola materna “S. Antonio” dopo quella di Carlo Cairoli, portandola avanti sino a “consegnare il testimone” nelle mani dell’attuale presidente Carlo Terragni.                

 

Signor Corengia, il 2006 ha segnato la sua uscita dalla nostra comunità parrocchiale, ma quando e come ci era entrato?

  • Sono diventato parrocchiano di S. Antonio esattamente 49 anni or sono, cioè nel 1957, proveniente dalla comunità di S. Brigida in Camerlata, poiché in tale anno mi sono stabilito in un’abitazione a poca distanza dal santuario.

Geograficamente non è stato un gran cambiamento!

  • E neppure sul piano ambientale e delle relazioni umane, poiché la vicinanza mi ha consentito di conservare le amicizie precedenti, così come mi aveva già permesso di intesserne con alcune persone della nuova parrocchia prima di arrivarci.

Dunque nessun problema di integrazione per lei.    

  • Assolutamente no. Ero già in rapporto di amicizia con la famiglia Cairoli, specie con Santino, e con altri conoscenti che abitavano qui. C’era una buona base sulla quale costruire una rete di relazioni e un’aggregazione collaborativa all’interno della comunità parrocchiale.

Si arguisce dalle sue parole che lei era già elemento attivo nella parrocchia precedente.

  • Ho “respirato” atmosfera parrocchiale sin da ragazzo, quando ero quattordicenne e, coi miei fratelli, dovetti sostituire mio padre, nelle funzioni di sacrestano, perché nel periodo della seconda guerra mondiale, fu richiamato alle armi. E’ stata un’esperienza aggiuntiva rispetto a quelle ordinarie che allora faceva ogni bambino frequentando la chiesa e l’oratorio; ha sicuramente inciso sul mio orientamento di partecipazione e di servizio.

Ci fu però la differenza di venire a contatto con un clero regolare.

  • Direi che non ho avvertito un grosso cambiamento nei rapporti col sacerdote. Ho trovato a S. Antonio un parroco straordinario, Padre Berardo, che sapeva aprirsi senza alcuna riserva alle persone, e col quale, di riflesso, le persone sentivano di potersi aprire. Con lui ho instaurato una intesa davvero speciale, che sosteneva una collaborazione particolarmente fruttuosa e di grande soddisfazione. Collaborazione che ho potuto continuare anche coi parroci successivi che ricordo con stima affettuosa, padre Mario e il mio omonimo Padre Bruno.

L’attività svolta in quel periodo era condivisa da altri laici?

  • Come ho accennato, i precedenti rapporti con Santino Cairoli, comportarono sin dall’inizio la mia aggregazione con un gruppo di uomini caratterizzato da un forte affiatamento; tutte persone avvedute, pronte nel cogliere i problemi e altrettanto decise a farsene carico per portarli a soluzione. Tra loro ricordo specialmente Aldo Frigerio, Marco Spezzati, Francarlo Butti, Onofrio Gangemi, Gianni e Bruno Faverio, Pierino Saldarini, Claudio Pizzocaro, Francesco Dusi, Roberto Corbetta, Ambrogio Antonini e Roberto Ronchetti. Ma l’intero gruppo meriterebbe di essere citato. La condivisione delle motivazioni e degli impegni ha trasformato la “colleganza lavorativa” in amicizia profonda, proseguita oltre quel periodo e tuttora perdurante fra tutti noi.

Un vero gruppo operativo.

  • Il fatto è, che ogni componente sapeva muoversi in gruppo, ma anche individualmente, nel senso che, una volta assunta una certa decisione, ciascuno si sceglieva un proprio compito esecutivo. Così, volendo dare un impulso di animazione all’oratorio, fu Gangemi a provvedere in prima persona al rilancio sportivo, organizzando le attività e facendosi allenatore delle squadre e degli ….atleti E quando un incidente lo immobilizzò, trovò il suo sostituto nel giovane Paolo Flego. Sul versante della festa patronale, il “deus ex machina” della pesca e del banco vendita era Butti; dava le direttive alle collaboratrici per l’ottava precedente, e dedicava personalmente l’intera giornata della ricorrenza, festiva o feriale che fosse. Fra le tante forme di intervento di Santino, è d’obbligo ricordare il suo contributo per organizzare la giornata dei portatori di handicap. In questo campo non aveva certamente bisogno di sollecitazioni. E’ infatti dovuta principalmente a lui la realizzazione a Breccia di un centro Socio educativo per disabili, nei locali della ex scuola elementare. In parrocchia, i suoi progetti per loro sono stati concretizzati con l’aiuto determinante di Gianni Bambini, sempre al suo fianco perché nella giornata tutto filasse a perfezione, dai trasferimenti con automezzi, alla Messa, al pranzo, ai giochi pomeridiani e al rientro dei partecipanti nelle rispettive sedi.

La parrocchia deve quindi dare il giusto riconoscimento anche a Gianni Bambini?

  • E’ più che meritato! La sua è stata costantemente una presenza discreta ma non secondaria nell’attuare le iniziative prospettate dal gruppo. Così è stato, ad esempio per la giornata dell’anziano, nella quale erano coinvolte altre forze della parrocchia. Ed è anche stato il suo interessamento a far maturare l’accordo per la fornitura al santuario del “pane di S. Antonio” da distribuire ai fedeli nella giornata del patrono.

.Si può ben dire che il vostro gruppo non dormiva sugli allori!

  • Credo che l’affiatamento e l’identità di vedute in ordine al miglioramento della situazione parrocchiale rendesse il gruppo così fertile di idee, e dinamico nel dare loro un corpo. Ad esempio, rendendoci conto che, durante l’inverno, l’ingresso diretto dall’esterno nel santuario comportava dispersione di calore e forte disagio per coloro che partecipavano alle funzioni esposti alle “ventate” di aria gelida ogni volta che entrava qualcuno, ci consultammo con Padre Berardo. Ne nacque la decisione di installare una “camera d’aria” ossia quel piccolo ambiente in metallo e vetro, che funge da atrio ed evita il fastidioso inconveniente.

Un lavoro che avrà richiesto uno sforzo finanziario. Come si è potuto sostenere?

  • Valeva per tutti la regola che ogni proposta fosse sorretta entro certi limiti dalle risorse necessarie. Quasi tutti i componenti del gruppo uomini avevano conoscenze a cui rivolgersi per tali necessità e quindi – di volta in volta – ci si interessava per far fronte anche al fabbisogno economico. Sotto questo aspetto non può essere sottaciuta l’intera famiglia Cairoli, sempre fra coloro che erano in prima linea; non è eccessivo dire che la parrocchia deve moltissimo ai suoi componenti.

Come si configurava il vostro rapporto coi benefattori esterni e interni?

  • Era impostato sulla base della estrema trasparenza. Si mettevano a conoscenza i possibili benefattori, del progetto che stava alla base delle richieste di supporto, chiarendone le ragioni e i necessari dettagli. Si invitavano a prendere visione diretta dei risultati, e ci si ricordava sempre di esprimere loro un ringraziamento che rappresentava la riconoscenza della parrocchia.

Avete introdotto innovazioni sul versante più propriamente religioso?

  • In sintonia e con l’aiuto del Parroco e dei frati, abbiamo ipotizzato e tradotto in realtà la catechesi per gli adulti, mediante un appuntamento serale ogni settimana, su argomenti riguardanti la formazione religiosa. Compatibilmente con gli impegni professionali o familiari, ciascuno si faceva premura di intervenire.

Un passo importante nel rapporto con Dio. Ma col prossimo?

  • Nella realtà parrocchiale esistevano – forse più numerose di adesso – situazioni di famiglie in gravi difficoltà. Ci sembrò un preciso dovere quello di non chiudere gli occhi davanti ai bisogni, e fummo ben lieti di raccogliere un input del Parroco che ventilava l’idea di potenziare la Conferenza maschile di S. Vincenzo, allora affidata alla solerte guida di Emanuele Cairoli. Si noti che, in questo settore, eravamo rimasti un po’ “dipendenti” dalla parrocchia di Camerlata, il cui responsabile (Senatore Girola) a conoscenza delle condizioni della nostra zona, condivideva con S. Antonio le offerte raccolte all’ingresso del cimitero. La costituzione della nostra Conferenza ci rese autonomi e diede la mossa di partenza all’organizzazione dei turni per effettuare – da parte nostra - la questua al cancello del cimitero nelle maggiori ricorrenze, traendone una parte delle risorse destinate all’assistenza.

Le strutture parrocchiali erano completate da una scuola materna in funzione da parecchi anni, tenacemente mantenuta aperta ed efficiente, malgrado le difficoltà comuni ad ogni scuola non statale. Come si poneva il gruppo al suo riguardo?

  • Condividevamo col parroco il desiderio e il principio che i piccoli frequentanti, e le rispettive famiglie, avessero un posto centrale nella parrocchia, sia geograficamente, sia sul piano formativo. Per tale motivo fu affiancato e assecondato nel suo proposito di costruire la scuola nuova nei pressi del santuario, su un terreno ceduto dalla famiglia Terragni. Ma non ci fermammo lì. L’intero gruppo si mise a disposizione, e intervenne anche materialmente per rendere più funzionale e accogliente la “casa dei piccoli”. Col tempo e la pazienza sistemammo il giardino, costruimmo il marciapiedi attorno all’edificio e intervenivamo poi per le piccole manutenzioni periodiche.

E’ questo un tema che le sta particolarmente a cuore, dato il ruolo che lei ha avuto nella gestione della scuola materna. Ci dà delle notizie in proposito?

  • Quando ne accettai la presidenza, la scuola versava in una situazione di crisi. Da qualche anno le frequenze si erano ridotte a pochissimi bambini. Le quote di iscrizione, che per ovvi motivi non potevano essere troppo alte, non erano sufficienti a coprire le spese di normale gestione, neppure sommandole al modestissimo contributo dello Stato. Economicamente l’amministrazione era in rosso per diversi milioni di lire. A tanti guai se ne sovrappose uno forse ancor più grave: l’Ordine religioso delle Serve di Gesù Cristo, con sede principale in Agrate, alle prese col problema della crisi vocazionale, ci annunciò di aver deciso il ritiro delle suore insegnanti (suor Disola e Suor Teresina).

Una contingenza di cui non si vedevano vie di uscita?

  • Pensammo di prospettare la questione a monsignor Vescovo il quale, consapevole dell’importanza di una scuola materna nella pastorale parrocchiale, ci offerse il suo sostegno morale incoraggiandoci a ricercare una soluzione. E la soluzione venne davvero, - almeno per la sostituzione delle insegnanti - per opera della Provvidenza. Giunse da una parte da cui non ce la saremmo mai aspettata. Padre Luigi era cappellano nella Casa Circondariale del Bassone ed era a conoscenza che le suore del reparto femminile – non avendo accettato la proposta del Ministero degli Interni di essere “militarizzate” – erano in procinto di cessare la loro assistenza alle recluse e di ritirarsi dalle carceri. Si discusse di questa opportunità col parroco e si presero contatti con il loro Ordine, che era quello delle suore di S. Maria di Leuca. Le trattative andarono in porto, fu stipulata una convenzione tra la Parrocchia e l’Ordine e, per l’inizio del nuovo anno scolastico suor Michelina, suor Ancilla, reduci dal servizio carcerario, con altre due loro consorelle (suor Mirta e suor Cirilla), si insediarono nella nostra scuola materna. Da allora iniziò un periodo di ripresa di cui tutti godemmo; io per primo.

 

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Intervista a Paolino Guggiari

 

Paolino Guggiari, classe 1935, è nato al n° 8 di Via Belvedere, dove ha vissuto i primi 26 anni della sua vita, condividendo il sorgere e gli sviluppi giovanili della nostra parrocchia. Dopo il matrimonio si è trasferito altrove, ma ultimamente è rientrato a Como, per risiedere in un quartiere confinante col nostro. La vicinanza è stata per lui occasione gradita per riprendere a frequentare il nostro santuario al quale è rimasto affettivamente legato, così come ha mantenuto i rapporti con uno dei religiosi conosciuti nella sua infanzia.

Ha lavorato, per 47 anni, come apprezzato professionista presso un’azienda bancaria comasca, coltivando, nel tempo libero, la conoscenza e l’ammirazione per i beni monumentali e artistici della nostra città.

 

Signor Guggiari, il modo con cui ne parla, è un’implicita dichiarazione che S. Antonio le è rimasto nel cuore, malgrado gli anni trascorsi altrove. Come mai?

  • Innanzi tutto perché è la mia terra natia, poi perché gli anni che vi ho trascorso sono quelli che hanno segnato la mia vita, dandole impostazione e orientamenti fondati su valori veramente universali, in cui continuo a credere. Sento che qui ci sono le mie radici, sulle quali si sono formate e consolidate la cultura e la visione della vita che mi appartengono.

In che cosa, secondo lei, ha contribuito l’ambiente a questa sua formazione?

  • Per quanto possa sembrare strano e paradossale, io dico che alla mia formazione hanno dato un contributo determinante quattro famiglie: la mia, la famiglia Cattaneo, la famiglia Cairoli e la più grande famiglia (che oggi chiamano Comunità ) parrocchiale.

E’ ovvio e logico il riferimento alla sua famiglia paterna, ma come spiega l’incisivo apporto delle altre tre?

  • Io abitavo a fianco nella casa dei signori Cattaneo, che per me furono come i secondi genitori Se non vado errato, nei primi tempi della presenza dei frati, gli arredi sacri furono custoditi nella loro casa. Essi si imparentarono coi Cairoli, il cui senso di ospitalità era eccezionale verso chiunque, ma specie nei confronti dei bambini. Di fatto, noi ragazzi del vicinato consideravamo casa Cairoli un secondo oratorio, dove ci si ritrovava per incontrarsi, parlare, giocare, quando non ci andava, o non c’era il tempo, per salire a S. Antonio. Lì ci si sentiva proprio come a casa nostra, sotto lo sguardo e l’attenzione del signor Emanuele, figura carismatica di padre di famiglia e di fervente parrocchiano. Per quanto attiene alla quarta famiglia, ossia la parrocchia (per noi ragazzi concentrata nell’oratorio), era, al tempo stesso, un’attrattiva e un riferimento spontaneo a cui facevano capo tutti i giovani, dai bambini ai ventenni e oltre.

Nonostante la limitatezza degli ambienti e delle attrezzature?

  • Era sufficiente ed essenziale sapere che li si trovava compagnia e possibilità di divertirsi. Allora non si era molto esigenti, né si ambiva a giochi sofisticati. Ci si divertiva con poco. Bastavano le cose più semplici, condite con la nostra fantasia. Non si faticava molto a combinare memorabili partite di calcio, benché un vero pallone fosse solo nei nostri desideri. I casi più felici erano rappresentati dalle poche volte in cui riuscivamo ad avere tra le mani (o meglio tra i piedi) una pallina da tennis, che spesso si confondeva coi sassi che abbondavano nel campo di gioco. E vi era poi un altro fattore di aggregazione, il più forte: erano i religiosi, dei quali era ben manifesto il senso di accoglienza, tant’è vero che, a livello di ragazzi e giovani, erano riusciti ad annullare ogni traccia di quelle discriminazioni che invece resistevano fra gli adulti. Parroco e frati non facevano alcuna differenza in relazione al quartiere da cui si proveniva. Erano sempre pronti ad accettare tutti, tenendo sotto controllo la fase del gioco, per integrarla con interventi formativi, i cui effetti – nella maggior parte dei casi – si sarebbero fatti sentire nella vita di molti di noi, a distanza di tempo.

Intende riferirsi a tutti i religiosi?

  • Certamente! Avevano una linea di comportamento omogenea e coerente, al di là delle naturali differenze di personalità. L’affermazione è valida non solo per il primo parroco, padre Otello Melato, ma anche per coloro che si sono avvicendati nel convento, ad esempio Padre Gerardo, padre Romano, padre Giovanni, fra Natale, per citare quelli che ho conosciuto. Mi è rimasta impressa, tra l’altro, la loro premura per noi ragazzi durante i duri tempi della guerra, quando si soffriva per la scarsità di alimenti. Quelle volte in cui reperivano un po’ di pane, lo condividevano con noi; si può immaginare con quale nostra gioia. Il rapporto instaurato con padre Romano è stato per me uno dei più profondi e continua ancora oggi prevalentemente in forma epistolare, rafforzato, di tanto in tanto, da un incontro di persona quando, con mia moglie, ho occasione di andare a Padova e a Camposanpiero.

C’erano locali espressamente adibiti ad oratorio?

  • Per quanto io ricordi, un’ala dell’edificio che oggi serve da oratorio e Casamica, era riservato alla chiesa – un grande vano alto che occupava il pianterreno e il primo piano. Al secondo c’erano la camere dei frati. Al pianterreno, di fianco alla chiesa c’era un capannone con funzione di oratorio e, dall’altro lato, un locale per l’asilo. Nell’oratorio si tenevano saltuariamente degli spettacoli teatrali; occasioni di divertimento che noi non ci lasciavamo sfuggire. In quella prima chiesa ho ricevuto anch’io la Cresima coi miei coetanei, amministrata dal Vescovo Alessandro Macchi venuto da Como.

L’oratorio era comunque centro di ritrovo giornaliero?

  • Era luogo d’incontro, di concertazione, di organizzazione e di rientro, anche per le attività che decidevamo di svolgere nei dintorni. A seconda della stagione, potevamo scegliere di andare a pesca nella torbiera del Bassone, oppure di fare una puntata al roccolo.

Era pescosa la torbiera?

  • Ci andavamo volentieri più per la soddisfazione delle catture che per consumare poi le prede della pesca. Come varietà c’era poco da scegliere: o pesci gatto o pesci sole (i famosi “gobbetti”). E come si sa, non sono affatto piatti da buongustai.

Esisteva anche un roccolo? Dove si trovava?

  • Stava giù in basso, verso la ferrovia. Ci si arrivava seguendo la strada che, dall’incrocio alto dell’Acquanera, scende nella valle e risale a collegarsi con Casnate. Era un vero roccolo, ben equipaggiato con la doppia corona di piante attorno, sulle quali il cacciatore tendeva le reti. Al centro aveva l’osservatorio, dal quale sorvegliare l’interno del recinto e cogliere il momento giusto per manovrare le reti e catturare gli uccelli rimasti intrappolati. Il cacciatore ci aveva presi in simpatia e ci lasciava entrare. In primavera e in autunno esponeva le gabbie con gli uccelli da richiamo, i posatoi ricoperti di vischio, e attendeva la “passate” degli uccelli migratori. Spesso la caccia era fortunata.

Erano parecchi i modi dei vostri svaghi!

  • A quelli che potrei definire abituali, si aggiungevano talvolta quelli occasionali, escogitati per sfruttare estemporaneamente situazioni destinate a terminare o a cambiare. Ad esempio, un gioco divertentissimo, ma irripetibile, lo facevamo durante i lavori di preparazione del terreno per la costruzione del santuario. La sommità originaria della collina dovette essere spianata. Si trattava di un lavoro ciclopico. Per avere un’idea dell’entità e del volume di materiale rimosso, basta osservare il dislivello rimasto fra il piano del campo sportivo dell’oratorio e il rilievo rimasto quasi intatto alle spalle della grotta con la Madonna di Lourdes.

Uno sterro enorme, di migliaia di metri cubi. Dov’è finita la terra asportata?

  • Ecco, proprio di questa sto parlando. Sbadilata a mano, veniva caricata su carriole e riversata sul pendio ovest della collina, dove si andava creando un piano inclinato di terriccio con un salto finale, al di sotto del quale si formava un alto cumulo della finissima sabbia scaricata. Nelle ore di sospensione dei lavori, noi ragazzi ci lasciavamo scivolare lungo il piano inclinato prendendo lo slancio per il salto che si concludeva con l’atterraggio sul morbido cumulo di sabbia sottostante.

Le vostre giornate però non erano impegnate, in parte, anche nella scuola?      

  • E’ pacifico, come è sempre stato per tutti i soggetti in età scolare. Non c’erano ancora le scuole di Monte Santo. Chi frequentava la scuola pubblica statale (una sorte che accomunava tutti i ragazzi della nostra parrocchia) doveva per forza far capo alle scuole di Camerlata. Per la verità, la nostra classe, - particolarmente numerosa - assieme ad altre, ebbe per il biennio 1943/1945 una frequenza molto travagliata. In quegli anni i tedeschi, che occupavano l’Italia Settentrionale, requisirono l’edificio scolastico di Via Colonna. Per noi si allungò il percorso da casa a scuola, perché fummo spostati a Rebbio, nell’edificio divenuto l’attuale caserma dei carabinieri. Ma siccome lì c’erano già le classi di Rebbio, ci si dovette rassegnare a fare i turni, seguendo le lezioni parte al mattino e parte al pomeriggio.

Disagi imputabili ai fatti bellici che sconvolsero per 6 anni l’Europa e altre parti del mondo. Oltre alle ristrettezza alimentari, la guerra si sentì in altri modi qui a S. Antonio?

  • Fino al settembre del 1943, se ne avvertirono solo i riflessi. Sapevamo dei bombardamenti sulla principali città e delle devastazioni di Milano, Genova e Torino. Qui ci fu un isolato bombardamento per colpire la polveriera di Albate in Val Basca, il mitragliamento di un treno della Ferrovia Nord e quello su un convoglio ferroviario dello Stato a Como S. Giovanni, ritenuti carichi di munizioni. Alla prova dei fatti si constatò che portavano oggetti di toeletta, come pettini, forbici, spazzole ed altre merci non di uso bellico.

C’è una ragione precisa perché lei distingua il prima del 1943, dal dopo?

  • Purtroppo ce n’è più di una, poiché subito dopo l’armistizio, le divisioni tedesche si impadronirono del centro e del nord Italia, passando dal ruolo di alleati a quello di invasori. Sotto la loro “protezione”, il Duce fu liberato e messo a capo di quella che chiamarono Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), i cui militari (camicie nere, soldati della 10^ Mas e fascisti) si assunsero, fra l’altro il compito di individuare e catturare i partigiani e coloro che formavano il movimento di Resistenza. Vi erano sabotaggi e attentati, seguìti ogni volta da atroci repressioni.

Ci furono scontri fra partigiani e fascisti anche qui da noi?

  • Qui no. Ciò non toglie che nel territorio della parrocchia avvennero fatti tali da far considerare questo un periodo drammatico, anzi tragico. Molti nella nostra comunità ne furono informati attraverso il passa-parola con cui si diffondevano le notizie contrarie al regime fascista. Noi della via Belvedere ne avevamo peraltro le prove dirette.

Perché proprio voi?

  • Davanti alle nostre case, oltre la strada, si apriva un lunghissimo campo, sgombro da alberi, fino al cimitero di Camerlata, del quale vedevamo il muro di cinta. In certe notti, provenienti da quel muro, si sentivano degli spari. Inizialmente li credevamo dovuti a esercitazioni di tiro notturno fatte dai soldati. La loro vera natura ci fu svelata da un dipendente della Questura (che allora era in mano alla polizia politica). Questo giovane, originario di Stazzona, veniva a dormire in casa mia, ed era addetto alle comunicazioni, quindi sapeva quello che veniva deciso dai responsabili delle cosiddette “squadre di azione” sempre a caccia di partigiani e spie.

E qual era la spiegazione degli spari notturni?

  • Erano esecuzioni di sentenze di morte pronunciate dai tribunali speciali, o anche semplicemente atti di giustizia sommaria contro i partigiani, coloro che li favorivano e persino i semplici sospettati di collaborazionismo. Quel giovane ci avvertiva in quali notti il plotone di esecuzione avrebbe portato a Camerlata, fuori del cimitero, i condannati. Contro il muro li fucilavano. Fino a poco tempo addietro, si potevano ancora osservare i fori delle pallottole sul muro. Talvolta preparavano in anticipo le bare in cui chiudevano i corpi dopo l’esecuzione; talaltra portavano le spoglie nella camera mortuaria, abbandonandole finché il fossore non li seppelliva.

Un tempo di tristezza, di tragicità e di sofferenza anche per la comunità di S. Antonio, che sapeva ma era impotente a far cessare quel massacro!

  • Un tempo in cui la pietà era del tutto scomparsa, e con essa persino il rispetto per i luoghi sacri. Basti pensare che quando fu catturato e fucilato il professor Adolfo Vacchi. (alla cui memoria è stata inserita ed è tuttora visibile una lapide nel muro di cinta), vi erano dei suoi compagni (forse 4 o 5) che furono fucilati addirittura dentro il cimitero, profanando così un luogo santo. C’è da augurarsi che eventi simili non si verifichino mai più e che, in avvenire, non avvengano più lotte fratricide, con le atrocità che ne conseguono.

                                

 

 

 

 

 

INTERVISTA   AL VICE SINDACO DI COMO DOTT.   PAOLO   MASCETTI

 

Paolo Mascetti, nostro concittadino, pur non essendo parrocchiano, è stato in un certo senso testimone e partecipe di una parte della storia del Santuario e di un’opera antoniana.  

Come uomo politico, ha conseguito il suffragio degli elettori divenendo membro del Consiglio Comunale. Attualmente fa parte dell’Amministrazione di Como ed è stato designato dal Sindaco Bruni, all’incarico di Vice sindaco, con delega all’Assessorato per i Servizi sociali. E’ laureato in medicina e si è specializzato in diabetologia. Mette al servizio dei pazienti sapere ed esperienza – meritatamente riconosciuto nella sanità comasca - nel reparto per i diabetici dell’Azienda ospedaliera S. Anna

 

Dott. Mascetti, mi risulta che sia stato proprio un suo parente a erigere la chiesa di S. Antonio. E' vero? Quali ricordi ha in proposito?

  • Certo! E’ uno dei pochi ricordi ancora precisi della mia infanzia. Ho in mente ancora oggi le visite al cantiere per il santuario, in cui accompagnavo, con la "Fiat 1100”, mio zio Paolo Mondelli, padrino di battesimo di cui porto il nome, che, come responsabile dell'impresa Battista Mondelli, ha diretto, curato e seguito in tutte le fasi, gli sviluppi dei lavori nel cantiere per la costruzione della chiesa. Ricordo il suo orgoglio nel mostrarmi l'opera ormai conclusa e la sua soddisfazione, da cattolico convinto, per aver potuto contribuire allo sviluppo della opera su un territorio allora ancora sguarnito di edifici religiosi così imponenti. Un’esperienza che ho ripetuto un po' di anni dopo quando all'impresa Mondelli fu affidato l'appalto per la costruzione della nuova chiesa di Muggiò, di cui allora era parroco don Aldo Fortunato.

Ha presenziato all'inaugurazione della nostra chiesa-santuario con i suoi parenti?

  • I ricordi più vivi sono quelli riguardanti l’attività finale del cantiere e i giorni della preparazione per l’inaugurazione. Non ricordo con certezza se fossi presente alla cerimonia, ma penso proprio di si.

In qualità di Assessore ai Servizi sociali, Lei è stato in qualche modo interessato anche alla costruzione di “Casamica”. Ha qualcosa da dire in merito?

  • Il progetto "Casa Amica" rientra in una azione sociale importante, rivolta alla popolazione dei detenuti appena scarcerati o in regime di semilibertà, e consente loro di poter trovare una sistemazione abitativa provvisoria e un supporto di preparazione al rientro nella società. E' un intervento che vede coinvolti, nell'ambito della sussidiarietà, Ministero di Grazia e Giustizia, Regione Lombardia, Comune e realtà del volontariato sociale. A Como, nel particolare, le organizzazioni sociali impegnate sono quelle del mondo cattolico ed ecclesiale. A S. Antonio i posti sono per uomini, mentre i Padri Vincenziani di via Tatti hanno messo a disposizione posti per donne. E' un esempio da imitare e ripetere in altri campi per la tutela dei più deboli.

Come Vice Sindaco, lei sa certamente che S. Antonio è una parrocchia di periferia. Quali potranno essere, a suo parere, le prospettive della zona in cui sorge la chiesa?

  • La zona sarà coinvolta nei prossimi anni in un forte sviluppo residenziale, con l'inserimento di numerosi nuclei familiari. Un quartiere nuovo su cui bisogna già da ora lavorare sotto ogni aspetto: servizi, viabilità, ma anche rete di contatti umani e sociali. E la parrocchia può avere in questo senso un ruolo importante che noi siamo pronti, se coinvolti, ad aiutare e sostenere.
    Sono convinto che la solidità della nostra unità nazionale è data ancora proprio dall'essere un'unione di tante parrocchie, di tanti campanili, di tanti oratori.

Sarà dei nostri nelle manifestazioni che verranno indette l'anno prossimo per festeggiare il sessantacinquennale della posa della prima pietra della Chiesa?

  • Sicuramente! Se non avrò più la veste di Amministratore, ci sarò comunque come cittadino che ama la sua città, ed è grato a chi per essa si impegna con entusiasmo e tanta fatica

 

 

INTERVISTA A SUOR TERESINA E SUOR DISOLA   (già educatrici nella scuola dell’infanzia “S. Antonio”

 

Suor Teresina e suor Disola, due sorelle native di Montecrino (Va), entrambe entrate nella vita religiosa, e precisamente nell’ordine delle “Serve di Gesù Cristo”, dopo aver professato i voti nel convento di Agrate Brianza. Hanno dato la loro opera di formatrici in diverse località, dove le Superiore le hanno di volta in volta inviate. Tra queste vi fu, per un lungo periodo, anche la nostra scuola materna di “S. Antonio”, di cui hanno ben meritato.

Attualmente svolgono il loro prezioso servizio in una parrocchia della periferia cittadina di Como.

 

Suor Disola e Suor Teresina, fino allo scorso anno, vi sapevamo in provincia di Varese. Con quali compiti? E come siete arrivate qui?  

  • Effettivamente, eravamo presso il convento di Quasso al Piano. Da lì ci spostavamo nei paesi vicini per integrare la scarsità di sacerdoti e assicurare il funzionamento delle opere parrocchiali, come la catechesi, l’assistenza alle liturgie, il canto sacro, ecc. Dallo scorso settembre, siamo state inviate in questa parrocchia comasca, assai vicina a quella di S. Antonio, santo per il quale conserviamo grande devozione.

E’ comprensibile questo vostro ricordo per S. Antonio, dove avete sostenuto la responsabilità della scuola materna per…quanti anni?

  • Per 26 anni, poiché siamo arrivate lì il giorno 11/02/1966 e ne siamo ripartite solo nel 1991, confidando di aver svolto un servizio efficace in quegli anni, e con qualche effetto anche nei successivi.

Com’era la situazione della scuola al vostro ingresso?

  • Era un po’ precaria a causa del ridotto numero di iscritti (soltanto 13). Tuttavia la Provvidenza ha disposto diversamente, poiché già nel mese successivo i frequentanti erano in aumento e, a fine mese arrivarono a ben 36, mettendoci un po’ in crisi perché eravamo solamente due suore: io e suor Adele.

Avete potuto superare la difficoltà?

  • Solo verso la fine dell’anno scolastico quando, in giugno, ci raggiunse suor Teresina.

Ma suor Teresina era una maestra nelle scuole elementari. Ha saputo aiutarvi?

  • In quegli anni le scuole elementari non avevano rientri pomeridiani, e Suor Teresina, pur avendo insegnato a Lucino, a Muggiò, a Capiago e ad Albate, riservava le ore del pomeriggio alla nostra scuola materna.

Coadiuvava nell’assistenza ai bambini?

  • Non solo in quella. Anche nell’organizzazione dell’incontro mensile di preghiera per i genitori degli alunni, e nel seguire aspetti specifici nella vita parrocchiale.

Ad esempio?

  • Gestivamo classi di catechesi, seguivamo i bambini durante le funzioni liturgiche, preparavamo i ragazzi ad entrare nel coretto parrocchiale formato da circa 30 voci accompagnate magnificamente da Padre Rodolfo.

In quegli anni c’erano molti ragazzi e ragazze; la catechesi sarà stata impegnativa:

  • Cercavamo modi adatti a far apprendere meglio i contenuti. Ricordiamo che nel periodo forte della Quaresima, coinvolgevamo i frequentanti il catechismo con drammatizzazioni che riproponevano, nel loro piccolo, una specie di sacre rappresentazioni.

Le famiglie vi seguivano?

  • In generale erano abbastanza partecipi. Nei nostri ricordi, tra l’altro, ve ne sono alcune che si sono riavvicinate alla Chiesa dopo anni di assenza, anche per effetto dei rapporti intrattenuti ai fini della catechesi e/o della scuola materna.

I rapporti con la comunità del frati e coi parroci erano buoni?

  • Abbiamo sempre operato in un clima di collaborazione autentica e proficua, nella convinzione che solo così saremmo state veramente di aiuto per la parrocchia e per le famiglie. Prima di ogni incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale, ci si scambiavano le vedute sui problemi da affrontare, affinché fosse facilitata la ricerca delle soluzioni.

Avete dunque un buon ricordo di S. Antonio.

  • Lo consideriamo un periodo in cui ci è stato possibile assolvere nel modo migliore alla nostra missione, e ci piace collocare fra le memorie più gradite tutti i religiosi coi quali abbiamo cooperato e i parrocchiani che abbiamo conosciuto lì.

 

 

 

 

Capitolo 6°

 

CRONISTORIA DELLA COMUNITA’ PARROCCHIALE DI S. ANTONIO

 

 

La cronistoria degli avvenimenti intervenuti nel tempo nella comunità di S. Antonio, dal 1941 ad oggi, è stata fatta sulla base degli eventi più eclatanti che, di anno in anno, hanno a vario titolo coinvolto o interessato la nostra comunità. Nell’elencare i predetti avvenimenti, non sono stati pertanto presi in considerazione quegli eventi che, per consuetudine o per la ciclicità del calendario, si ripetono annualmente, in quanto fanno oramai parte del bagaglio religioso e socio-culturale della stessa comunità .

Mi riferisco, con questo criterio di esclusione, alle ricorrenze: festa di S. Agata, Carnevale, Santa Pasqua, festa della mamma, giornata degli anziani e dei portatori di handicap, S. Antonio, pesca di beneficenza, incanto dei canestri, anniversari di matrimonio, Santo Natale, ecc.

Non vengono altresì nominate altrettante manifestazioni di routine, quali: gite, pellegrinaggi, grest, rappresentazioni teatrali, momenti ricreativi, avvenimenti sportivi, ecc.

Ci scusiamo infine per eventuali errori od omissioni in cui si sia involontariamente incorsi, nel ripercorrere sessantacinque anni di vita, trascorsi assieme dai parrocchiani della prima ora e, per una parte, da quelli di successiva integrazione. Si accettano segnalazioni e/o richieste di modifiche che, qualora di rilevanza, potrebbero dar vita ad una errata-corrige della presente opera, realizzata con amore per la comunità di S. Antonio.

 

30 ottobre 1941

 

Fanno il loro ingresso in Camerlata i Frati Minori Conventuali, accolti dal loro Padre Provinciale, Padre Andrea Eccher.

 

 

11 novembre 1941

 

Festa di tutti i Santi. Padre Otello Bruno Melato incomincia ufficialmente il suo ministero nella futura parrocchia.

 

 

11 dicembre 1941

 

Padre Otello Melato stipula il contratto con il sig. Federico Paone, per l’acquisto della casetta di via Monte Santo, 44 (oggi via S. Bernardino da Siena), che diverrà il primo convento dei frati in Como.

 

 

12 febbraio 1942

 

In serata, Padre Otello lascia la Famiglia Taborelli, che l’ha ospitato per quasi quattro mesi. Così pure Padre Gerardo lascia la sua camera alle case minime, e ambedue vanno ad abitare nella casetta di Via Monte Santo 44, parzialmente rimessa a nuovo. Per il vitto, provvedono le reverende suore Ancelle dell’Immacolata di Parma, insediate presso l’asilo delle case minime sin dal 31 ottobre 1940. Sono tre: suor M. Saveria Montanini, Superiora, suor Innocenza Amadè e suor M. Scolastica Casati.

 

 

14 giugno 1942

 

Festa esterna di S. Antonio. Alla sera le giovani della parrocchia, con una improvvisata, danno una rappresentazione all’aperto nel cortile del signor Carlo Erba, interpretando: “Perdono”, in due atti, di F. Mari. L’incasso di 150 lire è devoluto alla parrocchia per l’acquisto dello stendardo di S. Antonio.

 

 

28 giugno 1942

 

Prima visita pastorale alla Parrocchia di S.E. Mons. Macchi.

 

 

1 luglio 1942

 

Inizio dei lavori di sbancamento della collinetta sulla quale gettare le fondamenta per la costruzione della chiesa, affidati all’impresa G. Della Vigna di Como.

 

 

26 luglio 1942

 

La filodrammatica maschile si produce per la prima volta con “Bagliori nel sole“ di Sala. Segue la farsa “Omerica“. Bravi gli attori.

 

 

1 settembre 1942

 

Nel pomeriggio vengono gettate le fondamenta della prima chiesa parrocchiale, dalle modeste dimensioni.

 

 

5 settembre 1942

 

Istituzione del gruppo femminile delle Aspiranti di Azione Cattolica. La delegata è la signorina Tecla Mascetti.

 

 

7 settembre 1942    

 

Istituzione del gruppo dei “Fanciulli Cattolici”. Delegata la signorina Lucia Pizzetti.

 

 

30 ottobre 1942

 

Oggi Padre Otello Bruno Melato, finora Delegato Vescovile per la Parrocchia, viene nominato formalmente 1° Parroco – Prevosto della Parrocchia di S. Antonio.

 

 

8 novembre 1942

 

Viene creata in Parrocchia una piccola biblioteca. Della sua gestione è incaricata la signorina Giustina Erba, appartenente al Terz’Ordine Francescano.

 

 

Natale 1942

 

Si offre in visione ai fedeli il primo presepe realizzato nella Chiesa di S. Antonio. La cronaca dell’epoca racconta: “Il giorno 24, vigilia di Natale, alle ore 17 si celebrò la Messa della vigilia, cantata da Padre G. Agostani, …….. Dopo il “Gloria”, venne aperto il presepio preparato con cura ed arte dal Padre Gerardo Agostini, coadiuvato dal giovane Piero Casartelli“. Da qui in avanti, la realizzazione del presepe diventerà un vero e proprio culto, tanto da determinare un concorso annuale fra i vari parrocchiani, per la realizzazione del miglior presepe, che veniva puntualmente premiato .

 

 

11 aprile 1943

 

Alle ore 17,30, Mons. Vescovo benedice la nuova piccola chiesa parrocchiale di S. Antonio. Alla cerimonia è presente il Podestà, ing. A. Terragni. Dei Frati Minori Conventuali sono presenti: Padre Domenico Bertolo e Fra Gianmaria Tagliaferro di Milano, Padre Celestino Poli, vicario del convento di Brescia, Padre Ernesto Spigone, quaresimalista nel Duomo di Como. Viene benedetto dal Vescovo lo stendardo della parrocchia. Madrina la signorina Giustina Erba.

 

 

20 giugno 1943

 

Ingresso ufficiale del novello prevosto, Padre Otello Bruno Melato, accolto ai confini della parrocchia da autorità e popolo. Dopo il benvenuto, porto da due bambini, si è immediatamente formata la processione per accompagnare il Padre alla chiesa. Quindi, si sono successe: presa di possesso e Messa cantata e, nel pomeriggio, Vesperi e processione per le vie festanti della parrocchia. Alla sera, breve accademia delle bambine, bene preparate dalle suore, offerta di doni al novello Prevosto e poche, commosse parole di Padre Gerardo per esternare il suo giubilo.

 

15 agosto 1943

 

Festa dell’Assunta. Benedizione della statua in legno dell’Immacolata, opera dell’intagliatore Ambrogio Sala. Nel pomeriggio istituzione ufficiale, con l’imposizione delle medaglie, del sodalizio delle Figlie di Maria. Ne è Presidente Carla Balzaretti; Vice presidente: Giuseppina Nessi; segretaria: Anna Botta; cassiera: Luigia Aiani; maestre delle Aspiranti: Angelina Nessi e Peverelli Luigia; assistenti: Erminia Auguadro, Giannina Bianchi, Giuseppina Gorla e Nora Molteni, Alla sera la filodrammatica “S. Antonio” recita “Ali spezzate”, tre atti di G. Lantieri, sotto la regia di Padre Gerardo Agostini.

 

 

5 febbraio 1944

 

Istituzione della Confraternita del S. Rosario. Le Madri cristiane hanno voluto assistere alla santa Messa delle 8,15, celebrata espressamente per loro .

 

19 marzo 1944

 

Istituzione del gruppo delle “Donne Cattoliche”. In questi giorni si forma pure il gruppo di Aspiranti di Azione Cattolica. La Delegata, designata dal Padre prevosto, è Teresina Castaldi: Il gruppo si sceglie come patrona S. Teresa del Bambin Gesù.

 

 

4 aprile 1944

 

Il signor Brenna di Como, ad ornamento del viale che fiancheggia la Casa dei religiosi e la cappella, pianta dei cipressi, “che dovranno sfidare nei secoli l’urto delle bufere“.

 

 

26 aprile 1945

 

Il Comitato di Liberazione Nazionale prende in Como i pubblici poteri. All’una di notte, entrano nella città di Como i carri armati americani. Il 31 dicembre 1945 Padre Gerardo scrive:

“Così finisce quest’anno 1945, portando con sé tutti gli orrori della guerra, e lasciandoci fiduciosi in un prossimo benessere. Speriamo che il 1946 sia veramente l’anno della pace e della distensione degli animi. Ringraziamo Dio specialmente noi comaschi per i tanti benefici ricevuti in questi terribili e calamitosi anni di guerra spietata, e per averci risparmiati da qualsiasi sofferenza, tranne qualche “tiratura di cinghia”. Ma pazienza! Tutto è passato. Ringraziamo Dio, la Vergine Sua Madre e il Santo Crocefisso di Como ….”

 

 

17 gennaio 1946

 

La neve cade abbondante (50 cm.), e rovina le tegole ed i camini del convento.

 

 

25 gennaio 1946

 

Si verificano delle forti scosse di terremoto, avvertite maggiormente in centro lago. L’epicentro viene individuato a Berna, dove si contano anche dei morti.

 

 

18 luglio 1946

 

Muore il prevosto di Albate e Vicario Foraneo, sac. Bernardino Re. Esercitava da 24 anni il suo Ministero pastorale. Lo sostituisce il sacerdote G. Zucchi, a partire dal 16 gennaio 1947.

 

 

14 agosto 1946

 

Spirava santamente anche il prevosto di Rebbio, sac. Alfonso Bianchi, dopo 33 anni di apostolato. Lo sostituisce don Carlo Scacchi.

 

 

5 gennaio 1948

 

Fa l’ingresso in Como il nuovo Vescovo Mons. Felice Bonomini di Brescia, trasferito dalle Diocesi unite di Terni e Narni,

 

 

5 settembre 1948

 

Bella Cattedrale di Como, avviene l’incoronazione della Vergine delle Grazie, per la cui intercessione il Duomo fu risparmiato dal fuoco quando, nel 1935, la cupola si incendiò per un corto circuito.

 

 

10 marzo 1949

 

L’illuminazione elettrica comunale viene estesa all’intera via Belvedere, fino alla Cooperativa di via Acquanera.

 

 

27 marzo 1949

 

Nel fervore della visita della Madonna Pellegrina, viene benedetta la grotta di Lourdes situata a lato del cortile dell’oratorio. E’ presente il vescovo, S.E. Mons. Bonomini.

 

 

9 maggio 1949

 

Arriva da Lora la statua della Madonna Pellegrina (donata dal Sovrano Militare Ordine di Malta) che aveva cominciato a muovere la sera del 30 aprile, partendo dal Seminario maggiore. Riparte per Rebbio la sera del 10. L’oratorio, per l’occasione. era stato illuminato a giorno. Da ricordare che si era voluto far transitare la statua anche fra le maestranze degli stabilimenti locali delle ditte Taborelli e Curioni.

 

 

25 settembre 1949

 

Festa del parroco. Alla sera, nel teatro dell’oratorio, il Complesso mandolinistico di Albate, diretto dal Maestro Balzaretti, noto per aver dato trasmissioni dalla stazione-radio svizzera di Monteceneri, tiene un applauditissimo concerto in suo onore.

 

 

19 marzo 1950

 

Iniziano le proiezioni cinematografiche sonore, utilizzando una macchina a passo ridotto “Safar“.

 

 

13 gennaio 1952

 

Benedizione delle nuove Scuole elementari di via Monte Santo, intitolate a S. Antonio. Ancora per qualche tempo, la Via Belvedere rimane com’era agli inizi della parrocchia.

 

 

1 luglio 1953

 

Inizio dei lavori per la costruzione della nuova chiesa–santuario. Il 31 ottobre 1954, in occasione della festa del parroco, ha luogo l’inaugurazione dell’oratorio, il cui bar (nota del cronista dell’epoca) “non teme, per moltissimi motivi, confronti con i migliori della città“.

 

 

15 luglio 1953

 

Prendono sempre più slancio i lavori per la costruzione della chiesa-santuario, svolti da parte delle maestranze della ditta Mondelli di Cernobbio (CO). Verranno ultimati, nel volger di due anni, nel 1955.

 

 

12 agosto 1954

 

Durante i lavori per la costruzione della chiesa, l’operaio, Angelo Bernasconi, mentre era intento a smontare i ponteggi dell’impalcatura interna, perde l’equilibrio e cade dall’altezza di 15 metri, andando a sbattere con la testa contro la dentiera dell’impastatrice del calcestruzzo. Ricoverato in ospedale, muore. Non aveva ancora 30 anni.

 

 

29 maggio 1955

 

Benedizione della nuova chiesa da parte del Padre Provinciale Padre Angelo Beghetto. L’evento è solennizzato da una grande processione.

 

 

27 maggio 1956

 

Si svolgono le elezioni amministrative comunali, che danno i risultati seguenti:. elettori: 553; votanti: 530. Ottengono voti: DC n. 179; PSI n. 173; PM n. 17; PSDI n. 38; PLI n. 24; MSI n. 51; PCI n. 39.

 

 

10 novembre 1956

 

Consacrazione e dedicazione della chiesa–santuario a S. Antonio di Padova, da parte di S. E. Mons. Bonomini, Vescovo di Como. Sono presenti alla cerimonia: il Ministro Provinciale della Provincia dei Frati del Santo, Padre Giorgio Montico e alcuni altri Padri e chierici della Provincia patavina. Prestano servizio i fratini di S. Antonio del collegio di Brescia.

Il nuovo altare maggiore marmoreo (ricordo che prima ce n’era solamente uno in legno nella cappella provvisoria) è un dono del munifico comm. G. Terragni, ex Sindaco di Como. Nel frattempo è stato ultimato anche l’arredo della cappella di S. Giuseppe, dono del comm. G. Scacchi di Como, su bozzetto dello scultore prof. Gasparetti. Il comm. Scacchi promette che, dopo la cappella di S. Giuseppe, interverrà anche per quella dell’Immacolata.

 

 

26 maggio 1957

 

Viene posata la prima pietra del nuovo Seminario diocesano con una cerimonia presieduta dall’Arcivescovo metropolitano milanese, Mons. Montini, futuro Papa Pasolo VI.

 

13 luglio 1957

 

Sono iniziati i lavori di rivestimento in porfido della gradinata della chiesa, su progetto dell’arch. Clerici Piero (al quale dobbiamo anche il nuovo altare maggiore). La parrocchiana, signora Rigamonti Pina, regala quattro sedie per l’altare di S. Antonio .

 

 

9 ottobre 1957

 

Nella cappella dedicata a S. Giuseppe lavoratore, viene collocata una tela raffigurante S. Giuseppe sposo di Maria vergine, opera del prof. Bracchi di Milano. La signora Lucchi dona la statua di Santa Rita.

 

 

1 marzo 1958

 

La ditta Gini–Gatti di Grandate ha eseguito e completato la costruzione dell’ultimo tratto di fognatura fra la frazione Acquanera e la via Belvedere. Quest’ultima, in un secondo tempo, verrà allargata e bitumata con un manto di asfalto (13 gennaio 1960).

 

30 luglio 1958

 

Il consiglio comunale delibera di installare due lampade ai piedi della gradinata del Santuario, per illuminare le scale. Il collegamento all’impianto dell’illuminazione stradale viene realizzato con cavi sotterranei.

 

 

21 agosto 1958

 

Si riuniscono nell’ufficio parrocchiale l’on. Terragni, il geometra Molteni di Trecallo e il prevosto. In seguito a quell’incontro, l’Onorevole cede, ad un prezzo vantaggioso, un pezzo di terreno di sua proprietà alla Società “Villaggio S. Antonio”, formatasi, su interessamento del prevosto e del presidente parrocchiale delle ACLI, Emanuele Cairoli, per consentire la costruzione di alcune casette a riscatto. Dona poi un altro pezzo di terreno alla parrocchia, perché vi si possa costruire il nuovo Asilo.

 

 

25 agosto 1958

 

Gli operai della ditta comasca Roberto Franchini (di via Anzani) iniziano la posa dei marmi per la pavimentazione ed il rivestimento della cappella di S. Antonio.

 

 

3 aprile1959

 

Mancando tuttora il campanile, viene presa la decisione di installare per la chiesa le campane a disco, con i relativi altoparlanti.

 

 

 

 

12 giugno 1960

 

Con una memorabile cerimonia, alla presenza di diverse Autorità e grande concorso di popolo, Padre Alfonso benedice la prima pietra dell’asilo di S. Antonio, situato sulla collina di fronte alla chiesa, su un terreno donato alla parrocchia dall’onorevole Giuseppe Terragni, mentre era parroco   Padre Otello.

 

 

18 ottobre 1961

 

Mercoledì 18 ottobre, in orario serale, nel salone dell’oratorio maschile, opportunamente predisposto ed attrezzato, ha inizio la tanto sospirata scuola di taglio e cucito. Maestra diplomata è la signorina Amadeo Rosetta.

Le lezioni si effettueranno tutti i mercoledì sera, dalle ore 20.30 alle 22.30. Il corso avrà termine in giugno, con una esposizione dei lavori eseguiti durante la frequenza e il tirocinio scolastico.

Ecco i nomi del numeroso gruppo delle prime iscritte: Angelini Lina, Beretta Angela, Bettini Assunta, Bianchi Renata e Rita, Biondi Marisa, Bresolin Carla e Graziella, Callina Giuliana, Corbetta Mariangela, Frigerio Daniela, Mascetti Luigiarosa, Mauri Orietta, Peverelli Rita, Pronti Imelda e Taborelli Laura.

 

 

28 ottobre 1961

 

Fa la sua prima apparizione il giornalino parrocchiale “Il Ponte“.

 

 

5 novembre 1961

 

Domenica 5 novembre viene inaugurato il nuovo ponte a scavalco della via Belvedere (progettista Arch. Porta), con l’intervento di S. E. Mario Martinelli, Ministro per il commercio con l’estero.

Il nutrito programma della giornata prevede:

Ore   7 – 8.30 – 11 – 17:     SS. Messe;

Ore   14.30:     Funzione di ringraziamento con benedizione eucaristica;

Ore   15:    Inaugurazione del ponte, con benedizione impartita dal M.to Rev.do Padre

                   Provinciale;

                   Parole di occasione rivolte dal Ministro agli intervenuti alla cerimonia;

Ore   16:     Concerto del complesso bandistico di Albate.

 

 

 

11 marzo 1962

 

Sotto la statua della Madonna, viene posto il simulacro di Gesù morto. Il complesso é illuminato e protetto da un vetro.

 

 

17 giugno 1962

 

Benedizione del nuovo asilo.

 

 

1 gennaio 1963

 

I due Asili infantili funzionanti in parrocchia, quello di via Monte Santo e quello parrocchiale, vengono unificati. Le suore si ritirano dall’Asilo comunale, e i bambini frequentanti laggiù vengono trasportati (in autobus) nel nuovo Asilo parrocchiale che, d’ora in avanti, assumerà la denominazione di “Scuola materna S. Antonio”.

 

 

3 giugno 1963

 

Giunge la notizia della morte del S. Padre Giovanni XXIII.

 

 

13 giugno 1963

 

Alle 9.30 del mattino, Padre Guzzinati procede alla benedizione e posa della prima pietra dell’erigendo convento a lato della Chiesa.

 

 

13 agosto 1963

 

Si svolgono i funerali del nostro benefattore on. Terragni improvvisamente scomparso. E’ presente tra gli altri anche Padre Otello Bruno Melato.

 

 

Settembre 1963

 

Sistemazione della cappella del cimitero, alla quale viene rifatto il pavimento nuovo. Viene pure restaurato il Crocefisso, liberandolo dalla vetrina.

 

 

 

31 ottobre 1963

 

La Congregazione delle suore Ancelle dell’Immacolata di Parma decide di ritirarsi dalla scuola materna “S. Antonio”, e ne informa il consiglio di amministrazione.

 

 

22 novembre 1964

 

Il Vice presidente della Giunta della nostra parrocchia, Santino Cairoli, viene eletto Consigliere comunale.

 

 

11 febbraio 1965

 

Alle 18.30, in via Monte Santo (oggi S. Bernardino da Siena) viene ricollocata nella sua nicchia, sul fronte strada, all’altezza del numero civico 45/A, la statua della Madonna, rimossa temporaneamente per sostituire il cristallo di protezione che si era rotto.

Scrive il parroco nella cronaca: “I primi a venire sono stati …….i cani. Dopo il raduno di qualche ragazzino e di poche donne, si è recitato il Santo Rosario. Poi abbiamo fatto una breve processione girando attorno all’aiuola ovale esistente fra il 45 ed il 45/A, portando in tal modo la Madonna nella sua nicchia. La recava in processione il signor Pietro Ribaldi detto “Milàn”.

 

 

3 maggio 1965

 

Si chiude il mese mariano con una processione a lume di fiaccole, fino al capitello di via Acquanera, dove viene collocato un quadro della Vergine Immacolata, dipinto da Padre Rodolfo De Concini.

 

 

Anno 1965

 

Il censimento degli abitanti ci dice che i residenti in parrocchia sono 1.468.

 

 

3 gennaio 1966

 

A mezzogiorno di oggi, i frati possono, per la prima volta, consumare il pranzo nel refettorio del nuovo convento.

 

 

11 febbraio 1966

 

In sostituzione delle rinunciatarie Ancelle dell’Immacolata, di Parma, arrivano alle 17, le nuove suore. Appartengono alla Congregazione delle Serve di Gesù Cristo, la cui casa madre è ad Agrate Brianza. Saranno le educatrici nella scuola Materna, e cureranno l’assistenza spirituale alla gioventù femminile. Per il momento sono due, (Suor Adele Frattini, superiora, e suor Disola Bianchi), ma entro la fine dell’anno, diverranno quattro.

Prima del loro arrivo, nella scuola materna era educatrice la signorina Gabriela Bazzi di Como.

 

24 marzo 1966

 

Benedizione del nuovo convento–Casa canonica, da parte del Padre Provinciale dei frati, Padre Vitale Bommarco.

 

 

Maggio 1967

 

Il Comune completa l’asfaltatura sui lati del sagrato del Santuario, dopo aver già asfaltato la rampa di accesso. L’Azienda Autonoma di Soggiorno provvede all’illuminazione della facciata della chiesa con due potenti fari al quarzo.

 

 

7 – 28 maggio 1967

 

Festeggiamenti per il 25° anno di vita della parrocchia. Le manifestazioni durano quattro settimane consecutive. I principali eventi sono:

-        partecipazione del Vescovo, che celebra la Santa Messa ed amministra la 1^ Comunione e la Cresima a 30 bambini;

-        gara di pittura estemporanea;

-        conio di una medaglia celebrativa della ricorrenza;

-        mostra di espressione artistica e concorso fotografico;

-        dibattiti con i giovani e proiezione di film;

-        concerto bandistico della Banda Cittadina “A. Volta”;

-        presentazione di un numero unico, alla presenza dell’Ing. De Santis, assessore comunale ai lavori pubblici;

-        concerto dell’orchestra a plettro “Flora”;

-        esibizione del coro polifonico della Basilica di S. Fedele;

-        lancio di palloncini;

-        torneo di calcio;

-        festa della mamma, alla presenza del Sindaco Lino Gelpi;

-        concelebrazione della Messa da parte di Padre Otello Bruno Melato e del parroco: la liturgia è accompagnata dal coro “Monteverdi” di Cucciago;

-        spettacolo di arte varia, con la partecipazione dei Signori Venzo e Patriarca, nostri comparrocchiani del rione S. Bernardino.

 

 

17 settembre 1967

 

Il nostro parrocchiano Giacomino Angelini, la cui famiglia abita in via Acquanera 69, ha vestito l’abito religioso dei Frati Minori Conventuali, presso il Seminario S. Maria Gloriosa di Pedavena (Belluno). Inizierà a Padova l’anno di noviziato.

 

 

31 maggio 1968

 

Viene aggiornato nei minimi particolari il censimento delle famiglie. La parrocchia può contare attualmente su 1.417 abitanti. Nel 1965 gli abitanti erano 1.468.

Su iniziativa di Fra Ottavio, al termine di una partita amichevole di basket svoltasi nell’oratorio di S. Antonio fra la squadra juniores dell’Oransoda di Cantù ed il basket Como, (militante in serie D) nasce la Società Polisportiva Antoniana che, comunque, aveva già cominciato a muovere i primi passi l’anno precedente. Ha lo scopo di favorire la diffusione dello sport fra i giovani.

 

 

24 marzo 1968

 

Applicando le disposizioni del Concilio Vaticano II, per la prima volta anche nella nostra chiesa, il Prefazio e la preghiera eucaristica vengono proclamate, dal sacerdote che celebra la Santa Messa, non più in latino bensì in lingua italiana.

 

 

1 ottobre 1968

 

Ancora in ottemperanza alle linee pastorali emerse dal Concilio Ecumenico Vaticano II, si riunisce nella sala parrocchiale il costituendo primo Consiglio Parrocchiale (da rinnovare ogni tre anni). In precedenza esisteva la Giunta Pastorale, con una base molto più ampia rispetto al Consiglio di nuova istituzione. Presidente del Consiglio Pastorale Parrocchiale è sempre il parroco.

Il vice presidente deve essere un laico. Viene quindi eletto alla carica il signor Onofrio Gangemi.

1 dicembre 1968

 

In chiesa entra in funzione il nuovo impianto di illuminazione, con lampade centrali sospese, da   400 watt ciascuna.

 

 

28 marzo 1969

 

Ha luogo per la prima volta la Via crucis all’esterno della chiesa, con 14 piccole croci portate da fanciulle e fanciulli. E’ commentata con letture fatte da parrocchiani.

 

 

30 novembre 1969

 

Entra in vigore il nuovo ordinamento della Santa Messa.

 

 

Anni 1970 – 1977

 

Gli anni che vanno dal 1970 al 1977 presentano una cronaca molto “povera“, in quanto non è stato possibile reperire se non pochissime informazioni, sia dalla documentazione esistente presso l’archivio parrocchiale, sia consultando i Bollettini della Provincia Patavina di S. Antonio. Nella quasi totalità di questi ultimi, non viene riportata alcuna cronaca del convento di Como, molto probabilmente perché a Padova devono essere pervenute ben poche notizie da qui.

 

 

27 febbraio 1970

 

Visita canonica in parrocchia del reverendissimo Padre Basile Heiser, Ministro Generale dei frati.

 

 

Giugno 1970

 

In occasione della festa di S. Antonio, la facciata della chiesa viene illuminata a mezzo di un impianto messo in opera dalla ditta Seghieri di Milano.

 

 

3 settembre 1970

 

Un comparrocchiano viene incaricato della stesura di una lettera di “rispettosa ma ferma protesta“, che il Consiglio Pastorale intende inviare al Padre Provinciale, ai Padri Capitolari e, per conoscenza, al Vescovo ed al Padre Generale sulla questione degli avvicendamenti troppo frequenti dei parroci, che allora restavano qui in carica solo per 3 anni.

 

 

 

27 e 28 settembre 1970

 

Arrivano in convento 12 chierici licealisti dei Frati Minori Conventuali, in attesa di una diversa destinazione. Vengono accolti come meglio possibile e ospitati per nove mesi, pari alla durata dell’anno scolastico. Frequenteranno il liceo in Seminario. Per il vitto e l’alloggio permangono presso i nostri ambienti parrocchiali.

 

11 ottobre 1970

 

Giunge a conclusione la vendita al Comune di Como del terreno, appartenente alla Chiesa, situato fra le mura del Bersaglio (oggi “Tiro a segno nazionale”) e via S. Michele del Carso. Si tratta di un appezzamento di circa 32.000 metri quadrati, che il Comune destinerà a campi sportivi. Sono di aiuto in questa compravendita, il signor Santino Cairoli, Consigliere comunale, e il geometra Carlo Arnaboldi. Il ricavato servirà per migliorare il fabbricato dell’asilo.

 

Giugno 1971

 

A partire da questo mese, non si ha più notizia né traccia del giornalino parrocchiale“Il Ponte”. Si può quindi desumere che, a partire da questa data, il foglio periodico cessi la sua pubblicazione.

 

 

21 gennaio 1972

 

Dal tetto del convento viene tolta la campanella con relativa cupoletta di ferro, che – ab antiquo – richiamava i fedeli per liturgie e funzioni. Era diventata ingombrante e pericolosa, e non serviva ormai a nulla. Per di più, “…. le lamiere di sotto sbatacchiavano sul tetto battuto dal vento e, di notte, rimbombavano da far paura”.

 

 

13 giugno 1972

 

Viene inaugurata la cappellina interna alla casa delle suore, alla cui realizzazione hanno voluto fortemente contribuire la signora Ginetta Cairoli ed i suoi figli. Tra le altre personalità, è presente all’avvenimento anche il Sindaco di Como, dr. avv. Antonio Spallino.

 

 

18 giugno 1972

 

Un fulmine colpisce la centralina elettrica della chiesa, rendendola inutilizzabile.

 

 

24 luglio 1972

 

Al piano terra del convento, viene inaugurata la “Biblioteca Popolare”, destinata precipuamente ai giovani della parrocchia.

 

 

28 ottobre 1972

 

Alla sommità dei gradini del presbiterio, viene collocata una pedana, sulla quale viene poi portato e posato il blocco marmoreo dell’altare, per avvicinarlo un po’ di più ai fedeli nella celebrazione della S. Messa.

10 dicembre 1974

 

S. E. Teresio Ferraroni, Vescovo di Como, effettua la sua prima visita pastorale alla parrocchia.

 

 

Anno 1975

 

Arriva il gas metano nel convento e nel santuario, per il loro riscaldamento.

 

 

11 ottobre 1977

 

La ditta Bianchi asfalta il piazzale che si trova dalla parte ovest della chiesa. Lo spazio

“abilitato” al gioco della pallavolo viene a fungere anche da parcheggio per le macchine dei fedeli, che vengono ad assistere alla Santa Messa domenicale.

 

 

Inizio 1978

 

Il Consiglio comunale di Como dedica il troncone della via Belvedere che sale al santuario a Padre Massimiliano Kolbe. Di conseguenza, il convento, cambia l’indirizzo: da via Belvedere 42, a via Massimiliano Kolbe, 3.

 

 

11 giugno 1978

 

Giornata dedicata agli ammalati, con la partecipazione del Vicario Generale Mons. Castelli. In serata, il complesso “I disperati” ha intrattenuto vecchietti e ammalati con canti e musiche. Anche i bambini della Scuola Materna, preparati dalle suore , hanno dato vita ad un grazioso balletto per far rivivere ai “nonnini” immagini e ricordi della loro giovinezza.

 

 

Aprile 1979

 

In occasione della Santa Pasqua, prende avvio la pubblicazione del nuovo giornalino parrocchiale: “L’Informatore”.

 

 

20 ottobre 1979

 

I giovani della nostra filodrammatica vengono invitati alla casa di riposo per anziani (la Cà d’Industria”) in Como, per rappresentare la vita di S. Antonio: “Da un uomo: il Santo”.

 

 

15 dicembre 1979

 

Per la prima volta nella nostra parrocchia, su proposta di Padre Luigi Cerea, viene organizzata una festa dei coscritti. I festeggiati sono i giovani della classe 1946.

 

 

Maggio 1980

 

In occasione delle elezioni amministrative, i Consigli di quartiere si trasformano in Consigli di circoscrizione.

 

12 aprile 1981

 

Anche la nostra parrocchia, dopo un periodo un po’ burrascoso, rinnova il suo Consiglio Pastorale Parrocchiale: una piccola comunità di cristiani che rappresenta la più grande comunità parrocchiale nella sua unità di fede, di speranza e di amore. Presidente di diritto è il parroco pro tempore. Alla vicepresidenza viene eletto il signor Carlo Terragni.

 

 

 

31 maggio 1981

 

Giornata e festa dei portatori di handicap. Presso la Scuola Professionale dei Padri Somaschi, i ragazzi consumano il pranzo. Nel pomeriggio si ha un momento allegro di festa danzante, sul piazzale della chiesa. Oltre ai giovani che si dedicano al ballo folkloristico, c’è una compagnia di ragazze che dà spettacolo di danza classica, sotto la regia della signora Dianora Moro Zanleone, maestra di danza classica, in Como.

 

 

 

25 ottobre 1981

 

Viene lanciata l’iniziativa di acquistare i banchi nuovi per il santuario. La scelta cade su un banco in faggio di Slavonia, della lunghezza di m. 2 e del costo approssimativo di euro 90 (circa 180.000 delle vecchie lire).

 

 

27 maggio 1982

 

Alla presenza del notaio Bellini di Como e del Consigliere comunale Nicola Belcastro, si costituisce la ”Cooperativa edilizia S. Antonio”, con la finalità di contribuire, almeno in parte, alla soluzione dei problemi abitativi della parrocchia, e aiutare tante famiglie alla ricerca di una casa accessibile alle loro modeste possibilità. Presidente della Cooperativa viene nominato Bruno Corengia.

 

 

20 giugno 1982

 

In occasione della giornata degli anziani, il coro “Serenissima“ di Vigonza (Padova) rallegra tutti i presenti con canti di montagna.

 

 

17 luglio 1982

 

Dalla Provincia religiosa dei frati di Padova perviene un consistente prestito, che servirà per il restauro del tetto e la ritinteggiatura dell’interno della chiesa. Si pensa di firmare il contratto per entrambi i lavori con la ditta Belluschi. Consulente per gli interventi da effettuarsi è l’architetto Ernesto Gandolfi, nostro parrocchiano.

 

 

10 ottobre 1982

 

Cerimonia di canonizzazione, a Roma, di Padre Massimiliano Kolbe. Vi partecipa il parroco accompagnato da alcuni parrocchiani.

 

 

6 novembre 1982

 

Viene inaugurato, dal Vescovo Mons. Teresio Ferraroni e dal Sindaco di Como avvocato Spallino, il monumento, dedicato a S. Francesco. Fortemente voluto dal defunto Padre Otello Bruno Melato, è opera dell’artista Eli Riva.

 

 

31 gennaio 1983

 

Con apposito decreto, il Vescovo di Como Teresio Ferraroni sposta il confine della parrocchia di S. Antonio verso Albate, sul lato sinistro di Via Cipolla, lasciando i numeri pari alla parrocchia di Albate. Sul lato destro, il confine corre tra il civico 27 (che passa a S. Antonio) ed il civico 25, che resta ad Albate, fino ad incontrare il confine della proprietà Tajana. Il predetto spostamento di confine viene effettuato allo scopo di provvedere meglio all’assistenza religiosa e morale della popolazione.

 

 

16 Giugno 1983

 

Il borgo di S. Antonio conquista il Palio dei borghi del Baradello. Il capitano Claudio Pizzocaro emozionatissimo, dichiara: “Ci siamo fatti onore; quest’anno il Palio è nostro!”. Partecipavano alla contesa i borghi di S. Antonio, Camerlata, Rebbio, Breccia e Prestino. Alla fine dell’anno di cui trattasi, un’altra bella soddisfazione allieta i fedeli della parrocchia, per l’ultimazione dei lavori di manutenzione straordinaria della Chiesa, eseguiti - come previsto - dalla ditta Belluschi di Como.

 

 

18 – 25 settembre 1983

 

Dopo “un silenzio durato sedici anni”, in questa settimana si dà corso al primo GREST (gruppo estivo) parrocchiale.

 

 

11 ottobre 1983

 

La questione del ventilato scorporo di Via Acquanera dalla nostra Circoscrizione sembra risolta. La Commissione Decentramento, organismo preposto al coordinamento fra le Circoscrizioni e l’Amministrazione comunale ha respinto con 15 voti contro 14 la richiesta, avanzata dal PCI e dalla Circoscrizione 3 a favore della Circoscrizione 1. La delibera era motivata dal desiderio espresso in tal senso da alcuni abitanti di Via Acquanera.

Settembre 1984

 

Il Provveditorato agli studi di Como, nell’ambito di un riassetto dei Circoli didattici cittadini, decreta il passaggio della Scuola elementare “S. Antonio”, dal Circolo didattico n. 4 (con sede in Via Colonna), al Circolo didattico n. 8 di Muggiò.

 

 

Novembre 1984

 

La Comunità religiosa di S. Antonio viene interpellata se intenda accettare un importante forma di apostolato della Diocesi: la Cappellania del vecchio Carcere di S. Donnino. La Curia Provinciale dei frati di Padova approva la scelta di Padre Mario Peruzzo, dichiaratosi disponibile a essere Cappellano del carcere di Como, come successore del compianto Padre Raffaele Pibiri.

 

 

25 febbraio 1985

 

Il Definitorio (organo di governo) della Provincia Patavina dei Frati Minori Conventuali, sentito il parere della comunità religiosa di Como, sceglie il bozzetto del pittore Mario Bogani (nato a Como nel 1932), per la realizzazione di un affresco dell’abside della chiesa. Opere murali del Bogani sono presenti a Khartum nel Sudan, a Milano, Roma, Firenze e Brescia. A Como si possono ammirare suoi lavori nella sede del Collegio degli edili, nella Banca Popolare di Bergamo. Altri si trovano nelle chiese parrocchiali di Misinto, Ceriano Laghetto e Cesano Maderno. Il costo approssimativo dell’affresco si prevede: di circa 50 milioni delle vecchie lire.

Per accogliere il dipinto si è reso necessario asportare dalla parete dell’abside tutta la preesistente malta dell’intonaco, in quanto giudicata non in grado di “reggere” il dipinto da sovrapporre.

 

 

29 aprile 1985

 

Viene costituito il primo Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia.

 

 

13 giugno 1985

 

Il CO.RE.CO. (Comitato Regionale di Controllo) delibera la vendita al Comando della guardia di Finanza, dell’area e della struttura abbandonata di Via Acquanera, angolo Via dei Medici, nota come “ex orfanotrofio”.

 

 

18 agosto 1985

 

I carcerati detenuti a Como città vengono trasferiti nella nuova Casa Circondariale del Bassone. A S. Donnino rimangono solamente undici detenuti in regime di semilibertà.Direttrice del nuovo carcere è la dottoressa Francesca Fabrizi.

 

 

8 ottobre 1985

 

Traslazione del corpo di S. Felice (primo Vescovo inviato a Como da S. Ambrogio) dalla chiesa di S. Brigida di Camerlata, alla prima chiesa e cattedrale comasca di S. Carpoforo martire. Vale la pena ricordare che Carpoforo fu tra primi martiri cristiani in terra comasca, in gruppo con altri tre soldati sfuggiti alla persecuzione di Diocleziano a Milano.

 

 

12 0ttobre 1985

 

Traslazione del corpo di S. Felice dalla chiesa-plebana di S. Carpoforo alla basilica di S. Abbondio (quarto Vescovo di Como).

 

 

8 dicembre 1985

 

Ricorre il 25° anniversario della posa della prima pietra dell’asilo “S. Antonio”. Alla cerimonia, svolta presso la Scuola Materna, sono presenti: il Sindaco di Como, Simone, l’assessore Forni, il Presidente della Circoscrizione 3, Malinverno Egidio, il reverendo Padre Zanfei, il Vicario Provinciale degli antoniani, Padre Olindo Baldassa.

 

 

Anno 1986

 

Per effetto dell’applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, d’ora in avanti, verrà impartito a scelta dei giovani e delle famiglie dei ragazzi..

 

 

1 febbraio 1987

 

Padre Claudio Saveriano, abile e fine prestigiatore, intrattiene piccoli e grandi con giochi di abilità, suscitando entusiasmo generale.

 

 

26 marzo 1987

 

Tra le manifestazioni per celebrare il 45° anniversario della presenza dei frati in Como, viene svolto ad Orsenigo un incontro di calcio fra la squadra del Como ed una di frati. L’incontro, organizzato da Padre Luigi Cerea, finisce col punteggio di 3 a 0 a favore del Como, con due reti di Borgonovo ed una di Butti.  

 

 

28 luglio 1987

 

Una frana di enormi dimensioni precipita dalla Val Pola nel fiume Adda ostruendolo. Due paesi della Valtellina, S. Antonio Morignone e Morignone vengono, praticamente cancellati dalla furia della natura. Si contano un morto e 27 dispersi.

 

 

Settembre 1987

 

La Scuola elementare statale di S. Antonio, inaugurata il 13 gennaio 1952, subisce la perdita della sua classe prima, per mancanza di bambini. Il Provveditore agli studi, non avendo la classe raggiunto il previsto numero di alunni iscritti, è costretto a sopprimerla

22 novembre 1987

 

Due ragazze: Tomè Laura, chiamata familiarmente Lidia, e Giulia Beretta, sono entrate a far parte come consorelle della Comunità francescana secolare, con la professione di vita evangelica alla sequela di S. Francesco.

 

 

4 dicembre 1987

 

Il fabbricato noto come “ex orfanotrofio”, viene ufficialmente consegnato alla Guardia di Finanza .

 

 

 

20 ottobre 1988

 

Il Sindaco di Como, signor Meda e alcuni consiglieri comunali, hanno visitato la zona della chiesa parrocchiale, per accertare la necessità di un decoroso riassetto del parco, e dell’aumento della illuminazione ai due fianchi del complesso degli edifici.

 

 

31 gennaio 1989

 

Mons. Alessandro Maggiolini (nato a Bareggio - MI - nel 1931) viene nominato Vescovo di Como. Sostituisce Mons. Teresio Ferraroni ritiratosi per motivi di salute, derivati dalle conseguenze di un grave incidente automobilistico.

 

 

19 dicembre 1989

 

Il Vescovo consacra la cappella del carcere, dedicandola a S. Francesco d’Assisi. Le vetrate colorate sono opera della giovane artista comasca, Manuela Mottin.

 

 

Gennaio 1991

 

Ha inizio la cosiddetta guerra del Golfo contro l’Iraq, che ha invaso il Kuwait. Fra le truppe mobilitate sotto la bandiera dell’ONU, vi partecipano anche quelle italiane. Tutti sono in apprensione per ciò che sta succedendo e per le eventuali conseguenze.

 

 

20 maggio 1991

 

Le suore dell’Ordine Serve di Gesù Cristo vengono chiamate, da una disposizione della loro Superiora generale, a lasciare la scuola materna e la nostra parrocchia per altra destinazione.

 

 

7 ottobre 1991

 

La Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca accetta di assumersi il compito di educare i piccoli della Scuola materna “S. Antonio”.

 

 

Gennaio 1992

 

Don Dante Lanfranconi, professore del seminario vescovile di Como, riceve la nomina a Vescovo di Savona, appena pochi mesi dopo che Mons. Franco Festorazzi era stato nominato Vescovo di Ancona e Osimo.

 

 

13 settembre 1992

 

Primo convegno dei Consigli Pastorali della zona Como Sud. L’incontro avviene presso il Seminario maggiore.

 

 

Ottobre 1993

 

Con un dinamismo eccezionale, sono stati realizzati e messi in opera, nella nostra chiesa, l’ambone e la sede presidenziale, con relativi scanni. La pregiata opera, in legno proveniente dal Tanganica, si presenta con un ampio emiciclo di stile classico, racchiudente il presbiterio come in un abbraccio.

E’ frutto del lavoro delle maestranze della ditta “genuflex” di Treviso.

Novembre 1993

 

La chiesetta nel cimitero di Camerlata è stata riaperta alle funzioni e ai fedeli, ben rinnovata e intonacata a nuovo, al termine dei lavori di restauro, disposti dal Comune di Como e durati nove mesi.

 

 

Dicembre 1994

 

A partire da questo mese, cessa la pubblicazione del giornalino parrocchiale “L’Informatore”. Non si conoscono i motivi della decisione.

 

 

Gennaio 1996

 

A fine mese, il bar dell’oratorio viene definitivamente chiuso, dopo lunghe peripezie non sempre piacevoli. Con la sua chiusura, anche le attività dell’oratorio si riducono drasticamente, soprattutto quelle sportive.

 

 

4-5 maggio 1996

 

Papa Giovanni Paolo II viene in visita apostolica alla nostra Diocesi.

 

 

20 dicembre 1997

 

Visita pastorale del Vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini, alla nostra Parrocchia.

 

 

 

23 maggio 1998

 

Pellegrinaggio a Torino della comunità parrocchiale, per venerare la Sacra Sindone esposta nel Duomo.

 

 

4 giugno 1998

 

Il Padre Provinciale dei frati Minori Conventuali, Padre Luciano Fanin, viene a far visita alla nostra comunità.

 

 

5 dicembre 1998

 

Operazione ecologica sui versanti del colle di S. Antonio. Aderendo a un “invito“ pervenuto dal Comune di Como, si è svolta - con l’apporto di diversi volontari - la pulizia delle falde e dei versanti del colle, su cui sorge il santuario. Lo si è ripulito dei più disparati materiali che, da anni, gli davano l’apparenza di una discarica abusiva.

 

2 maggio 1999

 

La Parrocchia è in festa per la prima celebrazione eucaristica di Padre Alberto Origgi, per il quale il 24 aprile era stata celebrata l’ordinazione presbiteriale a Padova nella Basilica del Santo. Alla cerimonia partecipano diversi confratelli giunti anche da lontano: Padre Enzo Piovesan, Fra Renato Zanello, Padre Fernando Spimpolo, Padre Giuseppe Bellini, Padre Guido Castagna e il Vicario Foraneo, don Antonio Fraquelli.

 

 

11 settembre 2001

 

Gli attentati terroristici di New York mettono tutti in apprensione. Si prega per la pace nel mondo.

 

 

17 settembre 2001

 

Il Parroco si reca presso la signora Maria Mondini, nostra parrocchiana, per festeggiare i suoi 103 anni.

 

 

19 novembre 2001

 

Accogliamo nella nostra chiesa la croce di San Damiano. Numerosissima è la partecipazione di giovani ed adulti alla celebrazione, che si tiene alle ore 21. Dopo la cerimonia, la croce viene portata dai giovani e dai volontari al vicino carcere del Bassone, davanti all’ingresso del quale viene celebrato un breve rito di accoglienza. Vi rimane per tutta la giornata successiva.

 

 

16 dicembre 2001

 

In chiesa viene inaugurato il nuovo impianto microfonico di amplificazione.

6 luglio 2002

 

Padre Guido e Padre Luigi Cerea celebrano il matrimonio del nostro organista e direttore del coro, Valeriano Maspero, con la signorina Emanuela Terragni.

 

 

Agosto 2002

 

Nell’ultima settimana del mese, hanno inizio i lavori per il rifacimento e la messa a norma dell’impianto di illuminazione della chiesa. Verrà benedetto e inaugurato il 17 novembre di questo stesso anno.

 

 

Anno 2003

 

Il Governo della Provincia di S Antonio dei frati Minori Conventuali ed il Consiglio Pastorale Parrocchiale, riunitisi congiuntamente con il Consiglio degli Affari economici, decidono che il progetto “Antonio: Vangelo e Carità“ venga realizzato con una tornata di lavori che preveda la costruzione di “Casamica” e la contemporanea ristrutturazione dell’oratorio. Le spese da affrontare sono ingenti. La realizzazione del progetto è resa possibile grazie al notevole impegno economico della Provincia dei frati, che si assume l’onere sia della costruzione, sia quello dei costi della Casa d’accoglienza, coadiuvata dal generoso intervento della Regione Lombardia e della Caritas di Como. La spesa per l’oratorio beneficia di un prestito della Provincia Patavina, che la parrocchia si impegna a restituire ratealmente entro un determinato numero di anni.

 

 

 

26 febbraio 2004

 

Firma della Convenzione per la Casa di accoglienza “Casamica”, fra la Curia, la Provincia dei frati ed il Comune.

 

 

16 ottobre 2004

 

Alla presenza del Vescovo Mons. Maggiolini, del Prefetto di Como Guido Palazzo Adriano, del Sindaco di Como, Stefano Bruni e della Direttrice del carcere Francesca Fabrizi, viene inaugurata “Casamica S. Antonio”. L’immobile, ricavato dal vecchio convento, ristrutturato ed ampliato rispetto alla configurazione precedente, può ospitare ex detenuti del carcere per il reinserimento a fine pena, detenuti in permesso premio, e familiari venuti a far loro visita.

 

 

17 ottobre 2004

 

In chiesa si può assistere ad un concerto Gospel. I cantanti vengono da Padova.

 

 

2 aprile 2005

 

Alle ore 21.37 di oggi. viene annunciato dal portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls, il ritorno alla “Casa del Padre“ di un uomo dell’età di 84 anni, che ha cambiato la storia dell’umanità: sua Santità Papa Giovanni Paolo II (al secolo, Karol Wojtiyla), eletto Papa nella memoranda data del 16 ottobre 1978. Il Papa dei giovani, il Papa mediatico muore tra l’abbraccio dei suoi fedeli e il compianto del mondo intero. “Il mondo ha perduto un campione di libertà!“, commenta il presidente degli Stati Uniti, Gorge W. Busch.

 

 

17 aprile 2005

 

Inaugurazione, benché ancora parziale, del nuovo oratorio parrocchiale.

 

 

19 aprile 2005

 

Viene eletto Papa il Cardinale Joseph Ratzinger, che si sceglie il nome di Benedetto XVI.

 

 

20 novembre 2005

 

La comunità vive la tradizionale festa annuale degli anniversari di matrimonio, con la Santa Messa delle ore 11 e il pranzo. Poi si dà inizio alla fruizione dell’oratorio come “Casa della Parrocchia”. Si vorrebbe così superare l’opinione corrente sull’oratorio, inteso solamente come luogo di ritrovo esclusivo per ragazzi e giovani, a fini ludico-sportivi.

 

 

30 ottobre 2005

 

Nel pomeriggio, la parrocchia vive la tradizionale festa dei Canestri, alla quale quest’anno vengono abbinati una castagnata e tanti giochi organizzati dai nostri giovani negli impianti sportivi. Davvero tanta la gente e le famiglie che rispondono all’iniziativa. Col ricavato si allestirà il campo di pallavolo, che ancora manca.

 

 

Natale 2005

 

In occasione del Santo Natale, nasce la “Compagnia del Presepe“, con lo scopo di avvicinare le famiglie, i bambini e gli anziani ad una realtà affascinante e carica di mistero come il Presepe. Tra le altre iniziative che si prefigge, c’è anche la pubblicazione di un giornalino di cui, la data di pubblicazione del primo numero, coincide esattamente col giorno del Santo Natale 2005.

 

 

28 gennaio 2006

 

“Casamica” finisce sul giornale per una serie di concomitanti, distorte interpretazioni in merito alle scelte resesi necessarie a livello riorganizzativo. I rapporti ed i successivi chiarimenti con le Istituzioni competenti, in primis il Comune e la Direzione delle carceri, sdrammatizzano il caso, e permettono una più stretta e mirata collaborazione fra i responsabili parrocchiali e gli Enti interessati.

 

 

Maggio 2006

 

Si riprende, una sera per settimana, la recita del Rosario per le vie della parrocchia. La chiusura del mese mariano, la sera del 31, avviene davanti alla grotta dell’oratorio, con una festosa fiaccolata. Nei mesi di maggio e giugno, attingendo anche al ricavato dal banco vendita della festa della mamma, si realizza un piccolo parco giochi per i bambini (che ci si propone di ingrandire prossimamente). La sua illuminazione è disposta in collegamento con quella della grotta.

 

 

 

13 – 14 maggio 2006

 

Una decina dei nostri ragazzi, adolescenti e giovani, partecipa con il parroco ed il seminarista Andrea, all’annuale Meeting Francescano dei giovani, che si svolge presso la comunità dei frati a Monselice (PD).

 

 

6 giugno 2006

 

Nel nostro oratorio ospitiamo l’incontro mensile dei Parroci e Vicari della zona Como Sud. Nella prima parte della mattinata, il Vicario Foraneo, Don Andrea, invita i Frati della Comunità ad illustrare l’attività di accoglienza di “Casamica”, e i bisogni pressanti (pastorali, umani ed economici) dei detenuti della Casa Circondariale del Bassone. Si confida in questa informativa, per poter giungere a una azione pastorale comune.

 

 

13 giugno 2006

 

In occasione della solennità di S. Antonio, la chiesa presenta il nuovo look del suo porticato, rimesso a nuovo con un intervento straordinario di manutenzione edilizia. L’operazione si è resa necessaria in seguito alle ripetute infiltrazioni d’acqua dalla copertura, penetrate sotto l’intonaco. Il lavoro di risanamento ha permesso di ripulire e mettere in evidenza i mattoni dei sette archi. La loro esposizione “a vista” ora armonizza ottimamente con l’intera facciata. Per il fabbisogno, ha prestato la propria mano d’opera la ditta L.A.V.A. di Senna Comasco, sotto la supervisione dell’architetto Gandolfi

 

 

25 giugno 2006

 

La nostra comunità saluta Andrea che, come seminarista diocesano, è stato tra noi per due anni, collaborando silenziosamente in tante attività e iniziative oratoriali.

Inoltre, sabato 10 giugno, nel duomo cittadino, è stato ordinato sacerdote Lorenzo, il giovane che operò come animatore nel nostro oratorio, circa quattro anni fa.

 

 

1 luglio 2006

 

La parrocchia propone una nuova iniziativa: la distribuzione del “Pane di S. Antonio”. Il pane necessario è fornito dal Banco Alimentare, i cui volontari lo raccolgono dai forni della città, per la consegna gratuita ai più bisognosi.

 

 

9 luglio 2006

 

La squadra nazionale dell’Italia, per la quarta volta nella sua storia calcistica, e dopo ventiquattro anni dalla conquista della coppa del mondo, diventa ancora una volta campione mondiale, battendo ai rigori la Francia per 6 a 4. I primi 90 minuti di gioco ed i tempi supplementari erano terminati in parità 1 a 1. La parrocchia, come l’intera città, è in festa.

 

5 ottobre 2006

 

Arriva in oratorio il giovane Simone Digregorio, assunto come educatore. Dividerà il suo tempo fra l’Oratorio e “Casamica”.

 

14 gennaio 2007

 

La Diocesi di Como, con una solenne liturgia eucaristica in Duomo, dà il suo saluto di commiato a Mons. Alessandro Maggiolini – dimissionario per ragioni di età e di salute – dopo 17 anni spesi generosamente nel ministero episcopale per i fedeli comaschi.

 

28 gennaio 2007

 

Accolto da gran folla di fedeli e dal clero, Mons. Diego Coletti, nuovo Vescovo nominato alla guida pastorale della Diocesi, fa l’ingresso ufficiale in Como, celebrando la sua prima S. Messa tra il popolo comasco nella cattedrale. Proviene da Livorno.

 

8-11 Marzo

 

Apertura del Sessantacinquennale dell’Erezione a Parrocchia e della Posa della Prima Pietra della nostra Chiesa/Santuario con la venuta delle Reliquie di Sant’Antonio che prevede: Giovedì 8 liturgia di accoglienza delle Reliquie con i tre Ordini Francescani; venerdì 9 visita e Santa Messa al Bassone e all’Ospedale Sant’Anna con le Reliquie; sabato alle 17.00 apertura ufficiale del Sessantacinquesimo con la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dal nostro nuovo Vescovo Diego Coletti; domenica 11 Sante Messe con i pellegrini e venerazione delle Reliquie.

 

Gli eventi del Sessantacinquesimo continueranno fino al 13 Giugno, giorno di Sant’Antonio, con: la Presentazione del libro e della Mostra Fotografica sui 65 anni della Parrocchia, col nuovo libro sull’affresco del Bogani, con la Giornata dei Portatori di Handicap e con la Solenne Celebrazione Eucaristica del 10 Maggio, giorno dell’Erezione della Parrocchia e della Posa della Prima Pietra, con tutti i Prevosti e i Frati che hanno svolto il loro ministero a Como Sant’Antonio.

 

 

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Capitolo 7°

 

L’OGGI E IL DOMANI

 

            Dopo questa approfondita ricerca sulla storia dalle origini ai nostri giorni, desideriamo ora descrivere in maniera sintetica e quasi fotografica le attività e le opere, (unitamente alle persone e ai gruppi che le animano e le rendono possibili), di questi ultimi anni e di oggi, della nostra amata Parrocchia Sant’Antonio.

            Successivamente cercheremo di alzare un po’ lo sguardo, per proiettarci nel nostro prossimo futuro, e coglierne le possibili sfide e speranze.

 

A. La parrocchia di questi ultimi anni e di oggi

 

            La storia della nostra parrocchia esposta in precedenza, ci fa toccare con mano gioie, dolori, fatiche e speranze vissute in tutti questi anni dalla nostra Comunità parrocchiale, la quale oggi è l’espressione e il frutto di tante lotte appassionate, di tante conquiste, di tante pene e sacrifici, suddivisi fra i vari parroci succedutisi, i frati loro collaboratori e i parrocchiani. E’ certamente l’espressione anche di deficienze, limiti, errori, ritardi… ma tant’è: la pasta umana non è mai composta soltanto di buona argilla, e il limite e l’errore, come talvolta l’indugio e la tiepidezza, sono da sempre parte integrante della nostra povera umanità. Questa umile creta, però, è nelle mani di Dio, e Lui sempre la sa trasformare in pregiati capolavori.

            Riportiamo di seguito le attività pastorali e le iniziative espresse oggi dalla nostraparrocchia unitamente ai gruppi che le animano.

 

La catechesi e l’animazione dei bambini, dei giovani e degli adulti

            La catechesi dei bambini riguarda le classi dalla prima elementare fino alla prima e seconda media, in cui si vive il sacramento della Confermazione o Cresima; il percorso del post-Cresima è purtroppo ancora incerto, a causa di un abbandono pressoché sistematico da parte dei nostri ragazzini. Una realtà che ci sta seriamente interpellando, e con la quale ci si sta confrontando per trovare nuovi spiragli e possibilità di coinvolgimento. Nutriamo però grosse speranze sull’attuale gruppo di prima e seconda media, che si sta preparando per ricevere il sacramento della Confermazione. Esso è composto infatti da parecchi bambini e bambine, molti dei quali sono, da qualche anno, Ministranti (chierichetti), i cui genitori sono per la maggior parte impegnati direttamente nelle varie attività parrocchiali. Il tutto lascia presagire la possibilità di un ulteriore cammino formativo, e apre alla speranza di avere in un prossimo futuro animatori formati e preparati per i gruppi e per le attività pastorali.

            Per quanto riguarda l’animazione dei giovanissimi e dei giovani, dobbiamo dire che è ridotta veramente all’osso e, all’oggi, consiste in un gruppetto che va dai 14 ai 19 anni; è un ambito sul quale sappiamo quanto sia difficile lavorare, ma rappresenta altresì una sfida da raccogliere tutti insieme, con pazienza e passione.

            La catechesi degli adulti si snoda lungo i momenti significativi dell’anno liturgico e i suoi tempi forti (Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, Pentecoste, Ottobre missionario), come pure in percorsi strutturati con incontri quindicinali durante i quali si affrontano argomenti inerenti all’approfondimento della fede. Molto bella anche la catechesi rivolta al Gruppo famiglie, iniziata diversi anni fa da p. Benigno e continuata da Padre Giovanni Milani: coinvolge una decina di nuclei familiari che, una domenica al mese, animano la Santa Messa dei bambini delle 9,30, e che poi vivono il loro ritiro e condividono il pranzo in oratorio.

 

 

 

 

 

La configurazione attuale della parrocchia e i suoi gruppi.

 

            Sicuramente da sempre, un’importanza capitale hanno avuto le varie comunità dei frati che si sono succedute fin dal lontano 1941. Come si ha già avuto modo di dire, la loro presenza, il loro spirito di obbedienza e di sacrificio, la loro passione per Dio e per gli uomini, hanno consentito alla storia di questa nostra parrocchia di dipanarsi, di svilupparsi ed evolversi fino ai nostri giorni. Nel cercare di mettere a fuoco, quindi, la configurazione attuale dellacComunità parrocchiale nelle sue figure portanti, nei suoi organi e gruppi, non possiamo che partire proprio da loro: i frati dell’attuale comunità.

 

Frati Minori Conventuali

-             Padre Fernando Spimpolo: Guardiano, parroco, direttore di Casamica, con noi dal Settembre 2005.

-             Padre Giovanni Milani : Vicario del Convento, Cappellano della Casa Circondariale del Bassone, Vicedirettore di Casamica, Direttore del giornalino parrocchiale “Compagnia del Presepe”; a Como-Sant’Antonio dal Settembre 2004.

-             Padre Luca Bridio : Penitenziere presso il nostro Santuario dal Settembre 2004.

-             Padre Silvano Zoccarato : Vicario parrocchiale e Penitenziere, con noi dall’ottobre 2006.

-        Fra Cosma Cazzaro : Sacrestano, a Como-Sant’Antonio dal Settembre 2000.

 

Suore della Congregazione delle Figlie di S. Maria di Leuca  

Hanno in mano la gestione di tutta la quotidianità della Scuola materna, e collaborano in parrocchia nella catechesi e nell’animazione del canto.

 

-        suor Arianna Peron (Madre Superiora), suor Ancilla Papa, suor Cirilla Stanislaus, suor Diletta Valles.

 

Chierico proveniente dal seminario diocesano  

-       Francesco Marinoni: aiuta nella catechesi dei detenuti e dei nostri adolescenti.

 

Consiglio pastorale

La nostra parrocchia, pur essendo di modeste dimensioni, ha avuto fin dai primi anni dopo il Concilio, come si è potuto costatare dalla cronistoria, una lunga e bella tradizione di Consigli pastorali; anche quello attuale è ben nutrito, e rappresenta la comunità in tutte le sue espressioni.

 

Presidente: il parroco; Vice presidente: Armanda Arnaboldi; Segretario: Martino Lironi; Gli altri membri: Religiosi e Religiose delle due comunità parrocchiali, Franca Castelnuovo, Gianni Cavadini, Michele De Maio, Gianni Faverio, Claudio Marinoni, Teresa Mossi, Giuliana Romani, Roberto Ronchetti, Marina Sibio, Agata Terragni, Carlo Terragni.

  

 

 

Consiglio per gli affari economici

 

Il Consiglio degli affari economici collabora col parroco nella gestione delle varie opere, e garantisce la trasparenza di ogni iniziativa ed attività economica della parrocchia. I membri sono:

il parroco, il Vicario parrocchiale, Briccola Angelo, Arnaboldi Alfredo, Terragni Agata.

 

Consiglio di Amministrazione della Scuola Materna

 

            Gestisce, col suo presidente, l’attività della Scuola materna nei suoi vari aspetti: didattici, normativi, economici, amministrativi e organizzativi.

-        Presidente:   Carlo Terragni;

-        Segretaria:   Bruna Butti;

-        Tesoriere:     Alfredo Arnaboldi;

-        Membri:       Padre Fernando Spimpolo, Armanda Arnaboldi, Martino Lironi, Francesco Dusi.

 

Catechiste

 

Se, come i nostri stessi Vescovi ci dicono: “La catechesi costituisce il compito fondamentale, l’asse portante, il cuore dell’attività ecclesiale”, è giocoforza che le catechiste assumano un’importanza fondamentale per la vita di una parrocchia. Grazie a Dio, ma veramente grazie a Lui, la nostra comunità ne può contare quest’anno quindici; molte di esse sono mamme di famiglia, tutte comunque fortemente impegnate nella vita e nelle attività parrocchiali, e tutte motivate a trasmettere ai nostri figli il dono della fede e ad indicare la via per conoscere e seguire Gesù Cristo. I loro nomi:

Cristina Bassi, Betta Cavadini, Sara Fiorillo, Veronica Fiorino, Sara Lalia, Mariarita Malinverno, Mariuccia Malinverno, Marina Marinoni, Dora Mauro, suor Arianna Peron, Carla Pozzi, Marilena Scarpa, Marina Sibio, suor Cirilla Stanislaus, Mirella Vivonello.

 

Compagnia del Presepe e redazione dell’omonimo giornalino

 

La Compagnia del Presepe si è costituita ufficialmente nell’Ottobre del 2005, anche se in realtà era già da alcuni anni attiva a livello parrocchiale, ai fini dell’organizzazione e realizzazione del Presepe; la “CdP”, così è ormai da tutti denominata la Compagnia del Presepe, ha da subito aggiunto un’altra importante iniziativa e cioè quella della creazione di un nuovo giornalino parrocchiale, sulla scia di una gloriosa tradizione di altri fortunati giornalini del passato, che tanto hanno dato alla Parrocchia in termini di animazione, informazione e formazione.

Presidente: Padre Giovanni Milani;   Vice Presidente: Gianni Cavadini ;

Tesoriere: Alberto Croci; Consiglieri tecnico-progettisti: Cristian Berlusconi, Fausto Pozzi e Sergio Proserpio.

Consiglieri tecnici: Francesco Dusi e Giovanni LaLia;

Redattore:   Claudio Marinoni;

Aiuto ricerca immaginì:   Elisabetta Marelli;

Aiuto stesura testi:   Marina Giussani.

 

Coro: “Gruppo amico”

 

Anche il ‘Gruppo amico’, come si è già detto, fa parte di una tradizione musicale e canora ormai presente da qualche decennio e che, a tutt’oggi, è quanto mai in auge nella nostra parrocchia. I nomi dei suoi attuali componenti sono:

Direttore:   Valeriano Maspero;

Coristi: Valentina Bedetti, Ada Boncinelli, Lodovico Boncinelli, Erika Brenna, Chiara De Maio, Elvira Di Biasi, Cristina Di Carlo, Tina Gelpi, Stefano Gonfalonieri, Valentina Grieco, Silvia Guarisco, Giuseppe Merio, Simone Monatti, Pinuccia Naseida, Davide Polli, Simone Preda, Alessandra Saba, Agata Terragni, Elisa Terragni, Emanuela Terragni, Alberto Toppi, Roberto Verzola, e inoltre, Beatrice Boltari, Dina   e Mara Lardo.  

 

 

Gruppo famiglie : Bassi Ugo e Cristina (Pietro, Stefano, Lucia), Maisto Pino e Gianna (Giacomo e Nicolò), Marinoni Claudio e Marina (Sara e Andrea), Proserpio Sergio e Lelia (Simona, Luca e Noemi), Quagliotto Sergio e Elena (Chiara, Marta e Fabio), Ronchetti Roberto e Fulvia (Francesco), Cavadini Gianni e Marina (Marta, Sara ed Ester), Lalia Giovanni e Sara, Seneca Giovanni e Loredana (Francesco, Carlo e Maria).

 

Gruppo donne : Carla Guarisco, Tina Gelpi, Noemi, Rina Filippetto, Roberta Faverio, Jone Terragni, Emma Angelini, Rina Pozzi, Luigina

 

Gruppo uomini : Alfredo Arnaboldi, Francesco Dusi, Luigi Faverio, Giuseppe Lana, Claudio Pizzoccaro, Gino Ciuccoli, Fausto Pozzi, Angelo Briccola, Michele De Maio, Natale Carelli, Roberto Ronchetti

 

Animatori Grest : Alessio Di Carlo, Angelo Osorio, Chiara De Maio, Chiara Forgione,Christopher Coe, Cristina Di Carlo, Erika Brenna, Fabio Caprarelli, Gabriele Bianchi, Gianluca Spanò, Jonathan Fiorino, Serena Mortillaro, Valentina Grieco, Veronica Fiorino

 

Gruppo pesca beneficenza : Alfredo Arnaboldi, Armanda Arnaboldi, Bruna Butti, Francesco Dusi, Claudio Pizzoccaro, Fausto Pozzi, Roberto Ronchetti, Fulvia Ronchetti

 

Volontari Casamica : Armanda Arnaboldi, Daniela Bello, Butti Bruna, Cappelletti Angelo, Chendi Chiara, Gatti Giorgio, Mengozzi Luigina, Radice Barbara, Ribaudo Manuela, Simeoli Mario, Terragni Agata

 

 

Il Gruppo della carità

 

Vogliamo segnalare anche l’attività caritativa di alcune persone della nostra Parrocchia che da anni, in forma nascosta e discreta, vivono e mettono in pratica le parole di Gesù riportate da Matteo al capitolo 25,36: “Ero ammalato ed infermo e mi avete visitato”, andando chi negli ospedali e chi nelle case a trovare ammalati ed anziani soli, preoccupandosi di loro, infondendo loro coraggio e consolazione. Dall’Ottobre 2006 questi preziosi rivoli di genuina carità evangelica sono confluiti in un nuovo piccolo Gruppo parrocchiale unitario, che cerca di coordinare queste attività, nel confronto reciproco e nella preghiera, sostenuto dalla guida spirituale del parroco.

I loro nomi: Agata T.,   Franca C.,   Gianni A., Giuliana R., Marisa B., Rosalia R., Sara F., Teresa M.

 

 

B. La parrocchia e il prossimo domani

 

 

            Quando i frati di Padova, negli anni ’50, optarono per la costruzione qui in Como di una chiesa molto grande dedicata a Sant’Antonio, lo fecero perché non esisteva in Lombardia un santuario dedicato a S. Antonio, e perché convinti che, in breve tempo, questa zona si sarebbe sviluppata notevolmente, diventando sede di numerosi insediamenti di nuove famiglie. Tutto ciò lo lasciava presagire soprattutto la notevole espansione che la città di Como andava via via assumendo a sud della “Spina verde”, e il conseguente progressivo allargamento del suo centro storico.

            Gli anni cinquanta e sessanta passarono, come pure gli anni settanta, ottanta e novanta, senza però che questa previsione quantomeno cominciasse ad avverarsi. Ma l’attesa non è stata vana, in quanto sarà proprio in questo primo scorcio del terzo millennio, che potremo vedere con i nostri occhi il realizzarsi di quella previsione e speranza.

            Già diversi condomini di medie e grandi dimensioni, infatti, stanno sorgendo in via Belvedere, in via Acquanera, e in via San Bernardino; un altro, comprendente più di cento appartamenti, sorgerà tra breve proprio dietro e sotto la nostra chiesa; tutti insieme questi insediamenti porteranno, da un punto di vista numerico, ad un presumibile raddoppio di popolazione della nostra comunità

            Inevitabilmente ciò comporterà per tutti una grossa sfida, ma anche un grande arricchimento.

La sfida riguarderà senza dubbio il delicato e importantissimo aspetto della reciproca integrazione, sulla quale però la nostra parrocchia non si troverà impreparata, vista la sua lunga storia ed esperienza in proposito (vedi il lento, faticoso ma progressivo amalgama delle tre zone, Belvedere, S. Bernardino e Acquanera, dalle origini della comunità parrocchiale fino agli anni recenti).

L’arricchimento senza dubbio potrà derivare dalla comune capacità di intessere nuove relazioni e di allargare i ristretti orizzonti della nostra Comunità, per guadagnare in freschezza, vivacità ed entusiasmo.

Le famiglie che arriveranno potranno: rendere possibili nuove attività parrocchiali; permettere il sorgere di nuovi gruppi in grado di rispondere ai tanti bisogni che una comunità di bambini, giovani, adulti e anziani manifesta; ripopolare, ravvivare e animare ulteriormente l’Oratorio con proposte, iniziative ed idee; far decollare un insieme di sane attività sportive per i nostri bambini e per gli adolescenti; intensificare le attività pastorali rivolte alla dimensione della carità e del sociale.

Forse stiamo solo sognando ad occhi aperti; o forse, più semplicemente, ci piace guardare al futuro, al nostro futuro, con gli occhi e il cuore pieni di speranza! Speranza, non utopia! Perché le cose che si desiderano veramente e per le quali si è pronti – tutti insieme – a lottare, a soffrire, a pregare, capita che spesso, molto spesso si realizzino.

 

 

 

 

Capitolo 8° .

 

DATI STATISTICI

 

 

 

Matrimoni

 

         Si rammenta che la nostra chiesa è anche Santuario. Pertanto, fino agli anni novanta, tutti, anche i non parrocchiani, potevano richiedere di contrarvi matrimonio.

 

ANNO

NUMERO

ANNO

NUMERO

ANNO

NUMERO

1942

4

1964

23

     1986

23

1943

2

1965

20

1987

13

1944

4

1966

20

1988

25

1945

5

1967

33

1989

33

1946

15

1968

23

1990

34

1947

7

1969

26

1991

31

1948

12

1970

29

1992

28

1949

5

1971

34

1993

40

1950

5

1972

31

1994

33

1951

11

1973

35

1995

18

1952

8

1974

37

1996

19

1953

6

1975

26

1997

10

1954

16

1976

20

1998

3

1955

11

1977

19

1999

2

1956

9

1978

9

2000

7

1957

14

1979

20

2001

2

1958

16

1980

22

2002

5

1959

12

1981

16

2003

2

1960

22

1982

21

2004

4

1961

18

1983

19

2005

4

1962

21

1984

26

2006

3

1963

29

1985

18

 

 

 

 

Battesimi

 

 

ANNO

NUMERO

ANNO

NUMERO

ANNO

NUMERO

1942

10

1964

32

     1986

14

1943

15

1965

30

1987